Troppo tardi?

in #ita7 years ago (edited)

Troppo tardi?

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Immagine CC0 creative commons

Quella mattina il cielo era grigio e il gelo entrava fin dentro le ossa. Avevo un cappello nero, guanti neri di seta, cappotto nero.
Il nero quel giorno primeggiava nell'aria.
Guardavo quella grigia lapide di pietra.

Fiona Manfredi

Ecco il nome che vi era stato scolpito.
L'ho sempre odiata, ho sempre voluto stare lontano da lei.
Quei litigi assordanti, quelle offese gratuite erano all'ordine del giorno.
Le incomprensioni erano protagoniste delle nostre giornate.
Non vi erano mai momenti intimi, né di quiete tra di noi, solo e soltanto litigi volteggiavano nei luoghi che frequentavamo abitualmente.

Ricordo ancora la canzone che mi cantava quando ero piccola per farmi addormentare, mi rimbombava nella testa in quell'istante, mentre i miei occhi increduli fissavano il suo nome.
Mi sentivo la testa bruciare, come se ci fossero state fiamme all'interno del cranio. Le gambe non mi reggevano più, e senza rendermi conto ero con le ginocchia nel terriccio bagnato dalla pioggia poche ore prima.

Un ictus me l'aveva portata via, senza neanche darmi il tempo di salutarla, di dirle che le volevo bene.
Le ho sempre detto che non provavo sentimenti nei suoi confronti, che per me lei non valeva nulla come madre.
In realtà lei per me era tutto.
Anche se non ero nata dal suo grembo, ma adottata, lei per me era la mia vita.

Stringevo tra le mani una gerbera giallo arancio.
A lei piacevano tanto quei colori.
Le lacrime si confondevano con le gocce di pioggia.
Non riuscivo a porre quel fiore sulla lapide, non ci riuscivo.
Mi mancava già il suo profumo.

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Foto dell'autrice

Pensavo a quanto sciocca fossi a piangere quando lei ormai era solo un lontano ricordo.

"Che piangi a fare?"

Questo mi ripetevo continuamente in quella zucca vuota che mi ritrovavo.

"Ora lei è lì sotto, avvolta dalla terra sulla quale tu ora poggi le tue ginocchia."

Posi la testa sulla lapide e sperando mi sentisse, le sussurrai:

"Perdonami se non ho saputo amarti e dimostrati, quando eri in vita, l'amore che provo per te. Perdonami se ti ho fatto soffrire, se ti ho riempito di brutte parole. Perdonami se non ho saputo capire i tuoi avvertimenti, le tue carezze ed i tuoi attacchi di gelosia, che dimostravano la paura di perdermi. Sono la figlia che forse non avresti mai voluto avere, adottare. Scusa di tutto mamma, scusa di tutto."

Cosa potevo fare?
Avevo dolori ovunque, come se un camion di due tonnellate mi avesse travolto più di una volta.
L'ultima volta che ci vedemmo le dissi che in vecchiaia non aveva fatto altro che peggiorare, che era una vecchia cretina che non capiva nulla. Una povera vecchia che sola doveva restare.

Se potessi andare a ritroso nel tempo le direi invece che è stata una mamma presente, anche se molto spesso risultava opprimente.
Avrei potuto dirle che anche se litigavamo e non ci capivamo per nulla se ero quel che ero lo dovevo a lei.
Mi hanno sempre fatto, fin da piccola, complimenti per la mia educazione e la mia intelligenza.
Era stata lei ad avermi inculcato il dovere allo studio e diceva sempre:
"L'educazione prima di tutto"

Non sentivo più la pioggia scivolarmi tra i vestiti e bagnarmi la pelle. Alzai lo sguardo verso l'alto: era mio marito che accovacciandosi prese la mia spalla e mi tirò verso il suo petto e mi disse:

"Ti ammalerai così."

Poi mi aiutò a mettere il fiore sulla tomba di mia madre e accarezzò la lastra. Si tolse la giacca e me la pose sulle spalle, poi prendendomi la mano ci incamminammo verso l'auto. Il mio sguardo si girò verso ciò che era rimasto di mia madre.

"Addio mamma. Ti ho amato da quando il tuo corpo e la tua anima mi hanno donato il tuo amore e le tue cure. Grazie per tutto quello che mi hai fatto vivere in questi anni. Non dimenticherò mai i tuoi occhi e la tua voce."

Mi voltai: l'unica cosa che ora mi era concessa di fare era andare avanti.
Lei ed il modo in cui se ne era andata avrebbe lasciato in me un vuoto incolmabile fino alla fine dei miei giorni.

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Immagine CC0 creative commons

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