Schiena d'Argento (un racconto by @kork75)

in #ita3 years ago

Giancarlo era stato un capo tribù: uno di quelli che presiedeva la riunione dei saggi del villaggio, venticinque persone' più lui. Giancarlo a dispetto del suo sguardo tenero, gli occhi pieni di mondo, la pelle seccata dal sole dei deserti e dal vento degli oceani non aveva mai avuto nulla di occidentale, capelli corvini e occhi neri, e per gli indigeni del luogo in qualità di viaggiatore misterioso era un semidio: l’uomo che veniva da lontano, colui che aveva dominato la belva. Giancarlo si trascinava addosso l'odore del mare e i sapori forti di posti esotici in cui era stato. Venticinque anni e aveva il mondo in tasca, camminava sugli oceani come se fosse un Mosè o lo trovavi a scalare le vette più alte della terra sempre e ovunque lo portasse il suo mestiere: era un documentarista. Prima di arrivare nella giungla nigeriana era stato in Messico, in cerca dell'oro degli Inca. Il cameraman arrivò nel continente africano nei primi anni ottanta sulle tracce del tenebroso “Santone Bianco”; doveva girare un documentario spinto come sempre dal suo spiccato spirito d’avventura. Il suo doveva essere un viaggio alla ricerca della storia di un uomo misterioso, un etologo, che viveva nel cuore della giungla studiando la scimmia più simile all'uomo: il gorilla. Da quanto si raccontava, il Santone Bianco, era a capo di una popolazione che ancora cacciava con cerbottane e frecce avvelenate in uno degli angoli del mondo meno contaminati dalla civiltà occidentale, la foresta equatoriale africana. Un'avventura, quella di Giancarlo, cominciata con tranquilli voli di linea da Milano sino a Abuja, e proseguita con un piccolo biplano fino a uno sperduto arcipelago di isole fluviali, da dove, dopo un giorno di canoa e tre inoltrandosi nella foresta vergine salendo e scendendo montagne, per poi attraversare una palude, il reporter raggiunse il villaggio di Bogap.

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[Immagine CC0 creative commons]

Bogap non era altro che capanne di frasche, dove circa cento persone vivevano grazie alla coltivazione a secco del riso, bruciando una parte di foresta per far spazio alla cultura. Questa popolazione si nutriva di legumi e di pesci di fiume. Le poche donne del villaggio producevano cesti, intrecciando una specie di vimini. Quello che colpì Giancarlo, e che immortalò nel suo girato, erano le particolarità di quelle genti lontane da mondo, dallo spazio e dal tempo. Gli adulti sfoggiano tatuaggi, mentre le donne, ornamenti di bellezza, orecchini pesantissimi e capaci di sformare le orecchie e farle giungere fino al petto. Restò particolarmente colpito dall’abitudine di tutti masticare una foglia di una pianta acquatica che scoprì presto essere una droga leggera che calmava la fame e alleviava la fatica. Il suo girato mostrava, le danze e i riti degli indigeni, una cerimonia di sepoltura e l'incoronazione di Giancarlo come nuovo Santone. Malgrado le condizioni di vita di quella primitiva tribù Giancarlo notò la loro forza e l'integrità fisica, gente piccola e robusta, e la loro Intelligenza. Grazie al Santone sapevano comunicare con lui a segni e alcuni, sorprendentemente, anche in inglese. Ma chi era il Santone bianco tanto mitizzato?

Jacob era uno studioso norvegese, un antropologo, che aveva vissuto due anni con quella tribù, ma all’arrivo di Giancarlo del Santone Bianco non ne rimaneva che un triste ricordo, la sua capanna polverosa. La rudimentale costruzione conteneva ancora tutti i suoi effetti personali e i suoi studi: foto, documenti, libri, appunti sparsi ovunque e una decina di diari. Una foto polaroid appuntata sulla parete ritraeva Jacob, biondo dai lunghi capelli e con un folta barba, circondato da una decina di bambini, sembrava felice. Il giovane, dalle memorie scritte da Jacob, capì da subito che allo studioso norvegese poteva era successo qualcosa di grave. La tribù dei Bogappi, come li battezzò, non era altro che un manipolo di primitivi in lotta continua per la sopravvivenza in un ambiente ostile che avevano legato tantissimo con quell’uomo bianco dai capelli biondi, la sua presenza era tenuta viva dai racconti dei guerrieri, dai canti delle donne e degli anziani che grazie a Giancarlo rincominciarono a dialogare in inglese così come gli aveva insegnato il loro Santone. Attraverso quei scritti ottenne numerose e preziose informazioni per il suo lavoro. Una cosa in particolare colpì Giancarlo dalla lettura dei diari del Santone: il suo studio sui gorilla. Le memorie di Jacob erano piene di pagine dedicate a quei possenti primati. Descrizioni minuziose del loro modo di vivere, del loro comportamento in natura, del loro carattere e delle loro abitudini.

“Non bisogna guardarlo fisso negli occhi. Uno sguardo prolungato e per il gorilla è una sorta di provocazione”, lesse ad alta voce, inquadrandosi nella telecamera, scatenando così le ilarità dei bambini intorno a lui.
Giapasi, il saggio del villaggio, li zittì tutti con uno sguardo glaciale.
“Guarda qui!” Disse l’anziano mostrando una foto di un enorme gorilla che estrasse da un borsello a tracolla.
Giancarlo restò sconvolto leggendo gli appunti scritti da Jacob dietro la fotografia.
“In stazione eretta Schiena d’Argento supera i tre metri, e probabilmente pesa più di cinquecento chili, ma normalmente si comportava da quadrupede, e al suo cospetto, è consigliabile non fare gesti bruschi, non fumare, parlare, se necessario, solo a voce bassa”.
Giancarlo fissò allungo l’immagine di quel gorilla.
“Quest’uomo ha trascorso mesi nell'habitat del grosso antropoide, da solo nelle buie e nebbiose foreste, non riesco a immaginare un ambiente più inospitale”, enunciò il reporter parlando dentro al microfono del suo registratore a cassette, per poi riconsegnare l’Inquietante scatto al proprietario che maledicendola la rimise via.
Dai diari emerse tutta l'astuzia e la paziente perseveranza dello studioso per entrare poco a poco nelle grazie dei gorilla, conquistarne la loro fiducia e farsi adottare dal loro clan. Jacob riuscì a imparare l'esatto codice di comportamento degli animali. Ne imitava gesti e richiami, si grattava come loro e mastica rumorosamente gambi di sedano selvatico. Era diventato insomma un gorilla anche lui. Il risultato di quella incredibile mimetizzazione fu che poté conoscerli individualmente uno per uno, scoprirne il carattere, seguirne i movimenti e prendere nota di tutto quanto si svolgeva sotto i suoi occhi. Quando ritornava al villaggio, nella sua capanna, scriveva e organizzava in maniera ossessiva i suoi appunti catalogando le foto di quei bestioni. Il Santone teneva aggiornate le schede di ciascuno e così conosceva vita, morte e miracoli di ogni membro della società dei gorilla. Da quelle osservazioni Giancarlo capì molto su quei animali e la curiosità di incontrarne uno aumenta ogni giorno, inoltre doveva capire cosa era successo e perché di Jacob, oltre ai suoi diari, ne restava un ricordo. Era forse morto? Era successo qualcosa di terribile? Perché nessuno al villaggio ne voleva parlare?

“Se è disperso nella foresta lo devo cercare, capisci? Non posso andarmene senza sapere che fine ha fatto Jacob”, asserì Giancarlo rivolto all’anziano Giapasi.
Il vecchio rispose in modo pacato:
“I loro peli della schiena invecchiano, diventano bianchi cosi come succede ai capelli e ai peli degli uomini, ma la schiena argentata è il simbolo del comando: un solo capo il più anziano. E’ lui Schiena d’Argentato che, senza commettere soprusi o prepotenze, guida il gruppo, dirime le controversie, decide gli spostamenti da farsi… I gorilla vivono in piccoli clan, ma tutti sotto la sua guida, l'individuo più anziano. Comunicano tra di loro con molti suoni. Apparentemente non conoscono gelosia, le loro società sono pacifiche, ma lui no! Lui è un gorilla diverso...”
“Chi? Schiena d’Argento”, chiese Giancarlo premendo play sul registratore.
“Sì! La sua autorità è accettata con disciplina. Egli permette anche ai maschi più giovani dalla schiena bruna di accoppiarsi con le femmine, li lascia fare, ma quella è la sua tribù e quelle sono le sue leggi. Lui è il protettore dei gorilla, ma è molto geloso del suo branco è di chi si avvicina ad esso, un leone o un ghepardo per lui sono una facile preda”, spiegò il vecchio con un nodo in gola per poi continuare:
“Se qualche volta c'è un accenno di baruffa, basta che Schiena d'Argento faccia un cipiglio minaccioso o qualche urlo intimidatorio; se occorre si solleva sugli arti posteriori e si batte i pugni sul petto per fare cessare di colpo l'alterco. Jacob ha vissuto troppo con loro, anche se accettato dal gruppo il capo è sempre e solo uno: Schiena d’Argento”.

Con questo racconto partecipo a: theneverendingcontest
n° 127 S2-P6-I3 - Contest
Tema e ambientazione proposti da @sbarandelli, vincitore della scorsa settimana:
Topic
gelosia
Context
Comunità di Gorilla

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