L'uomo nero

in #ita7 years ago (edited)

Un po' prendendo spunto dal post recente di @martaorabasta, un po' costretta dai fatti di cronaca che in parte mi hanno toccato da vicino, vi racconto una storia. Non è una bella storia, almeno allo stato attuale delle cose. Se però accogliamo l'invito degli antichi a sospendere il giudizio su una vita umana fino a che quella vita non sia giunta al termine, magari teniamo aperta la porta alla speranza che il sole torni a brillare.


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Parlo della vita di una ragazza di diciotto anni, che chiameremo Martina, come migliaia di ragazze della sua età. Martina frequenta l'ultimo anno del liceo ed è una ragazza delicata e timida, un po' per indole, un po' perché tre anni fa ha perso il padre all'improvviso. I suoi compagni di classe l'hanno supportata e le vogliono molto bene, cosa che le ha creato intorno uno spazio di protezione. Anche gli insegnanti hanno cercato di starle vicino, dandole tempo per recuperare fiducia, energia, voglia di sorridere. Passa il tempo e le cose sembrano procedere abbastanza serenamente. Quest'anno c'è anche l'esame di maturità. E' vero che la burocrazia non lo chiama più così, ma si sa quanto certe cose compenetrate nel vissuto di generazioni siano dure da modificare. Quindi tutti i ragazzi continuano a usare questa espressione nostalgica e, nelle nostre chiacchiere davanti alla macchinetta del caffé, liberi dalle pastoie dello scolastichese, anche noi prof.


Martina e gli altri sanno che questo è l'ultimo anno prima dell'applicazione della riforma dell'esame e che quindi loro sono gli ultimi che affronteranno la famigerata terza prova, che alcuni chiamano orrendamente quizzone. E saranno gli ultimi anche a dover preparare il famoso percorso multidisciplinare, altrimenti detto tesina. Quindi cominciano a guardarsi in giro, cercando l'argomento su cui fare le proprie piccole ricerche, annusano, sfogliano, ascoltano una lezione e si fanno venire un'idea, poi un'altra e poi forse ancora un'altra. E, a volte, chiedono consiglio a un insegnante. Così fa anche Martina, che vorrebbe approfondire quel tema trattato la settimana scorsa dal Prof. X. E il Prof. X si mostra molto interessato all'idea che lei gli illustra, tanto che le presta un libro per seguire il suo filo di ricerca. Così Martina, molto fiera di se stessa e onorata della disponibilità del Prof. X, inizia a leggere il libro e a seguire quel filo. Naturalmente, col passare del tempo, il Prof. non dimentica la propria disponibilità e s'informa degli sviluppi della ricerca, le chiede che impressione le abbia fatto la lettura, le suggerisce di sottolineare i passi più significativi per discuterne insieme. Così Martina ogni tanto, tra un compito in classe e un'interrogazione, torna a scuola con appunti e cose da condividere col Prof. X, il quale per praticità, come fa spesso con molti altri studenti, le dà il suo numero di cellulare, in modo che lei possa comunicargli più velocemente, anche in orario extrascolastico, tutto quello che le passa per la testa a proposito dell'argomento Y. E Martina, che ha davvero a cuore la questione perché vuole fare un lavoro serio per l'esame e non vuole deludere il suo insegnante, continua a seguire quel filo iniziale e a intessere uno scambio di comunicazioni con lui.


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Piano piano, sms dopo sms, i mesi che passano portano nella vita di Martina una familiarità e una consuetudine con l'adulto che l'adulto in questione non ha con gli altri ragazzi della classe e che a un certo punto lei inizia a non saper più gestire. Perché lui è ormai depositario delle sue confidenze, si spinge a parlare anche di argomenti riservati, intimi, sempre più intimi, raggiungendola ovunque e in ogni momento tramite i suoi messaggi. Centinaia, migliaia di messaggi. Finché, con tutto il rispetto che Martina sa portare ad un adulto che, in più, è un suo insegnante, garbatamente gli chiede di smettere, gli dice che non vuole più essere oggetto di quelle attenzioni che per lei sono ormai diventate importune. Lui è ferito nel suo orgoglio di maschio rifiutato, cui risulta incomprensibile che una donna non cada ai suoi piedi, lui che sfoggia la sciarpa e il maglione da esistenzialista e ha fatto il settantasette e stava a Via dei Volsci, mica cazzi. Solo che, piccolo dettaglio della storia, con le donne che hanno fatto il settantasette e stavano a Via dei Volsci, o magari solo nella Casa delle Donne a via della Lungara, lui si guarda bene dal provarci: motivo primo, quelle donne lì hanno la data di scadenza bella che andata stampigliata sulla coscia, motivo secondo, quelle donne lì rischia che magari gli rispondano "A ni', ma vedi d'annattene, te e 'sta sciarpa".


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Dunque, dicevamo, lui è ferito, porello. Così la mattina, in classe, non si fa sfuggire l'occasione di far capire a Martina che ha sbagliato decisamente risposta, con lui: le interrogazioni diventano percorsi a ostacoli, le verifiche piene di segni rossi, lui le corregge i tempi verbali, persino i puntini di sospensione. Il suo nove fisso, ormai, se lo può scordare. La cosa, col passare dei giorni, diventa evidente a tutta la classe, che inizia a fare due più due. Intanto, di pomeriggio, la ragazza è bersagliata di sms pieni di insulti pesantissimi, di battute volgari e offensive. Migliaia di sms. Così, sfinita, decide di chiedere aiuto a un'altra insegnante, la coordinatrice di classe, cui mostra i messaggi ricevuti. Solo alcuni, però, perché di molti altri si vergogna troppo. La Prof. resta senza fiato ma convince Martina a parlarne con la Preside, offrendosi di accompagnarla. Il dado è tratto. Il resto va a precipizio, forse ben oltre le sue intenzioni iniziali: sua madre sporge denuncia alla procura, la Preside rimuove il Prof. X e dopo qualche giorno la storia finisce in pasto ai giornali. Ne parla persino il telegiornale, prima regionale, poi anche nazionale. Tutti sanno tutto, tutti ne parlano. Ogni giorno i giornalisti stazionano davanti alla scuola, all'entrata e all'uscita, i ragazzi vengono infilati, inconsapevoli, nel tritacarne mediatico dei processi via chat, via video, via stampa. Via. Via, Martina vorrebbe volare via, invece quello che l'aspetta sarà l'odissea delle interrogazioni del giudice, delle testimonianze, dei confronti per stabilire chi e cosa e quando e quanto. Durerà ancora anni, quegli anni che una ragazza della sua età dovrebbe avere come i più sereni, affacciati al futuro, l'università, il fidanzato, il gruppo di amici. Pulizia del cuore che non sappiamo quando la vita le regalerà di nuovo.

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Martina è solo una dei tanti, innumerevoli ragazzi che vengono fatti oggetto di attenzioni particolari da un insegnante. Non ho usato le virgolette perché per particolari intendo davvero una gamma di variabili che vanno dalla situazione più grave, coperta dal codice penale, a quella più soft. Io stessa, da ragazzina, l'ho provato sulla mia pelle. Per carità, nulla di gravissimo ma, nella mia psiche di creatura alla ricerca, il fatto che un/una mio/mia insegnante mi considerasse diversa da tutti gli altri, che mi trattasse in modo speciale, mi ha segnato profondamente per il futuro. Ho capito con molto dolore che di speciale io non avevo nulla in più di quello che ha ciascuno di noi e la fatica che mi è costata ricostruirmi un'autonomia di giudizio su di me mi ha reso un'insegnante molto cauta nei rapporti con gli alunni. Troppo cauta, direi addirittura bloccata per molti anni. Solo il pensiero di poter essere un rischio per la loro autostima, per la loro crescita, mi ha reso diversa da quella che sarei stata in realtà, perché quella distanza che mantenevo faceva male anche a me.

Oggi è un'altra storia, sicuramente anche perché sono madre. Per questo oggi, che guardo Martina, Giulia, Francesco, Alice, Simone e tutti loro come fossero figli miei, scoprire che c'è qualcuno accanto a me, che apre il cassetto vicino al mio, che beve lo stesso caffè ma che li guarda come oggetti di desiderio mi spacca il cuore. Dov'ero io mentre l'uomo nero lavorava nell'ombra?


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Condivido quello che @claudiop63 asserisce, spesso mi vergogno di essere uomo e di essere rappresentato da simili figure

Per fortuna oggi le cose emergono.

gran post como siempre amiga, y felicidades por tus buenas imágenes, saludos de tu seguidor:)

C'è da vergognarsi di essere maschi. O da accettare semplicemente che una componente della natura maschile è basata sull'istinto della presa, della conquista della preda, per non dire della sopraffazione. Quello è il pezzo "rettiliano" del nostro cervello, ma per fortuna la stragrande maggioranza di noi ha anche altri pezzi funzionanti (ragione, cultura, Super Io, empatia...chiamateli come volete), che confinano gli effetti del testosterone alle situazioni in cui questi sono "virtuosi"... Che tristezza, che rabbia, che dolore sentire queste storie. Un uomo che si approfitta di una donna in senso fisico (o psicologico se lei è giovanissima) è sempre e comunque un uomo di merda.

Un io non compiuto, non adulto deve essere foraggiato dal compiacimento che viene dal fascino esercitato sugli altri. Tristezze umane assai diffuse, purtroppo.

Sessualità predatori e cultura del patriarcato. Non so se ci sia da vergognarsi. Ma certo un po' di consapevolezza di genere non può fare male

Molte cose lasciano attoniti. La ferita prodotta da un capovolgimento della fiducia, come avviene alle piccole vittime del sacerdote che avrebbe dovuto proteggerli e guidarli, è la più difficile da rimarginare. Post interessante

Grazie. È un dolore misto a rabbia, contro lo scandalo del dolore e della vergogna inflitta ai piccoli.

Un bel racconto per una brutta storia. L'ho letto con piacere.

Sì, una storia dolorosa. Grazie.

A good story in commitment.

Good post

E poi c'è il sessismo e la misoginia, soprattutto sul lavoro ma non solo.... L'autostima delle donne è sempre in allerta. Fenomeni anche questi subdoli e spesso, troppo spesso, tollerati proprio dalle donne. ( Certe volte c'è da vergognarsi anche di essere donne...eh! @claudiop63 )Saperli riconoscere e stigmatizzarli sarebbe un grande passo in avanti. Bel post.

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