Il vento del futuro e la danza delle generazioni. Riflessioni in occasione di un rito di iniziazione

in #ita7 years ago (edited)

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Salire quelle scale azzera il tempo.

Un piede dopo l’altro e vengo invasa da memorie ancora incandescenti. Sono passati più di trent’anni, ma devo ingoiare la saliva più volte per non vomitare dall’emozione.


prima di me

Ero sola, o almeno così mi sentivo. Perché in realtà con me c’erano un papà ancora stordito dalla vedovanza, un fidanzato affettuoso, ma imbarazzato e un’amica giovane che mi trotterellava dietro come un cagnolino perché era nella modalità “ti guardo con ammirazione”.

Sentivo la mancanza di mia madre, sentivo la mancanza di una tradizione familiare, come tutte le persone della mia generazione che la famiglia l’avevano sputata dal profondo delle viscere, l’avevano saccheggiata, l’avevano messa alla berlina per poi sentirne una mancanza straziante nel momento dei riti di passaggio.

Avevo un fratello, ma che sarà mai la discussione di una tesi di laurea? Una pratica tipica della media borghesia alla quale possiamo accodarci per conquistare una posizione dalla quale guardare la nostra rivoluzione, ma alla quale non dobbiamo necessariamente piegarci, portando il peso e la polvere della sua storia.

Ok, mi laureo, chi vuole venga, ma anche chissenefrega. Ho altre rivoluzioni da fare io.


la mia personale rivoluzione

E mentre camminavo incerta su un paio di tacchi inusuali con la mia pesantissima tesi sotto il braccio, rivedevo le ultime ore di mia madre, il mio eroismo organizzativo, gli occhi asciutti e un delirio di onnipotenza che mi faceva vedere le cose come in una sala cinematografica. Io seduta con i pop corn e, al tempo stesso, io dentro lo schermo, nel film, che davo ordini alle pompe funebri, allestivo camere ardenti, denunciavo medici incompetenti, cercavo un fratello più giovane disperso negli USA nel viaggio di formazione post-maturità più sfigato della storia.

Ero grande ed ero piccola. Stavo passando dall’altra parte. Il mondo mi avrebbe guardato con occhi diversi da quella sera in poi. Ero truccata e preparata a farli a pezzi.

Sì, perché uno non andava a discutere una tesi di laurea, andava a farli a pezzi.


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Mi chiamano, in quell’aula semibuia da pomeriggio invernale, e io esplodo tutte le mie cartucce di enfasi e competenza; vado anche oltre i limiti richiesti, e continuo a parlare dopo che qualcuno di autorevole mi ha detto più volte: "può bastare”.

Ho dentro una rabbia esagerata, un rancore, delle urla di dolore che si mescolano con l’insofferenza giovanile e la fame di affetto di una ex bambina.


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Esco mentre mi valutano. Quando rientro sono tutti in piedi. “Con i poteri conferitimi dalla legge, nel nome della Repubblica Italiana la dichiaro dottore in filosofia con la votazione di 110 su 110”.

E la lode? Cioè mi hanno dato 7 punti di merito e mi hanno negato la lode.

Sto per esplodere di nuovo, ma stavolta capisco che non sono in grado di amministrare il furore, controllando i toni e bruciando i loro sguardi: e che, se lo facessi, probabilmente la voce avrebbe un crollo, comincerei a piangere davanti a tutti loro, mescolando il sollievo per la fine di una fatica, l’emozione di una proclamazione solenne, la rabbia per un presunto torto subito, la disperazione per la nostalgia di mia madre che non ho mai avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente.

Quindi sto zitta. Esco da quella stanza, seguita dal mio piccolo gruppo di fan. E aspetto il mio professore che, stringendomi la mano, mi informa che il presidente della Commissione di laurea si è opposto alla lode perché mi ha ritenuto brava, preparata, pronta. Ma arrogante.

Mi infilo in quel corridoio color granito, pieno di spifferi e di giovani entusiasti, eleganti, con le loro famiglie. E li odio.

Cammino con i mie tre accompagnatori in quella serata di fine 1986 e ci dirigiamo in un bar. Mi scendono delle lacrime confuse, che non so interpretare. Mi bruciano le guance e mi preme la gola come se avessi ingoiato una noce col guscio. Prendiamo un cappuccino. E mio padre mi regala il contenuto del suo portafoglio. Non un granché, tra l’altro.

E’ incredibile come questa valanga di ricordi mi travolga improvvisamente dopo oltre trent'anni, come si fossero rotti degli argini. Eppure non è la prima volta che salgo quelle scale ed entro in quel corridoio squallido.

Ma oggi sono qui per un passaggio di testimone. Vedo in lontananza mio figlio. La sua compagna, il padre della sua compagna. Mia figlia con il suo compagno; 4 giovani donne e una donna meno giovane – tutte colleghe della FAO di mio figlio con le quali lui parla un insospettabile e fluentissimo inglese – e poi un paio di amici di infanzia.

Mio marito ed io ci guardiamo. Ci siamo laureati entrambi in quell’università, in quella sala, milioni di anni fa. E c’è come il peso di una storia che torna, ma accompagnata da un vento nuovo, che porta via tutti i filtri dei ricordi, illuminando l’aria un colore vivace e scintillante.

Una generazione che ci passa avanti e prende il nostro posto, con uno stile completamente diverso, una gioia di vivere matura, una professionalità giocosa, relazioni familiari elastiche e intense, tanti colori, giochi, scherzi. E un approccio ironico alla vita che indubbiamente alla loro età mi mancava del tutto.

Invadiamo l’aula. La presidente si rivolge alla commissione, declamando con serietà il nome del laureando e il titolo del lavoro di tesi. E lui, come fosse sul palco di un teatro di cabaret, comincia a parlare, saluta ed è pronto a cominciare la sua argomentazione, quando il professore - relatore lo richiama all’ordine “Aspetta un momento che io ti presenti”. E lui, come nulla fosse, si rivolge al suo relatore “Prego prof. Mandi pure la clip”. La Commissione, che evidentemente ha più pratica con X Factor di quanta non ne abbia io, scoppia a ridere e la discussione inizia con un tono meno rigido.


manda la clip

E mentre ascolto il veloce incedere delle parole di quel giovane uomo che un tempo lontanissimo abitò le mie viscere, esco per la prima volta da un sogno che nemmeno ricordavo più e offro un’opzione di pace al mio passato. Gli sorrido senza concedergli troppo, ma lo perdono e perdono anche un po’ me stessa.

Un delicato futuro ha invaso la stanza semivuota dei miei ricordi e ha spazzato via un residuo di dolore, lasciando un buon profumo di pulito.


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Sort:  

A Francè... t'ho messo 100% del voto, ma se potevo ti mettevo 1.000!!
Non sei brava. DI più. TU scrivi come un Dio!!!
...una Dea, pardon!

😄 che sei lusinghiero. Non merito tanto. Ma è stato davvero un momento speciale. Grazie mille 😚

I tuoi post sono stupendi! Curati grammaticalmente e ben scorrevoli :) ti seguo, complimenti!

I momenti saranno anche speciali, ma il tuo modo di scrivere lo è di più.. Chapeau!

ma quanto ti ringrazio!

Post davvero bello e profondo , complimenti @martaorabasta

grazie mille :)

Mi piace tantissimo come scrivi 😊 una volta dissero anche a me di essere arrogante durante una valutazione, capisco come ci si sente... E fai bene a perdonarti; deve essere stata una doppia gioia per te! Tanti auguri al tuo giovane uomo 😉

Grazie gianluccio. Talvolta la giovane età presenta dei punti di rottura utili. Capire quanto si è presuntuosi e arroganti e uno di questi. Un augurio per le feste 🤗

Bellissimo. Delicato e profondo, un avvicendarsi di epoche ed emozioni. Mi sono emozionata, molto. brava!!!

Che dire? Bravaaaaa!

🙌🙌🙌 parrino grazissime

I figli a volte hanno questo potere di riconciliarti col passato. Bravo Aldo, tesoro della casa 😘

Sì paolilla è vero. Aspetta e vedrai. Fiducia e pazienza. Te ne voglio

Anche il mio folletto biondo ha fatto già la sua magia, quando morì mio padre. Te ne voglio tanto anch’io.

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