Gianco Neie e le sette fate [theneverendingcontest] #2

in #ita6 years ago (edited)

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Immagine CC BY-SA 2.0 di Tyler Fonte flickr

La storia che sto per narrare, realmente accaduta in uno degli infiniti universi paralleli al nostro, è diventata leggenda fra le persone che vivono laggiù, in quella remota dimensione.
È abbastanza simile alla vicende di Biancaneve e i sette nani, ma non troppo.
Non fate caso ai diversi usi e costumi: in quel lontano pianeta Terra parallelo le cose funzionano diversamente.
Buona lettura.
Ah dimenticavo, questo racconto intende partecipare al the neverending contest di @spi-storychain

Questa di Gianco Neie è una storia vera,
che si perse nel bosco a primavera,
ma la contessa che lo vide così bello,
volle avvelenargli il cuore e anche il cervello
.

In realtà non era primavera, ma autunno.
Il menestrello Farcuzio D'andrea disse di essersi sbagliato. Tutti sanno però che essendo egli oltre che uno stimato cantastorie, anche un celebre contamusse, aveva furbescamente usato la primavera per far rima con vera.

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Immagine di pubblico dominio Fonte Wikipedia

Anche perché, chi andrebbe mai per funghi in primavera, con la neve non ancora del tutto sciolta?
Gianco neie era il giovane rampollo del principato di Camposmarrone, ridente feudo delle provincia imperiale di Smutanda.
Di bell'aspetto e di corporatura imponente aveva, almeno sulla carta, di fronte a sé un futuro luminoso pregno di vittorie. Avrebbe potuto coprirsi d'oro e di gloria, allargare le mura di cinta dei suoi possedimenti ed elevare il suo onore fino al cielo innalzando impetuoso il suo vessillo.
Il condizionale è d'obbligo però, perché era mezzo scemo e nessuno sapeva con certezza che fine avrebbe fatto in futuro.
Fin da bambino, infatti, il piccolo conte aveva mostrato gli insani segni di uno strano tarlo per la testa: le castagne.
Egli era fissato con i frutti autunnali, tanto che ne parlava sempre; basava perfino i suoi giochi e le sue storie fantastiche di bambino sui semi del castagno: spesso si recava di nascosto nelle cambuse delle cucine del palazzo, dove apriva i sacchi delle scorte alla ricerca dei frutti del desiderio. Anche la preziosa farina ricavata dalle castagne per lui andava bene; se riusciva a trovare un sacco della sua polvere preferita ci si tuffava dentro come in uno stagno.
Le volte in cui veniva scoperto, le donne delle cucine gli urlavano: "Basta Gianco, hai rotto i maroni!"
Il Conte, suo padre, al corrente dello strano comportamento del figlio, era persona troppo tenera e permissiva per prendere seri provvedimenti nei confronti del piccolo rimbambito, ma in compenso, la giovane contessa, seconda moglie del signore del feudo e quindi matrigna di Gianco, era veramente una stronza. Col botto.

Una figlia di buona donna brutta come il peccato che non lo avrebbe fatto rizzare neppure a Messère Rocco, il compagno buongustaio di Lady Fregna, la maîtresse del rinomato bordello di Camposmarrone, che correva voce fosse il più lussuoso e lussurioso di tutte le province e le contrade imperiali.

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Immagine di pubblico dominio Fonte Wikimedia

Come già detto, la contessa Isabrutta della casata dei Schiftotàl che Mancolìcan, era un'insopportabile megera a cui girava spesso il belino. Nativa della poderosa Repubblica di Zena, da sempre nemica dell'imperatore e dei suoi feudatari, aveva un carattere pessimo tipico degli altezzosi repubblicani della costa; quando sei mattine su sette alla settimana si alzava male, il suo primo pensiero era rivolto allo studio del come potersi liberare di quel figlioccio decerebrato che si ritrovava. Essenzialmente per due motivi: primo perché era bello come il sole e ciò non era cosa buona per la sua invidia galoppante. Secondo perché sembrava essere un inguaribile imbecille e ciò non era consono all'immagine di un feudo serio e stimato quale era Camposmarrone. Figurarsi poi se quel gibbone fosse divenuto conte alla morte dell'inutile marito: sarebbe stata un'annunciata e trascurata tragedia, se nessuno avesse mosso un dito per evitarla.
Fu così, in una di queste produttive mattine di brainstorming, che la contessa ebbe una grande idea!
Tanto per cominciare andò in cantina a consultarsi con il suo specchio magico o presunto tale, un arnese del cavolo che aveva comprato per due palanche al mercatino dell'usato dei saraceni.
"Specchio! Oh specchio! Che tu sia magico o tale pseudo, dimmi, chi è il più scemo del feudo?"
Con sua grande sorpresa lo specchio sbadigliò, come svegliandosi da un sonno profondo. Tirò un rutto che riecheggiò in tutto lo scantinato, poi esclamò:
"Minchia che brutta che sei! Ma soprattutto, chi sei!? Mi hai spaventato, 'tacci tua!"
La contessa inorridita da cotanto affronto rispose di rimando: "Come osi stupido specchio!? Guarda che ti riporto dai mori! E poi io ti ho fatto un'altra domanda!"
"Ok, ok... Stai calma però. Il più scemo del feudo è senza alcun dubbio Gianco, il tuo figlioccio. Adesso sei contenta?" chiese lo specchio accondiscendente.
La contessa non proferì parola ma disegnò un perfido ghigno sul suo orribile volto.
"Bene allora" proseguì lo specchio: "ora che sei soddisfatta puoi pure levarti dalle palle e lasciarmi riprendere il pisolino in pace. La strada la conosci e il posto in cui devi andare inizia per F e finisce per O."

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Immagine CC BY-SA 2.0 di Tyler Fonte flickr

Stizzita ma felice, la contessa tornò di sopra per mettere in atto il suo piano diabolico. Cercò il figlioccio quindicenne e, sfoderando il suo miglior sorriso, gli disse:
"Siediti Gianco, ti devo parlare. Come ben sai fra due giorni avremo il grande onore di ricevere qui a Camposmarrone la visita dell'Imperatore Fazö Tuttö mi IV in persona! È un evento epocale, unico nella storia del nostro feudo. Egli verrà appositamente dalla città imperiale di Ahbravominchione per provare le specialità della casa di Lady Fregna e i nostri famigerati funghi porcini impanati e fritti, di cui cantano le lodi i trovatori di mezzo impero, perciò ragazzo mio dovrai andare per i boschi della Valle del Pessimismo e del Fastidio a raccogliere i neri più belli che tu abbia mai visto. E fammi un favore, lascia perdere le castagne! Lascia spazio nei tuoi cestini per i funghi, per piacere... E non stare a prendere chiodini e mazze di tamburo, che di quelle ce ne battiamo il belino e tanto non arrivano mai a casa intere. Hai capito tutto?"
"Milady credo di aver capito. Anche se non sono sicuro di conoscere bene quei boschi e di essere così forte da ignorare quegli alberi pieni di castagne. Potrei perdermi per sempre nell'oscurità della depressione di quei luoghi" rispose Gianco un po' affranto.
"Ma è proprio questa l'idea scemo del... Ehm, volevo dire, ma no stai tranquillo mio caro, non ti succederà nulla. Ora va' e non titubare, prode cercatore di nobili porcini dai turgidi gambi!"

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Immagine CC0 Fonte Pixabay

Senza dire nulla Gianco andò a prepararsi. Uscì da palazzo e camminò verso le porte della città, sotto gli sguardi languidi delle fanciulle grebane del volgo, tutte innamorate del suo aspetto celestiale.
Lasciata Camposmarrone, dopo un'ora e mezza circa di cammino si trovava già ai piedi dei maestosi castagni dei boschi del pessimismo e del fastidio.
S'inoltrò all'interno della foresta di corsa, cercando di raccogliere più castagne che poteva; ovviamente non aveva capito un cazzo.
La vista di tutto quel ben di Dio lo rendeva sordo e cieco a tutto il resto, lo inebriava, lo drogava letteralmente.
Le ore scorrevano veloci mentre riempiva le tasche del suo frutto preferito, noncurante delle spine dei ricci. I due grossi cestini che portava con sé erano già pieni da un pezzo, quando si accorse che stava facendo buio. Non aveva idea da che parte proseguire e non aveva trovato un solo fungo porcino, ma era estremamente felice della quantità di castagne che aveva raccolto. Pensò che sarebbe stato inutile tornare indietro, così proseguì il suo cammino alla cieca, fino a che vide in lontananza, nella penombra, quella che sembrava una casa molto piccola.
Si avvicinò e bussò alla porticina, ma non rispose nessuno. Era molto stanco, quindi pensò di aprirla visto che non era chiusa a chiave. Entrò all'interno dell'abitazione abbassando la testa, quasi accosciandosi; accese le lampade ad olio che trovò in giro e gli si illuminò bene davanti agli occhi un ambiente grazioso: una piccola cucina e un soggiorno arredati con stoviglie e oggetti di colore rosa maialino. Sulla parete in fondo, Gianco aprì un'altra porta dietro la quale vi era una camerata con tre letti a castello e uno singolo, tutti molto piccoli.
"Oh merda, ma chi dorme in letti così piccoli, non posso nemmeno sdraiarmi un po' per riposare e mettermi comodo a contare le castagne!" pensò a voce alta.
Così, sempre attento a non scontrare nulla, data la sua mole troppo ingombrante per un luogo così piccolo, si sedette sul divano del soggiorno, dietro al quale era appesa al muro la cartina geografica di un'isola.
Comodo sul piccolo sofà, poté finalmente dare inizio alla conta delle castagne partendo da quelle che si era infilato in tasca, ma presto si addormentò esausto.

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Si risvegliò confuso e sudato, ancora seduto sul divano.
Intorno a lui sette piccole donne lo fissavano sorridenti.
"Chi siete? Dove mi trovo? Dove sono le mie castagne?" domandò agitato.
"Tranquillo devi stare, nessuno male ti vuol fare. Fame hai? Sete? Bere vuoi?" rispose una di loro.
"Perché parlate al contrario?" chiese Gianco sempre più preoccupato.
"Siamo amiche e sorelle dell' Isola del Mirto, così noi parliamo. Io sono Porceddula, lei è Carasaula, Mirtula, Seadasala, Malloreddusula... Franca e Caddula."
"Che nomi strani che avete, soprattutto tu Franca. Dov'eravate oggi quando sono arrivato?" chiese Gianco curioso.
Rispose Caddula sfoderando un sorriso da cavallo; i suoi denti erano, al contrario del resto, molto grossi, sicuramente sproporzionati per la sua bocca.
"A lavorare a Camposmarrone eravamo. Tu chi sei? Vieni da dove?"
"Mi chiamo Gianco, sono il figlio del Conte Gotti De, mi hanno mandato a raccogliere funghi porcini, ma ho preso solo castagne e per altro mi sono perso nel bosco."

"Piccolo povero, perso si è" disse Mirtula con uno strano tono di voce simile a quello di chi è ubriaco, "ma se del Conte il figlio sei domani a casa ti riportiamo, chissà quanto la tua famiglia ti mancherà tanto!"
Prima che Gianco potesse rispondere, bussarono alla porta d'ingresso.
Carasaula andò ad aprire.
Sull'uscio apparve una vecchia signora talmente brutta che per aspetto ricordava molto la matrigna di Gianco, ma egli era ancora troppo sotto shock e in astinenza da castagne per accorgersene.
Franca si avvicinò alla sorella Carasaula, che nel frattempo aveva già cominciato a trattare male l'anziana signora, che a quanto sembrava era una semplice venditrice di caldarroste ancora fumanti.
"Via devi andare! Niente vogliamo! A lavorare sul serio!" esclamò arrabbiata e impaziente Carasaula.
"Calmati Cara, per l'amor del cielo, che modo di comportarsi è mai questo? Con queste maniere la smetterai poi o prima?" domandò Franca rivolgendosi alla sorella scontrosa, mentre la allontanava dalla scena con una leggera spinta. Poi, rivolgendosi alla vecchia esclamò: "Senta, franca con tutti sono, franca con lei sarò: interessati non siamo alle caldarroste sue!"
Pronunciò così forte la parola "caldarroste" che Gianco si alzò di scatto dal divano, dette una testata ad una trave del tetto lasciata a vista e si precipitò dolorante verso la porta gridando: "Io, io voglio le caldarroste! Non se ne vada, la prego!"
"Ma certo giovanotto prenda pure queste, gliele regalo, sono speciali sa?" asserì porgendo a Gianco una busta di carta con tanto di logo policromo, sotto al quale una scritta recitava "Caldarroste fumanti dei boschi del pessimismo e del fastidio".
"Grazie signora, lei è molto gentile" disse Gianco prima di precipitarsi di nuovo sul divano, dove prese a mangiare le caldarroste con foga, una dietro l'altra.
La vecchia venditrice se ne andò e le sette sorelle osservarono attonite il ragazzone mentre si abbuffava.
"Contento sei, tanto ti piacciono" disse Malloreddusula. "Bene contenta sono, a mettere sul fuoco l'acqua vado."
Le piccole donne si allontanarono alla spicciolata dalla scena, prese dalle faccende di casa. Gianco intanto continuava a ingurgitare caldarroste, ma non si sentiva troppo bene... Faceva caldo, gli raschiava la gola e sentiva il respiro venir meno.
Bevve lunghi sorsi d'acqua che non migliorarono la situazione, ma non volle smettere di mangiare quelle deliziose castagne calde.
All'improvviso la situazione precipitò.
Si portò le mani alla gola, senza riuscire a parlare. Emise soltanto strani suoni che attirarono l'attenzione delle piccole donne dell'Isola del Mirto.
"Mio dio, soffocando sta!" urlò Porceddula mentre si avventava sul ragazzo, compiendo gesti e manovre inopportuni come ad esempio una respirazione bocca a bocca con la lingua che Seadasala, la più esperta delle sette nel pronto soccorso, interruppe prontamente.
A nulla comunque servì l'intervento della piccola infermiera. Gianco ormai aveva perso i sensi ed era diventato completamente blu dalla testa all'ombelico, con quattro strane righe in evidenza poco sotto al petto: due bianche, una rossa ed una nera.
Le sette piccole donne erano affrante, si sentirono in colpa e piansero molto, nonostante conoscessero quel ragazzo sì e no da mezz'ora; si fecero coraggio e spostarono il corpo del poveretto su una barella di legno che costruirono in quattro e quattr'otto usando un po' di spago e i ceppi di legna del camino, dopodiché lo portarono poco distante e lo adagiarono sotto al chiaro di luna, ai piedi di un maestoso castagno.
"Miii che giornata!" esclamò Carasaula.
Recitarono una preghiera e se ne andarono a dormire stanche e sconvolte.

L'indomani, di buon mattino, mentre ancora le sette piccole fate dormivano bussarono di nuovo alla porta.
Caddula si alzò dal suo lettino, attraversò la cucina e il soggiorno e andò ad aprire la porta.
Sull'uscio v'era una ragazza bellissima vestita di abiti pregiati da cavallerizza, con gli occhi azzurri e lunghi capelli biondi lisci. La piccola donna maliziosa pensò subito non fossero tutti suoi, ma che al contrario doveva trattarsi di una extension bella e buona. Sfoderò comunque il suo miglior sorriso equino per rimanere in tema cavalli e le domandò: "Ciao, chi sei?"

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"Ciao senti, so' la mar'hesa Hohahola di Puttemburgo, una città di un'altra provincia dell'impero. Te tu sai qualcosa di quel manzo blu sotto a un castagno qua vicino? Mi garberebbe molto, ma pare morto" rispose la bella straniera.
"Guarda, una tragedia è stata. Molte caldarroste ha mangiato, poi soffocato è" la informò Caddula.
"Ma 'home te tu parli? Sei dell'Isola del Mirto, l'è vero? Ci sono stata in villeggiatura l'anno scorso. Senti, mi accompagneresti da lui? Dobbiamo rendere omaggio alla sua bellezza dandogli degna sepoltura" sentenziò la marchesa di Puttemburgo.
Nel frattempo le altre sei piccole donne si erano svegliate tutte e ascoltavano la conversazione appena poco più indietro.
"Così parliamo noi, problemi tu hai!?" tuonò dalle retrovie Carasaula.
"Nessun problema, saddìd'andà?" domandò risoluta e raggiante la marchesa.
"Vestitevi ragazze" ordinò Franca: "A lavorare più tardi oggi andiamo, adesso il ragazzo prima seppellire come si deve dobbiamo."
Poco dopo erano tutte quante pronte per raggiungere il castagno sotto il quale giaceva Gianco. Quando arrivarono, egli era sempre più blu.
In un'atmosfera cupa, con aria triste, si misero tutte a scavare una fossa per il tenero e sfortunato ragazzo amante delle castagne. Terminarono stremate, dopo circa tre ore di fatica e duro lavoro.
Finalmente era giunta l'ora di tumulare il corpo del ragazzo.
"Oh-issa! Oh-issa!" strillarono in coro mentre sollevarono la barella di ceppi di legno, ma colte dalla fatica e dalla stanchezza alcune di loro persero l'equilibrio e fecero ribaltare la lettiga di fortuna costruita il giorno prima; il corpo di Gianco cadde prono al suolo.
Fu allora che avvenne il miracolo: si sollevò con le sue braccia e rimase inginocchiato. Dette un colpo di tosse fortissimo e vomitò tutte le caldarroste che aveva mangiato il giorno prima; poi, lentamente la sua pelle cominciò a tornare bianca.
Gianco era vivo e, benché pallido e verdaccio, stava bene!
Quando finalmente si alzò in piedi la marchesa Hohahola gli si gettò fra le braccia e lo strinse forte. Lo guardò negli occhi e gli disse:"Senti, te tu ora vieni 'hon me a Puttemburgo, che fra l'altro c'è la sagra della Cecina. Vivremo per sempre felici e 'hontenti, ti farò cucinare la ribollita tutte le volte che vorrai!"
Gianco, senza distogliere lo sguardo dal suo, rispose con alito pestilenziale: "Cos'è la cecina? Si fa con le castagne?"

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Immagine CC BY-SA 2.0 di Tyler Fonte flickr

FINE

L'immagine della fata Morgana è di pubblico dominio Fonte WikiCommons

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Un racconto fantastico! Mi hai fatto ridere a crepapelle! I personaggi e le vicende sono divertenti e paradossali, se così si può dire, considerando che è un racconto di fantasia... Direi che il mio personaggio preferito è la megera Isabrutta, brutta come la morte ma con un cervello funzionante, direi: il suo piano ha funzionato alla grande!

Ma gli abitanti di Smutanda si chiamano Smutandati o Smutandini? E indossano le smutandine? XD

Beh è di Zena Isabrutta, una repubblicana, quindi puro intelletto al servizio del male! La provincia di Smutanda, in realtà, ha i giorni contati: Sua Grazia l'Imperatore Fazö Tuttö mi IV sta pensando di accorparla alla vicina provincia di Vattelapesca, poiché gli Smutandosi, così sono chiamati quei grezzi villani, sono gente scomoda e pericolosa. Per questo motivo egli intende attaccarli nelle tradizioni, negli usi e nei costumi. I tempi cambiano e perciò, persone che non portano le mutande, non sono ben viste e gradite all'interno dell'enorme impero.

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Del resto, è ben noto a tutti che non bisogna mai fidarsi di uno che non porta le mutande...

O di chi ci infila dentro la maglia della pelle...

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Non ridevo così tanto da tempo! Gianco mi ha fatto quasi tenerezza, ma il mio preferito è in assoluto lo specchio.

È vero, lo specchio è un grandissimo! Avrei dovuto dargli più spazio!

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No, vabbè... sto ancora ridendo!!!

😂😂😂 Gianco è pieno di amici simpatici che fanno ridere!

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un riuscitissimo incrocio tra i fratelli Grimm e Giobbe Covatta, un racconto da favola, spassoso intelligente ironico, d'ora in poi questa sarà la versione originale, aspettiamo le versioni rivedute di tutti gli altri classici, standing ovation!!!

Ue ciao ragazzi, grazie, siete troppo gentili... Avete tirato in ballo nomi importanti... Giobbe Covatta è un grandissimo, mi onorate.
Umilmente però devo dire che sono d'accordo sul fatto della versione originale: dovrebbe essere questa! Sai che risate si potrebbero fare i bimbi!? Si insegnerebbe loro anche la vera vita. Poco male se si parla anche di un bordello o di una respirazione bocca a bocca con la lingua.
Bisogna uccidere il bigottismo!

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"Lady Fregna!", sono ancora piegato in due!!!

😂😂😂😂 Ahahah 😉

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Oddio ma questo racconto è stupendo! I nomi, i luoghi, i modi di parlare...se ci penso rido ancora 😂😂
Bravissimo!!!

Grazie! Ti saluta il puttanone toscano!! Ahahahahaahhhaa ma LOL

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