Sinfonia numero 9.

Ecco la mia partecipazione al contest di @fulviaperillo

“Noi, esseri finiti, personificazioni di uno spirito infinito, siamo nati per avere insieme gioie e dolori; e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza.”
(Beethoven)

Anne si sedette al tavolo del primo bar che conosceva a Berlino. Era molto che non tornava in quella città.
Le era mancata molto e quando finalmente era scesa dal treno, aveva inalato l' aria berlinese come se odorasse un dolce profumo.
Berlino era stata la città della sua infanzia e anche quella dove aveva terminato i suoi studi classici.
Prima che i tour la inghiottissero, che la vita si facesse frenetica, prima che Marcel la lasciasse sull' altare, prima che lui le gridasse " Ami più la musica di me".

E che poteva replicare Anne?
Aveva ragione Marcel, lei poteva lasciare Marcel, dimenticarlo e cercare un altro strumento con il quale il suo ritmo si accordasse, ma non poteva lasciare la musica.
Era cresciuta vivendo di essa e con essa, era parte di le, come una gamba o un braccio.
Senza essa sarebbe stata monca.
Suo padre l' aveva educata a pane e musica classica, sua madre cantante le aveva fatto amare la lirica.
Lei giovane ragazzina si era innamorata del violino e aveva dedicato anima e corpo allo studio.
Quante serate e nottate passata a sentirsi inadatta a quello strumento, quanto dolore quando il suono le usciva stridulo o quando non suonava correttamente.
Quanti aspri rimproveri le aveva fatto il suo insegnante, lo ricordava ancora, l' austero signor Gottemberger, con i suoi midi duri e severi.
Modi che l' avevano formata a dovere, rendendola degna dopo il conservatorio di entrare in una delle più prestigiose orchestre tedesche.
Aveva temuto di non essere all' altezza ed invece aveva superato tutti gli ostacoli che le si erano parati davanti egregiamente.
Con impegno,allenamento e costanza.
Anne bevve il suo caffè e per poco non si scottò la lingua, quella miscela infernale era bollente!
Si lasciò avvolgere dai suoni del bar, dalle chiacchere ciarliere, era tornata a Berlino per un motivo non piacevole ma la città le dava ancora gioia.
Il signor Gottemberger era deceduto pochi giorni prima, un infarto, le aveva detto la moglie, un colpo durissimo per tutti, familiari, amici, conoscenti ed ex allievi.
Lei non poteva non celebrarlo, lui le aveva insegnato tutto e le aveva regalato il suo unico, grande amore, la musica.

Si alzò dal tavolo e si avviò verso la sua destinazione, mancava poco all' inizio della cerimonia, il suo violino era lì con lei, non lo abbandonava mai, sua madre lo appellava scherzosamente "il mio nipotino". Forse un tentativo di rimarcarle quella mancata maternità che tutti si aspettavano da una donna, un velato rimprovero alla sua scelta di prediligere carriera a famiglia.
Sua madre dovette lasciare le sue ambizioni in un cassetto per lei, il canto divenne un hobby e non la sua ragione di vita, forse pensò Anne, provava per lei un pizzico d' invidia.
Anne non voleva figli, aveva il suo violino con il quale partoriva suoni fantastici, non aveva bisogno di creare altro.
Si avvicinò al luogo del funerale e se ne accorse immediatamente di essere nel luogo giusto, le note dell' Inno alla gioia si spargevano nell' aria, suonate da un gruppo di uomini e donne di varie età, certamente ex allievi del professore, la composizione non era perfetta, non tutti erano talentuosi, alcuni erano goffi, ma trapelava un emozione così forte che Anne non esitò ad unirsi a loro.
Quello era l' unico modo per comunicare che conoscesse e in quel modo voleva salutare il suo mentore.
Non era L'Inno alla gioia una scelta azzeccata per chi si dirigessi in paradiso? O per chi lo aveva fatto conoscere a lei, dentro le note.

Immagine di @fulviaperillo