Nascite

in #ita7 years ago

Un articolo apparso di recente sulla stampa porta in evidenza un fenomeno probabilmente poco noto ai più, la cosiddetta violenza ostetrica.


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Si tratta dei maltrattamenti che le donne subiscono in occasione del parto, da ostetrici e/o ginecologi. I numeri sono impressionanti: a leggere i dati emersi dall’indagine di cui parla l’estensore dell’articolo, ben il 21% delle mamme italiane con figli tra 0 e 14 anni dichiara di esserne stato vittima. Lo so, si stenta a credere che in un momento così delicato qualcuno possa approfittare della fragilità di una donna che sta per mettere al mondo una vita, ma poiché l’ho vissuto sulla mia pelle posso assicurarvi che è vero. Un'avvertenza per tutti coloro che si apprestano a vivere la nascita di un figlio, come @cryptofarmer, o hanno intenzione di farlo prima o poi:
QUESTO POST PRESENTA CONTENUTI POTENZIALMENTE IMPRESSIONANTI. RIMANDARE LA LETTURA A TEMPI TRANQUILLI.



Correva l’anno 1999, mese di luglio. Non avevo mai fatto fantasie paurose sul parto. Mia madre me ne aveva sempre parlato come di un'esperienza naturale e persino bella, quindi nella mia testa, dopo nove mesi di gestazione tranquilla, avevo deciso che avrei partorito anch'io sfilandomi i jeans con un bel sorriso sereno e via. Al corso di preparazione (in verità ne feci due perché non avevo ancora scelto la struttura e poi perché da brava ossessivo-compulsiva mi tenevo a bada facendo i compiti) molte compagne di avventura evocavano fantasmi di travagli lunghissimi e dolorosissimi, seguiti da cesarei d'urgenza e intubazioni e sofferenze neonatali etc... Io rispondevo "Sì, vabbe', mo'..." perché mi sembravano esagerazioni prive di fondamento: tutto sarebbe stato perfetto.

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Poi arrivò il giorno previsto e il mio piccolino decise di dare inizio puntuale alle danze (se penso alla sua puntualità oggi, mi viene da ridere...). Fu come se una scossa elettrica mi trapanasse a metà, fino al centro della testa. Un dolore diverso da ogni altro dolore mai provato nella vita, al punto che ricordo di essermi chiesta se fosse quella lì oppure no la roba misteriosa di cui avevo sentito parlare da sempre. Era da poco passata la mezzanotte, chiamai di corsa mio fratello e ci precipitammo all'Ospedale che avevo scelto per far nascere Andrea. Nel frattempo continuavo a perdere le acque ma, per il momento, non il controllo.
Sempre perché sono una precisina rompic***o, avevo pronta da giorni la mia valigetta che conteneva tutta la documentazione: analisi, ecografie, letterine di Natale, camicia da notte aperta sul davanti e corredino per lo gnomo. Quindi arriviamo al pronto soccorso, mi visitano, stabiliscono che ho un parto aperto ancora solo 1 cm e mi spediscono di sopra. Mentre mio marito chiacchierava del più e del meno, almeno apparentemente tranquillo, iniziano le doglie.

Che 'ntender no lo po' chi no lo prova

Vi dico subito che mi tolsi ogni dubbio sul concetto di dolore.
Mi danno un antibiotico per bocca: inizio a dare di stomaco per smettere solo molte ore dopo. Lui cercava di ricordarmi gli esercizi per la respirazione, ma provateci voi a contare le inspirazioni e le espirazioni tra un ciclo e l'altro di contrazioni mentre vomitate ogni dieci minuti. A un certo punto persi la cognizione del tempo, scandito soltanto dal battito del cuore del mio piccoletto che rimbombava dal monitor per tutta la sala travaglio. Intanto un contatore mi avvisava che stava arrivando un'altra ondata di dolore: vedevo i numeri salire veloci, salire sempre di più, mentre le contrazioni aumentavano e io pregavo che quei numeri si fermassero e mi dessero tregua.
A un certo punto arriva l'ostetrica del turno notturno. La donna più brutta e sgraziata dell'emisfero, con una grande esperienza di vacche e cavalle ma ben poca di donne, credo. Mi smucina come se stesse cercando il portafogli dentro lo zaino da trekking e sentenzia "avoja a te, signo', qua stamo ancora a cara mamma". E come era comparsa, così scompare nel buio dell'ospedale immerso nella notte romana.
A proposito di notte romana, la leggenda vuole che, quando mio marito mi esortò a guardare il panorama del fiume inargentato dalla luna, io gli abbia ruggito un VAFFA che si sarebbe sentito fino a Trastevere. Ma non credeteci, sono pur sempre una signora...

Insomma la notte si consuma così finché all'alba, alla visita del cambio turno, mi dicono che il parto è aperto di 1,5 cm. Cioè NIENTE! Mi ricordo di avergli detto che se non si decidevano a intervenire me ne andavo a casa (a fare cosa non so, ma davo di matto).
A questo punto, inizia l'incubo.

Hanno la folgorante idea di darmi dell'ossitocina, cioè la sostanza che provoca le contrazioni per velocizzare il parto. Qualcuno di voi si sarà certamente chiesto che cosa avessero fatto nel frattempo di tutte le mie analisi ed ecografie, da cui si vedeva chiaramente che il bambino aveva DUE giri di cordone intorno al collo: ecco, non ci hanno fatto un picchio lesso. Nulla di nulla. Nessuno me le aveva chieste, nessuno aveva controllato una beneamata. Che cosa accade, quindi? Che le contrazioni innaturali stringono il cordone e il cuore che finora aveva rimbombato regolare e velocissimo (l'avete mai sentito il cuore di un bimbo nella pancia? Da spaccare il tuo, di cuore) inizia a rallentare. Rallenta, rallenta... Nella sala travaglio scoppia il pandemonio, chi urla "chiamate il medico!" (ma prima no?!), chi risponde "fate uscire il padre!" (perché?! PERCHE'?!). Finalmente arrivano ben due ginecologi, freschi come rose di maggio, che mi valutano e mi comunicano che sono desolati ma devono per forza farmi un cesareo. Rispondo col poco di energie rimaste che non mi sembra quello il problema vero, che facciano quel che devono e mi liberino dall'incubo. Le infermiere mi preparano lì stesso per l'intervento, senza nemmeno portarmi in sala parto, mentre i due luminari si scambiano smancerie tipo "vuoi farlo tu?", "ma prego fallo tu, ci mancherebbe". Mi fanno l'epidurale e dopo un po' inizia l'intervento.

Pensate che sia sufficiente? Il meglio deve ancora venire, perché il bastardo che mi taglia la pancia per far nascere mio figlio non solo non mi dice una parola una volta tirato fuori il bambino sano e salvo, manco fosse una cistifellea marcia, ma fa il cascamorto con l'ostetrica e intanto mi RIMPROVERA! Avete capito bene. Meritavo i suoi rimbrotti perché:

  1. avevo troppi fibromi nell'utero e l'operazione gli imponeva più attenzione: "non me li sono andati a comprare al supermercato, dottore, e poi erano evidenti dalle ecografie che non avete guardato".
  2. ero troppo grassa e lui non poteva farmi una cucitura a pennello: "ma come mi vuoi ricucire, pezzo d'imbecille, a punto croce?!" (però questo l'ho solo pensato perché non avevo più forze)

A quel punto l'anestesista, benedett'uomo tra gli uomini, mi accarezza la testa e mi rassicura: mio figlio è nato e sta bene. Sono le 11,28 e sono lì da quasi dodici ore. Dodici ore di dolore e paura, sola e maltrattata. Allora il mio corpo inizia a tremare senza controllo: tremavano le gambe, tremavano le mani, battevano i denti, un movimento spasmodico che non ero in grado di governare in alcun modo. Era paura, era stanchezza, era solo l'effetto degli anestetici, come poi mi spiegarono? Non capivo nulla.
Poi Andrea pianse. Qualcosa che stava serrato nella mia anima si aprì, un coperchio, un tetto, un limite, un incubo. Mi sentii disfare di lacrime. Un fiume inarrestabile, caldo, meraviglioso, che mi riportava nel pieno della vita dopo che ne avevo toccato i bordi.

Il trauma me lo portai dietro per settimane, io che avevo sempre creduto nei medici e negli ospedali perché mio padre era un medico ospedaliero e mai mi sarei aspettata di subire del male da quel mondo. Ci misi tanto a convincermi che non era stata colpa mia, che non avrei potuto fare niente per evitarlo e che la responsabilità era di qualcun altro. Mi trovai dopo pochi giorni in un baby blue da manuale, tramortita di stanchezza e di dolore.
Ma Andrea mi curò. Un giorno, poco prima della poppata, mi fissò coi suoi occhi blu con l'espressione di chi si chiede "ma ti ho già visto da qualche parte?" e poi il visetto gli si illuminò: aveva capito che la tetta e la testa erano montate sullo stesso asse e che da quel giorno ci saremmo rivisti di certo.

Sort:  

Grazie per l'avvertimento, dopo averlo letto sono sceso fino ai commenti e rimanderò la lettura a tempi tranquilli.
Proprio nelle ultime settimane (visto che ormai mancano due mesi) siamo arrivati, per altre vie, a riflettere su questo argomento. E' davvero molto impressionante. Ci siamo inizialmente un po' impauriti, però adesso stiamo prendendo tutte le precauzioni che possiamo. Non arriveremo impreparati.

Credo che avere in sala parto il proprio ginecologo e/o ostetrico aiuti molto, più per il clima emotivo che per reali problemi di competenza. Io sottovalutai questo aspetto, ma oggi non rifarei lo stesso errore.
Poi va detto che in genere le strutture pubbliche sono ormai del tutto affidabili, specie dalle vostre parti, e che per lo più le cose filano lisce. Vi auguro di godervi in pieno l'esperienza più incredibile che esista a questo mondo. Auguri 😘

Bella, che sei! 😍

Visto che anche allora portavo i capelli corti? 😘

Eh, gia´...

Poi leggo certe cose e più mi passa la voglia di fare figli in futuro D:

No, non accade sempre così e, in ogni caso, tuo figlio ti innamora al punto che rifaresti tutto da capo pur di averlo tra le braccia. Provare per credere 😍

Che dire, mi hai tenuto attaccato allo schermo dalla prima all'ultima frase dell'articolo... E tutto ciò è sconcertante, non ho parole

Grazie di averlo letto. Sì, sconcertante davvero.

Il discorso è complesso. Ma certamente la componente sessista del mancato rispetto dei diritti in ospedale è materia assai seria

Non so darmi una spiegazione, nemmeno dopo tanti anni. Uomini e donne, senza differenza, farabutti veri. Posso arrivare a capire quelli che lavorano coi malati oncologici, col dolore umano lancinante, che si devono proteggere il cuore con metri cubi di cinismo. Ma in sala parto perché?

Oddio, il lieto fine addolcisce decisamente questa vicenda da incubo. Roba da macellai. Complimenti per aver retto e sopportato il tutto, solo rispetto per chi è disposto a tutto questo pur di generare una nuova vita.

Sembrano frasi fatte, ma è vero che basta qualche settimana per dimenticarsi la parte peggiore. Del resto lo dimostra il mondo, che continua a riprodursi 😉

Complimenti per il post! ti ho messo il FOLLOW ricambi? buon lavoro!

Certo. Grazie per l'apprezzamento.

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