Roma-Giappone. In un unico sabato

in #ita7 years ago

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Dicono che Roma sia una città meravigliosa.

E onestamente, come romana, mi trovo costretta ad ammettere che c’è del vero.

Il problema di chi a Roma ci nasce e non ci arriva, o non ci viene per vederla, è la convinzione che la città ti appartenga. E non è vero.

Roma non ti appartiene mai ma, al contrario, spesso sei tu ad appartenere a lei, in un modo difficile a spiegarsi.

Non sei tu che vai, è lei che ti porta, spingendoti nei meandri di vie sconosciute, accarezzandoti con un vento leggero sugli argini del Tevere, respingendoti con un blocco metallico di pullman carichi di formicai umani in birkenstock e camicie a quadri.

E, come il letto di un fiume, ti accorgi che col tempo, tu prendi la sua forma, la forma di Roma: disincantata, un po’ volgare, luminosa, sorniona e sempre un po’ assopita.

Arriva quindi un sabato, un sabato brillante di sole caldissimo in chiusura di ottobre, e decidi di provare a seguire una via. Una qualsiasi. Del resto che vantaggio c’è ad abitare in centro se il centro non lo visiti mai se non nelle faticose corse del mattino?

Quindi esco, esco con l’intento di non andare da nessuna parte. Di girarmi e rigirarmi e vedere se lei mi guida.

Schivo via del Corso dove si affolla un’umanità varia con i pantaloni a vita alta e le caviglie scoperte, un accenno di ombelico se donne e una barba curata se uomini. Ma anche pertiche bionde e pelose in bermuda, corpulente matrone con i riflessi ramati in bella vista, bambini saettanti e cagnolini pettinati.

Mi infilo in un bar. E compro un caffè. Ho deciso di bere un solo caffè al giorno, ma se esci per Roma il caffè va preso.

“Che ci vuoi?” mi chiede il giovane magrebino con un accento assolutamente impeccabile.

“Solo un goccio di latte freddo”, rispondo.

“Latte? Non sarebbe meglio un po’ di cognac?” motteggia il giovanotto pensando di fare una battuta.

“Vada per il cognac, allora”. Lo lascio spiazzato, soprattutto per il tono assolutamente serio con cui raccolgo il suo invito.

E con un caffè corretto comincia la mia avventura.


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Svicolo sulla piccola via delle Carrozze per dare un’occhiata ai negozi, troppo costosi e troppo eleganti per la tenuta semifestiva che ho scelto.

Faccio l’anello dietro via Mario dei Fiori e salto su via Belsiana dove mi perdo tra la vetrina impomatata di Vertecchi e quella scomposta del negozio di lumi, piena di colori, di metalli, di oggetti fuori produzione come i telefoni di design da comodino. E fiori, fiori, fiori in quantità. Del resto se si chiamava Mario de Fiori ci sarà stato un motivo...


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L’Ara Pacis mi si para davanti con la sua mole esagerata, le iscrizioni, i rilievi, i marmi affumicati dalla nafta degli autobus e i vetri eccessivi, le cornici e i muri rosei bagnati dalle fontane volute da Meier nel suo ambizioso progetto di restyling.

L’area circostante è piena di esseri umani. Si godono il sole. Perché poi secondo me, quando a Roma ci vieni per vederla, in realtà te ne vai senza averla vista, ma il suo colore assolato ti si è infilato nelle ossa.

Alcuni indossano delle curiose mantelline verdi. Se non è un raduno della Lega è un pullman di pellegrini che hanno fatto sosta per fotografare l’idrometro murato nella parete di San Rocco, che riporta il livello delle piene del Tevere. Dal mausoleo di Augusto un concerto per pianoforte di Mozart si mescola alle note di una banda di vigili urbani che ha invaso l’area di parcheggio dove abitualmente sostano i camion dell’AMA.

Entro dalla porta principale del Museo dell’Ara Pacis, più per inerzia che per una volontà precisa di visitare la mostra. Katsushika Hokusai. Mi sono detta: chi diavolo è? Sì, sono ignorante, anche perché sembra essere stato la fonte di ispirazione di pittori famosissimi del calibro di Monet, Van Gogh e Gauguin.

La fila è breve, quindi mi accodo. Il cassiere mi dà del tu, probabilmente in ragione della mia tenuta semifestiva e questo mi fa riflettere sull’importanza dell’abito per fare il monaco.

Entro in un cunicolo semibuio affollatissimo. E mi ricordo di essere claustrofobica, anche se in fase di lieve remissione. Quindi salto la parte più pigiata, leggo qualcosa sull’uso del blu di Prussia e del vermiglio, sul termine manga, che scopro significa “appunti” e mi getto nella mischia.

Che devo dire? Se chiudo gli occhi e sogno un posto dove vorrei essere vedo le scogliere nebbiose della Bretagna, gli alberi spuntati della periferia magica di Nairobi, i crateri del parco nazionale del Serengeti, la medina di Algeri, l’oro della spianata delle Moschee a Gerusalemme. Mai al mondo la mia immaginazione mi porterebbe nel climax giapponese.

Eppure…

Esci un sabato mattina, ti fai un caffè corretto, fai un po’ di window shopping e poi scopri la cura del segno dell’anima giapponese.

Un piccolo miracolo di gestalt switch. Un salto in un mondo che non ho mai amato, e che invece mi prende.

Particolari squillanti e colorati, espressioni ironiche, caricature, tratti delicati e sottili, merletti di personaggi miniaturizzati, bianchi e neri impalpabili.

E le poche cose che ho letto di comunicazione grafica mi si riaffacciano alla memoria: un tratto liscio comunica stabilità e autorevolezza; una piccola gobba nell’arco della lettera offre invece un’immagine di dolcezza e accoglienza, un ricciolo evoca il gioco e la leggerezza.

Questo mondo mi sorprende e mi prende. E con la voracità che è propria della natura superficiale della mia cultura, passo frenetica da un’immagine a un’altra, torno indietro, ripasso le stesse immagini più volte: e mi ci perdo dentro, come se si trattasse di un unico gigantesco affresco dell’infinito.

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Bel post Marta... fotografia perfetta di Roma

Bellissimo post. Primo perché si parla di Roma, la mia città, e mi hai fatto venire voglia di riprendere a passeggiare nelle viuzze del centro... a scoprire, come ogni volta che mi ci immergo, nuovi dettagli che non avevo mai apprezzato prima. Secondo perché parli di Giappone, che ho visitato a Maggio di quest'anno e che ho adorato per la filosofia, le immagini ed il cuore del suo popolo. Nostalgia..!

Allora te la consiglio davvero. È meravigliosa. Grazie

Stupendo questo post, questo parlare di Roma con quella patina di poesia che riveste le tue parole. Chapeau

Nicola grazie 😊

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Ecco, mi chiedevo se andare a veder Hokusai (l'ho sentito citare in una canzone di Jovanotti, figurete) e a 'sto punto credo che andrò.

Bellissimo post

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