FIUME come allegoria di trapasso

in #ita6 years ago

Il culto della morte è uno dei temi che da sempre mi appassiona e mi incuriosisce maggiormente: dalle civiltà del passato fino ai giorni nostri. In questo post cercherò di dare il mio contributo per la rubrica di @discovery-it, andando a fare un percorso multidimensionale e temporale su quella che è il legame tra vita terrena ed aldilà, facendo riferimento in particolar modo come un elemento strettamente terreno come il fiume , sia esso metafora di mezzo di transizione.
Inserisco anche il post introduttivo a questa tematica per chi volesse saperne di più e volesse apprezzare quanto scritto dai vari autori/redattori della rivista: L'arte, la storia ed il culto dei morti.
Buona lettura!

Nella mitologia classica


La mitologia classica ha avuto sempre un occhio di riguardo nei confronti del culto dei morti: riti funebri sontuosi per chiunque stesse transitando dal mondo dei vivi a quello dei defunti. Un viaggio cardine nell'esistenza di un'anima, posta dopo la morte corporea in uno spazio (vestibolo) in cui è tormentata per la non fissa dimora:

“Dammi sepolcro al più presto, eh- io varchi le porte dell’Ade,
ch’or me ne tengono lungi gli spiriti, l’ombre dei morti,
e non permetton ch’ io valichi il fiume, e con lor mi confonda;
ma presso all’ampie porte dell’Ade vagando m’aggiro.
E la tua mano dammi: piangiamo: ché mai dall’Averno
potrò tornare, quando m’abbiate affidato alle fiamme”

(Omero, Iliade, XXIII, 71-76)1

Un'angoscia da calmare al più presto, con un rito che celebri appunto questa transizione. Lo stesso Patroclo narrato da Omero nell'Iliade richiede con insistenza al cugino Achille di non esitare nell'atto del rito funebre, così che lui stesso possa attraversare il fiume Acheronte sulla barca del traghettatore delle anime dei morti, Caronte2, e lì unirsi alle altre ombre.

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CC0 Creative Commons
Michelangelo, Giudizio Universale, Cappella Sistina

Un iter che gli stessi greci rimasti in vita pativano, ma che allo stesso tempo sentivano come necessità e volontà, per rendere il proprio caro, ormai defunto, pronto per il regno degli inferi: sciogliere i suoi capelli, ungerlo con oli aromatici e poi, come ci dice lo stesso Omero del trafiletto sopra, porlo su una pira e bruciarlo.
Con due monete sugli occhi: quelle monete che avrebbero ripagato lo stesso Caronte per il trasporto oltre il fiume, senza le quali il trapasso non sarebbe possibile e l'anima resterebbe condannata ad un tormento eterno. Non a caso infatti durante le guerre antiche c'era la piena libertà da parte delle due fazioni di raccogliere i morti, così che questi fossero liberi di essere celebrati nel rito funebre.

Durante il Dolce Stil Novo

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CC3 Creative Commons

Nel Medioevo, nel pieno del movimento letterario denominato Dolce Stil Novo, nel suo viaggio immaginario, lo stesso Dante Alighieri nella prima cantica dell'Inferno della Divina Commedia incontra Caronte, un "vecchio, bianco per antico pelo". Nel canto III, il Sommo Poeta il traghettatore e lo celebra così, mentre sgrida le anime dei morti:

[...]"Guai a voi, anime prave!
Non ispirate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
E tu che sei costì, anima viva, pàrtiti da codesti che son morti".
3

Dante racconta questa figura mitologica ispirandosi all'Eneide virgiliana, in cui lo scrittore latino celebra proprio Caronte: un uomo costantemente irato, costretto per l'eternità a traghettare anime di peccatori da una riva all'altra.
Il poeta fiorentino nel raccontare questa figura non fa altro che celebrare Virgilio, la sua stessa guida (duca) nel suo viaggio nell'aldilà: infatti nel raccontare Caronte sostanzialmente non apporta alcune modifiche ed al massimo riduce all'essenziale la descrizione presente sull'Eneide.
Tra i versi Dante è molto attento nel descrivere anche le anime dei defunti che attendono il loro turno su una riva; esse sembrano come delle ombre ammassate e tutte insieme sembrano quasi cancellarsi dallo sgomento della morte:

qui sono anime isolate dalla solitudine della dannazione.4

IL CARONTE RINASCIMENTALE


Durante il rinascimento la figura di Caronte è tornata protagonista di una delle opere più famose al mondo: Il Giudizio Universale nella Cappella Sistina in Vaticano. Qui nel Rinascimento Michelangelo Bonarroti inserisce in una concezione cattolica un pizzico di pagano, riproponendo la figura del traghettatore. Anche in questo caso Caronte è collocato nell'Inferno e come per Dante il suo valore simbolico è riconducibile ad un uomo anziano non molto rispettoso delle anime trasportate: in effetti queste non erano altro che la parte spirituale di quegli uomini che in vita erano stati peccatori, quindi non degni di rispetto.
Michelangelo infatti volle trasmettere con il suo dipinto, in particolar modo con questa scena, come i peccatori anche nella vita ultraterrena non sarebbero stati rispettati; quasi come a suggerire a chi vedesse quella scena di non proseguire nel peccare, ma pentirsi prima della morte, così da non fare quella fine.

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CC0 Creative Commons
Michelangelo, Giudizio Universale, Cappella Sistina

VARANASI: la porta per il Nirvana


Nel mondo moderno il legame classico con il significato simbolico del fiume si è perso, ad esclusione di una religione lontana migliaia di chilometri dalla Grecia e dalla tradizione classica, religiosa e letteraria: la fede induista.
La mia grande passione per le religioni, soprattutto da un punto di vista cognitivo, più che spirituale, mi ha portato ad interessarmi ed incuriosirmi in passato anche di una delle città più spirituali dell'intera India: Varanasi 5

Questa metropoli di oltre 3.5 milioni di anni fa, ruota completamente intorno al Gange, il fiume sacro per la religione induista. Se potessimo fare un paragone con altre religioni, Varanasi è come La Mecca per i musulmani e Roma per i cristiani cattolici. E' un luogo sacro dove ogni induista deve recarsi almeno una volta nella propria vita, per immergersi nel fiume sacro ed essere purificato da ogni peccato.
Nella città esistono infatti 5 ghat, che sono scalinate che partendo dalla riva occidentale del fiume si immergono nelle sue acque. In un rito estremamente spirituale i fedeli pregano stando immersi fino al bacino con l'acqua che svolge un ruolo di protagonista.
Varanasi però ha anche un secondo ruolo spirituale molto importante nella religione induista: in questa città è possibile per gli uomini aggirare il saṃsāra, ovvero il ciclo di vita-morte-rinascita che ogni anima per l'eternità compie, con la consapevolezza di potersi reincarnare in un'altra forma, indipendentemente da quale fosse la precedente. Ciò avviene quando si muore proprio in questa città e si viene celebrati in un rito di cremazione.6

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CC3 Creative Commons

Ma Varanasi è anche la porta che conduce all'aldilà, alla purificazione: la città piena di pire, un po' come quelle classiche greche di cui parlavamo ad inizio post, porta alla mente la morte, le ceneri di quei corpi ormai defunti. Quelle polveri sono sparse nelle acque del fiume sacro Gange, impersonificato addirittura dalla dea Devi, così che possano purificare completamente l'anima del defunto. Non sempre però i morti e le loro famiglie si possono permettere di essere arsi (non vengono bruciate mai donne incinte e bambini) e così i corpi, poggiati su delle zattere, vengono lasciati liberi sulla superficie del fiume, trasportati dalla corrente.
Un rito funebre che riconduce a nuova vita.
Si stima che ogni anno siano bruciate sulle rive del fiume Gange circa 32.000 defunti e le cremazioni generino approssimativamente 300 tonnellate di ceneri, che poi sono gettate nelle acque del fiume. A questi numeri si aggiungono anche 200 tonnellate di resti umani.7

Un grandissimo scrittore e giornalista Italiano, Tiziano Terzani, trascorse gran parte della sua vita in India e in più occasioni parlò di questo Paese come uno dei più difficili in cui vivere8; allo stesso tempo però con grande consapevolezza raccontò il profondo legame spirituale che lega gli indiani alla morte, tanto da porlo spesso in contrapposizione alla superficialità occidentale:

«O chi riflette più sulla morte? Quella per noi occidentali è diventata un tabù. Viviamo in società fatte di ottimismo pubblicitario in cui la morte non ha posto. È stata rimossa, tolta di mezzo.
Ogni indovino che vedevo, invece, me la rimetteva davanti. Già nel corso della mia vita com’è cambiata, la morte! Quand’ero ragazzo era un fatto corale. Moriva un vicino di casa e tutti assistevano, aiutavano.
La morte veniva mostrata. Si apriva la casa, il morto veniva esposto e ciascuno faceva così la sua conoscenza con la morte. Oggi è il contrario: la morte è un imbarazzo, viene nascosta.
Nessuno sa più gestirla. Nessuno sa più cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre più rara e uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella di un altro».
(Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, 1995) 9

Bibliografia
1 Iliade
2 Caronte, il traghettatore dei morti
3 Dante Alighieri incontra Caronte nella Divina Commedia
4 Vittorio Sermonti racconta la Divina Commedia (libro di mia proprietà)
5 Video Documentario di Varanasi
6 Saṃsāra and Rebirth
7 L'inquinamento del Gange dovuto a ceneri e corpi
8 Tiziano Terzani e la sua opinione dell'India
9 Estratto dal libro di Tiziano Terzani, Un indovino mi disse (libro di mia proprietà)

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Veramente un componimento notevole e corposo, frutto di un sapiente lavoro fatto in maniera ineccepibile da parte tua, caro @moncia90, complimenti per questa tua validissime proposta e per la profondità della tematiche affrontate, trattate perfettamente

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Grazie Mad!!
È un post che mi ha rischiato molto tempo e cura nella ricerca sulle fonti.

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Grazie per aver portato questo punto di vista aggiuntivo @moncia90!
Molto interessante!

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