Alì il terribile (un racconto by @kork75)

in #ita5 years ago

Alì Khaled uscì in coperta e si diresse a prora per controllare di persona l’ormeggio alla fonda della sua nave all’interno della piccola insenatura. Arrivato all’altezza dell’albero maestro si fermò e allargò le braccia fissando le vele ripiegate in maniera approssimativa. Imprecò levando gli occhi al cielo. Inveì male parole ad alcuni uomini appoggiati ai loro remi ordinandogli di risistemare quanto prima la velatura. Il suo sguardo si posò su di un marinaio stravaccato in coperta, a passo svelto si diresse da lui e con sdegno lo prese a calci. L’uomo si destò dal suo dormiveglia e cercò come poté di ripararsi dalle violente e inaspettate pedate; si sollevò barcollando, alzò lo sguardo e riconobbe il suo condottiero. Alì lo colpì a mano aperta al volto, il marinaio chinò mestamente il capo, biascicò qualcosa d’incomprensibile, indietreggiò e ricadde goffamente e rumorosamente al suolo, poi gattonando si rifugiò dietro a delle gomene tra le risa e gli sbeffeggi dei presenti sul ponte. Il saraceno furibondo si diresse sul cassero e attese irrequieto il rientro della lancia che ore prima mandò in perlustrazione. Dall’alto della sovrastruttura scrutò l’orizzonte, e quando intravvide il rientro dei suoi marinai segnalato dal luccichio di uno specchio, batté stizzosamente i pugni sul parapetto della nave. Distribuì urlando alcuni ordini quasi a voler richiamare l’attenzione del suo equipaggio, cercando inutilmente di svegliarlo dal torpore dell’attesa, ma la risposta che ottenne fu solo sguardi cupi e un tiepido vociare. La ciurma apparve malinconicamente svogliata: “malata”, come si dice nel gergo marinaresco. Quello stato di fastidio fu figlio del loro essere. Troppo tempo passò dall’ultima volta che quella schiera di farabutti, malfattori, rinnegati e traditori mise piede a terra brandendo le loro scimitarre per depredare, distruggere, uccidere e stuprare. Il sangue infermo che scorreva nelle loro vene doveva tornare a pulsare il prima possibile di odio e aggressività nei confronti degli “infedeli”, onde evitare che la noia si tramutasse in malumore per poi sfociare in insubordinazione. Combattere! L’unico modo per placare la sete di sangue e violenza di quei uomini arcigni, rudi, violenti, con le mani incallite sul remo e col dorso incurvato dal fardello della vita barbaresca: spregevole marmaglia saracena su legni ottomani. Tutto questo il loro comandante Alì Khaled lo sapeva benissimo; per questo accettò dei rischi mai presi prima. Una pazzia pensò attaccare la fortezza, soprattutto ora che la sua nave dopo l’ultima battaglia era rimasta isolata dal resto della flotta saracena, ma non aveva alternative: ci doveva provare.



Immagine CC0 creative commons

Visto dal mare il castello che sormontava il paese aveva un aspetto feroce, ma ormai erano anni che nessuna guarnigione difendeva e proteggeva quel fiorente borgo di pescatori; questo però Alì Khaled non lo sapeva. Durante i suoi trasferimenti dalla Spagna al sultanato di Tripoli con a bordo il prezioso carico di schiavi cristiani, il comandante ottomano mise sempre prudentemente il suo sciabecco al sicuro dalla portata di qualsiasi colpo di cannone proveniente dalla fortezza, limitandosi solamente ad attaccare eventuali ignare imbarcazioni di pescatori che gli capitavano a tiro finendo nella sua temibile “rete”. Sapeva che bastava solo il nominare del suo nome “Alì il terribile” per mettere in agitazione intere popolazioni del mediterraneo; la sua fama era di quelle che non tradivano le aspettative, al pari di un navigatore avventuriero scopritore di nuove terre, di un martire o di un poeta, che abili nelle loro arti e virtù erano conosciuti e stimati, così lui era il “più bravo” nel suo campo: disumano, crudele e spietato, insomma il peggiore o il migliore dal suo punto di vista dei predoni saraceni, un vero “mangia cristiani” al soldo delle reggenze di Tripoli, di Tunisi o di Algeri. Il sole tramontò e solo una decina di marinai osservarono i precetti, Alì indicò a loro la giusta direzione delle loro orazioni, poi scosse il capo pensando alla sua anima dannata. Ordinò al timoniere di accendere e spegnere una torcia a ritmi regolari di clessidra in maniera da segnalare la loro posizione alla lancia e poi ricominciò a camminare lungo la nave, controllando il sartiame, i remi, i cannoni e scambiando alcune parole con chi gli chiedeva se l’indomani avrebbero attaccato il forte, dando sempre la stessa risposta: “se Lui vuole”. Giunto a prora, il suo sguardo si perse nell’infinito mare scuro tra i rimpianti di una vita felice non vissuta di quando era un bambino di nome Simone tra le braccia di sua madre. Desiderava ardentemente scordare quei momenti di spensieratezza infantile prima della sua deportazione nella terra del sultano, ma non ci riuscì mai; dopodiché si sdraiò e scrutò la volta stellata facendosi cullare dal ritmo delle onde che lambivano le paratie, cercando così di lasciare evadere “se Lui vuole” il peso delle sue pene.



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