PRIMO CARNERA, anatomia di un fenomeno mediatico
Primo Carnera, anatomia di un fenomeno mediatico
Primo Carnera oggi? Sarebbe sicuramente una web star, un influencer, uno di quei personaggi dei social media con pagine facebook o profili instagram o canali YouTube da milioni di followers.
D'altronde il gigante friulano fu il più grande fenomeno mediatico, (come si sarebbe detto molti decenni dopo) degli anni Trenta del secolo scorso.
Secondo alcuni storiografi uno dei personaggi più raffigurati della sua epoca. Nel periodo a cavallo della conquista del titolo mondiale dei pesi massimi, avvenuta nel 1933, persino più di personaggi, che poi segneranno la storia del “secolo breve” come Benito Mussolini.
“Il fatto è – spiega Gino Argentin, storico e collezionista, proprietario di una delle raccolte iconografiche più complete sul campione di Sequals - che tutti volevano farsi fotografare accanto a Carnera, dai regnanti, agli statisti, alle star di Hollywood, all'uomo della strada. Tutti erano desiderosi di avere un'istantanea ricordo accanto a quella montagna umana. E lui, sebbene fosse uno degli uomini più celebri del mondo, a memoria d'uomo, non ha mai negato una foto a nessuno”.
Primo Carnera, Il musichiere, 1958
Immagine CC0 creative commons
Stiamo parlando di un epoca in cui la diffusione dell'informazione e della conoscenza sono affidate quasi esclusivamente alla carta stampata e a qualche raro filmato.
La quasi assenza di video rende preziosa ogni singola foto e allo stesso tempo alimenta l'epica. Una video intervista rende un personaggio più vicino, più famigliare alla platea di quelli che oggi vengono chiamati followers, termine che condensa i significati di spettatore, sostenitore, emulatore. La fotografia, invece, mantiene quella distanza indispensabile ad accendere la fantasia e a rendere i personaggi quasi mitologici.
Carnera compare in quotidiani, periodici, riviste, poster, gigantografie pubblicitarie, fumetti, fotoromanzi, francobolli, ma le sue apparizioni in video si limitano ai match e a qualche rara intervista dell'Istituto Luce.
Dal punto di vista mediatico, la fascinazione esercitata da Carnera sulle masse poggiava fondamentalmente su due aspetti, due elementi eterni, senza tempo.
Tra la nostra epoca e la sua, per quanto attengono gli strumenti e le tecnologie della comunicazione, sembrano essere passati mille anni, non ottanta. Eppure quegli stessi due aspetti sono in grado di determinare anche oggi come allora il successo, la popolarità, l'attrattiva (o appeal) di un personaggio.
Innanzitutto il fatto di essere un “mostro”. In un'epoca in cui l'altezza dell'italiano medio non arrivava al metro e settanta, Carnera con i suoi due metri e 5 centimetri e i suoi 120 chilogrammi di peso esprimeva una fisicità assolutamente fuori dall'ordinario. Non era solo un atleta, un uomo prestante. Era un gigante. Quasi un Ercole, quindi una figura che sta a metà tra l'umano e il sovrumano. La sua mole, tra l'altro, è stata talmente osannata da far diventare il suo nome antonomastico di una possanza fisica fuori dal comune. Un uso che nella lingua italiana dura tutt'ora e che è stato perfino consacrato nei dizionari, dove oggi, alla voce “carnera” si legge: Persona di corporatura eccezionalmente grande e robusta.
In anni in cui le telecamere non sono in ogni telefono e quindi nelle tasche di ognuno di noi come ai giorni nostri, anni in cui la pellicola costa un occhio della testa e i cinegiornali si proiettano, per l'appunto, al cinema, di filmati non ne se producono molti e quelli su Carnera, dicevamo, quantomeno quelli che si riferiscono agli anni ruggenti della sua carriera pugilistica, sono oggi pezzi rari da cineteca. Come il servizio dell'Istituto Luce, con annessa intervista, realizzato a Napoli nell'autunno del 1933 dopo il suo arrivo sul transatlantico “Conte di Savoia” per partecipare all'attesissimo match contro il basco Paulino Uzcudun. Qui il fresco campione del mondo si mostra in tutta la sua timidezza ed ingenuità, mentre ripete alcune frasi probabilmente imparate a memoria poco prima. Appare goffo, per non dire buffo, con il suo marcato accento friulano, rivelatore della sua estrazione popolare. Ma questo è il secondo aspetto che ne decreta l'incredibile successo. Carnera è l'incarnazione dell'outsider. E' come Rocky Balboa o altri personaggi simili, creati dalla cinematografia. E' il paradigma dello svantaggiato, che attraverso il lavoro, l'abnegazione e la fame di arrivare, mette a frutto le sue doti e raggiunge il successo, contro la sfortuna e contro ogni pronostico. E' l'emigrante che arriva da uno sconosciuto paesino del Friuli, un luogo perso da qualche parte nelle cartine geografiche, in una terra che nell'immaginario collettivo dell'epoca (e di molti decenni a venire) è solo montagne e pellagra. Viene da un passato di ristrettezze alla ricerca di un suo ruolo, di un suo posto nel mondo.
Carnera incarnava, quindi, due sogni, due emblemi. Quello della forza e della mascolinità italica, celebrato dal regime fascista (almeno fino alla sua sconfitta per opera dell'ebreo Max Baer e poi del nero Joe Louis), ma anche il sogno americano dell'emigrante che con il talento e il sudore arriva al riscatto sociale e al successo.
Venendo a cose e sentimenti di casa nostra, mi piace ricordare che Carnera è anche e soprattutto il più chiaro esempio della semplicità, della modestia, della concretezza tipiche dei friulani. Un popolo sald, onest e lavoradour. E bene ha fatto Elio De Anna, durante il suo mandato come presidente della ormai (ahimè) defunta Provincia di Pordenone a rilanciarlo come testimonial della nostra terra e dei suoi valori.
Carnera girava il mondo, ipnotizzava le folle, sedeva al tavolo dei grandi dell'epoca, sempre con la sua faccia gentile ed ingenua da contadino. Sempre consapevole e fiero delle sue origini e della sua “missione”. Che lui, magistralmente, ha saputo condensare in questa bellissima frase: “Tutti i cazzotti che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli”.
si ringrazia particolarmente per il suo contributo
Piergiorgio Grizzo - giornalista e scrittore
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Bel post :)
Grazie