Bagnanti

in #ita5 years ago

A quell’ora la luce era talmente forte e calda da essere bianca, come un dolore forte e improvviso che scuote il cervello.

Danso era lì, e non sapeva nemmeno lui il perché.

Vedeva i loro sguardi, li vedeva ogni giorno, almeno all’inizio. Il problema, per uno come lui, in un posto sempre talmente pieno di persone diverse da lui, era proprio quello: prima, tutti ti guardavano, e ti facevano sentire diverso e solo.
Una volta abituati alla tua presenza, non ti guardavano più, e ti facevano sentire diverso e solo.

Come quando muore un gatto in mezzo alla strada, magari vicino ad un incrocio. Prima in molti lo notano, qualcuno si dispiace, e poi presto viene ignorato, e poi dimenticato, mentre quasi a causa di questa dimenticanza – anche se non è per quello in realtà – inizia a diventare altro, fino ad essere come una macchia sull’asfalto e poi ancora un’ombra e poi infine più nulla.

Danso si sentiva così: un’ombra che tende al nulla.
Camminava su quella spiaggia da quasi tre mesi, ormai.
Undici ore al giorno, tutti i giorni. Crich crich croch sotto i suoi piedi, la sabbia sembrava dirgli che i suoi passi erano fastidiosi per quella terra.
Camminava su quella spiaggia senza sapere del tutto chiaramente come ci fosse arrivato.
Aveva ricordi confusi.
Botte, fughe, gente, botte, soldi, barca, mare, barca, annegamenti, barca, mare, terra, botte, merce, vai.
Da quel momento, crich croch croch crich crich croch su quella spiaggia, con delle scarpe ai piedi che si sfaldavano e diventavano prima ombra poi nulla, mentre tutta quella gente, quella gente diversa – tutta bianca e tutta ricoperta di creme – stava per ore sdraiata senza fare nulla a guardarlo passare, con indifferenza, prima che arrivasse ben presto il momento di ignorarlo.

Quella gente.
Quella gente lo faceva fermare. Lui sperava che comprassero qualcosa – e ogni tanto lo facevano. Ma più spesso lo facevano fermare e lo deridevano, lo prendevano in giro, toccavano e provavano tutto e poi dicevano ridendo di non avere soldi, dando di gomito al loro compagno o ai loro amici.
Quella gente gli tirava distrattamente piccole pietre, giusto perché la noia è un potente alleato per la crudeltà.
Tutta. Quella. Gente.
Crich crich croch.
Danso non ricordava più le botte, né le fughe, né il mare.
Ora era in un ripetersi circolare di spiaggia, persone, ombrelloni, e continuava a camminare.
Senza scopo, senza motivo: non gli interessava nemmeno vendere. Faceva quello perché vi era costretto, né gli sarebbe più importato molto di fare qualsiasi altra cosa.

..

Quasi tre mesi.
Era ormai la fine di agosto. Danso camminava da ore, il sole era sempre alto e feroce.
A un tratto, si fermò, esausto, e pensò che poteva anche morire, lì e subito, e sarebbe stata una liberazione. Non vi era gioia, in quel pensiero, perché Danso non poteva più sapere cosa fosse, la gioia.

Ma una leggerezza, quello sì.
L’idea di un fardello che viene tolto da una schiena dolorante.
Una piccola pietra lo colpì dietro il ginocchio, interrompendo i suoi pensieri.

Oh, tu, levati, mi copri il sole!”.

Danso si girò con calma, con un’espressione quasi sorpresa, indifferentemente sorpresa.
Davanti a lui, seduti sui teli da spiaggia, due ragazzi, un uomo e una donna, entrambi sui venticinque anni più o meno. ‘Una coppia, forse’, pensò Danso, senza motivo, per un secondo.

Lui era insignificante, con quell’aria da bullo con qualche soldo in tasca, racimolato senza avere alcuna abilità specifica, il classico tipo coi capelli in ordine, una faccia un po’ sciocca, tanti tatuaggi alla moda e un profilo instagram ben curato.
Aveva accanto a sé una piccola borsa, dentro cui si vedevano delle chiavi di un’auto sicuramente piuttosto costosa.
Lei era altrettanto insignificante, con grandi labbra rosse, una vistosa ricrescita nera seguita da un biondo che andava via, un costume a due pezzi, giallo, troppo stretto, lo smalto sulle unghie dei piedi.

L’hai capito, cretino? Levati.

Danso conosceva molto bene l’italiano. Non era bravo a parlarlo, ma lo capiva. Vedevano molta tv italiana, dove viveva lui prima, prima che dovesse fuggire o che lo cacciassero, non lo ricordava bene: forse entrambe le cose.
Ma a Danso, in quel momento, non importava nulla.

Si era creata in lui un’idea, mentre pensava alla possibilità di morire. Anzi, più che un’idea, si era ricostruita in lui una serie di immagini, e le immagini sono potenti.
Era stata un’illuminazione, forte quasi come il sole alto e feroce che gli cuoceva l’anima ad ogni passo.
In quel momento in cui il suo essere uomo pareva non valere che zero, si era rivisto piccolo, bambino, neonato.
Un piccolo Danso, tutto nero nero, con degli occhi enormi aperti su un mondo per lui nuovo, labbra piccole ma sporgenti, con quell’aria corrucciata tipica dei neonati.
Si vedeva tenuto in braccio da sua madre, la testa della sorellina più grande che sporgeva da dietro il braccio della donna, ad ammirarlo. Altre donne del villaggio lì a dare una mano alla famiglia alle prese con un bambino così piccolo. I doni del resto degli abitanti.

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Era quella, l’idea che aveva fatto scattare un sentimento.
L’idea che anche Danso, in un certo momento e almeno per quello, era stato importante per qualcuno.
L’idea che anche Danso potesse essere curato, e coccolato, e amato.
Botte, fughe, gente, botte, soldi, barca, mare, barca, annegamenti, barca, mare, terra, botte, merce, vai.

Una pietra più grossa, stavolta sulla pancia.

Stronzone, non la capisci la mia lingua? Ti togli? Ci stai facendo ombra!”.

Attorno a loro, persone, bambini, famiglie, coppie, uomini e donne, tutti distoglievano lo sguardo e si fingevano impegnati in altro, come dei gregari davanti allo scontro di due maschi per la conquista del comando sul branco.
Danso era confuso.
Aveva sul volto, sulla guancia destra, la sensazione della carezza di sua madre, così come stava avvenendo nell’immagine che aveva in testa poco prima.
Aveva dentro di sé una sensazione dimenticata, crescente, un sentirsi di nuovo essere umano, dopo le botte e le fughe e il mare e il crich e il croch sotto i piedi.
E intanto questo strano uomo davanti a lui diceva parole sbagliate, e aveva un atteggiamento tagliente e sembrava uno di quelli che botte e barca e mare e vendi e vai.

Il ragazzo si era alzato.
In mano aveva il supporto dell’ombrellone, la parte tubolare con la punta che si pianta nella spiaggia e che poi ospiterà il vero e proprio ombrello.
Lo teneva basso, lungo la gamba.
Ora si avvicinò di qualche passo a Danso, che stava ancora immobile, come se il suo corpo fosse lì e la sua mente faticasse a raggiungerlo in quel ritaglio di cosa che chiamiamo presente, o realtà.
La sua donna, ancora seduta, sfogliava distrattamente una rivista, e altrettanto distrattamente disse: “Amo’, lascialo stare dai, ora se ne va”.
Mi stai pigliando per il culo, giusto? Perché secondo me fai finta di non capire”, disse il ragazzo, ignorando al ragazza, guardando Danso dritto negli occhi.
Poi, brandendo il pezzo di ferro di ombrellone: “Ora te lo spiego chiaro”.

Ai funerali del ragazzo presenziarono tantissime persone, molte delle quali erano giovani coetanei. Anche chi non conosceva per nulla il ragazzo si sentì offeso e minacciato e indignato e decise che essere a quel funerale avrebbe significato qualcosa.
Fu difficile recuperarne il corpo.

Danso riversò tutto il dolore per l’amore perduto, l’amore di bambino, l’amore della madre, l’amore che gli era stato strappato dal ricordo e dal cuore a furia di botte e notti in mare mentre i compagni annegavano e la costrizione a camminare tutto il giorno crich crich croch crich su una spiaggia piena di persone diverse da lui che pensavano fosse prima un fastidio poi un’ombra poi infine nulla.

Non appena il braccio del ragazzo si alzò, Danso gli infilò, veloci e feroci, due dita negli occhi, spappolandoglieli verso il cervello.
Non sapeva nemmeno lui cosa stesse facendo, né d’altra parte ebbe mai il tempo di pensarci su.
Spinse e spinse, e le urla disgraziate del ragazzo, che non riuscì a reagire in alcun modo per la sorpresa per il dolore e per il terrore, non lo mossero verso alcuna compassione.
Danso allora subito si mosse, si mosse verso il mare, tirando a sé la faccia, la testa del ragazzo, al quale era ormai come incastrato coi pollici nelle orbite.
Quello dibatteva i piedi, ma sembrava più assecondare lo spostarsi di Danso che volersi liberare dalla presa.

Crich croch croch crlaff splash splosh.

L’acqua gli arrivò alle caviglie, poi alle ginocchia, alla vita, al petto, al collo, e allora Danso iniziò a muovere i piedi, le gambe, come aveva visto fare a tutta quella gente in quella spiaggia per quasi tre mesi. Così facevano: sbattevano i piedi e le gambe dentro l’acqua per muoversi.
Non si accorse nemmeno di quei pochi minuti che servirono perché il ragazzo, intanto, ancora urlando, annegasse.
E non si accorse che con le mani bloccate e con quel peso attaccato ai pollici, e con il fatto che in effetti non sapeva nuotare, aveva iniziato ad annegare anche lui.

Tutta quella paura, nelle notti su un gommone alla deriva su un mare nero e sussurrante, tutta quella paura, ed invece sarebbe stato tutto così caldo e semplice e rassicurante, l’acqua del mare avvolgente come l’abbraccio di sua madre e salata come le lacrime di lei, il giorno in cui lo vide portare via da persone crudeli e sconosciute verso botte, fughe, barca, mare, terra, botte, merce.

Vai.


Con questo post partecipo al contest settimanale di @spi-storychain con tema centrale "Intuizioni (che illuminano)" e ambientazione "Un luogo affollato".
Foto dell'autore: Venditore ambulante sulla spiaggia di Mondello (PA).
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Quanta oscurità sotto questo sole caldo e fin troppo accecante! Grazie per aver partecipato.

Molto bello, intenso, forte, crudele. Ottima entry!!

Vedi? Hai fatto proprio bene a partecipare! Bravo!

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Ottimo inizio. Bravissimo

Sei troppo gentile, grazie.

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