48 - 'O muorto che pparla
48 - 'O muorto che pparla
Per questo credo che chi è già morto una o più volte sia stato, in un certo senso, favorito dagli eventi.
Non sto parlando di chi è realmente morto e poi risorto, non ne conosco nessuno di persona e non credo a queeli di cui si racconta.
Parlo di chi, per un motivo qualunque, è stato ad un passo dalla morte, oppure a cui è stata diagnosticata per errore una patologia che non lasciava scampo ed altri casi simili.
La filosofia Zen arriva, certo, alle stesse conclusioni senza dover passare per forza da esperienze forti, ma noi occidentali facciamo veramente fatica a comprederla, mentre siamo molto più sensibili ad apprendere per esperienza diretta.
La mia esperienza personale mi ha portato sia a cercare e, credo, in parte riuscire a comprendere lo Zen, sia a vivere una quasi-morte in età adulta, quindi godendo di tutti i risvolti positivi del caso.
Non è facile esprimere a parole certi concetti, infatti lo Zen si rifiuta totalmente di farlo; il senso di tutto è che nulla ha senso e la vita, la morte, l'universo... nulla ha un senso, semplicemente, esiste.
Il nostro tentativo di dare un senso alle cose è squisitamente occidentale e sostanzialmente infantile, appartiene a quella fase dei "perché" che una persona adulta e, quindi, una civiltà adulta ha superato, metabolizzando il fatto che non a tutte le domande corrisponde una risposta, anzi, a ben guardare, nessuna risposta è realmente la risposta ad una domanda.
Un modo occidentale per rispondere alla domanda
...fondamentale sulla Vita, sull'Universo e Tutto quanto2è quello di "Pensiero Profondo" la cui risposta, dopo sette milioni e mezzo di anni di calcoli, è 42, l'equivalente occidentale che nello Zen consiste nel fare un gesto invece che dare una risposta.
Cosa succederà dopo la mia morte?
Una domanda senza senso, un problema non mio, per questo cerco di fare sì che non cambi in alcun modo il mio vivere.
Il mio universo è iniziato quando sono nato e terminerà quando morirò, nel frattempo cerco di fare del mio meglio, questo è tutto.
Oltre all'interesse per la filosofia Zen un fatto successomi anni fa ha cambiato il mio atteggiamento verso la morte e, di conseguenza, verso la vita, perché io credo che chi ha paura della morte, inevitabilmente ha paura anche della vita.
Cosa mi successe, quindi?
Durante un ricovero in ospedale mi venne praticata una pneumoscopia, a causa della mia sensibilità il medico utilizzò una dose evidentemente eccessiva di anestetico e andai in arresto cardiaco.
Ricordo ancora oggi perfettamente le fasi concitate che seguirono; il medico e due infermieri mi trasportarono su un lettino in una stanza vicino e mi praticarono un'iniezione in vena di adrenalina.
Io ho un ricordo nitidissimo di come vedevo tutta la scena dall'alto, sdraiato senza vita su quel lettino e di come la cosa mi lasciasse assolutamente indifferente.
Il mio io che vedeva la scena dal di fuori del mio corpo pensava che non fosse il caso di agitarsi così tanto, che la mia morte non fosse un grande problema né per me in particolare né, tantomeno, per il mondo in generale.
Ovviamente l'iniezione di adrenalina ebbe effetto, il mio cuore riprese a battere e io sono qui a raccontarlo, quindi non ero veramente e definitivamente morto...
Malgrado questo io non penso assolutamente che esista la vita dopo la morte, l'anima e altre panzane del genere, credo che quello fosse semplicemente il modo in cui la mia mente stava razionalizzando quello che percepiva in quel momento poco prima di spegnersi.
Quindi quel senso di pace, di ineluttabilità, di accettabilità della morte erano pensieri miei, della mia mente nel momento della morte.
Questa cosa l'ho già vissuta e, proprio per questo, ora non mi sembra una cosa da temere, di cui aver paura, quanto piuttosto la normale conclusione dell'esperienza della vita.
Corrisponde poi esattamente a ciò che si può trovare nello Zen, che, dopo questo fatto, mi è sembrata ancor di più una filosofia che permette di comprendere, proprio perché non tenta di spiegarlo, il senso dell'insensatezza di tutto ciò che siamo e di tutto ciò che ci circonda.
Con questo post intendo partecipare al contest "Expiring Date" di @serialfiller.
Vivete, finché siete vivi!
Riferimenti:
242
@ilnegro con questo post abbiamo un serio problema. Potresti aver scoraggiato gli altri a partecipare.
Mi ha molto impressionato la tua lucidità sia nel racconto della tua esperienza di quasi morte, sia nel racconto di quel che pensi possa significare la vita e la morte.
Bel pezzo, profondo e vibrante.
Complimenti.
Mi risultano un po' strane, alcune frasi, dette da chi si interessa di filosofia Zen.
Non sono molto d'accordo, io penso che la paura della morte sia data dal non accettare la perdita (in qualche modo la trasformazione). Tutta la nostra cultura odia la trasformazione e cerca la stabilità. La perdita di qualcosa che si ritiene propria ha a che fare in qualche modo con la trasformazione. La vita è mia e chi (o cosa) si permette di togliermela? Mio padre o mia madre è mia, chi (o cosa) si permette di portarmi via i miei cari. Peccato che la stabilità rappresenta in qualche modo la morte (ecco l'insensatezza della nostra cultura), quindi sintetizzerei così: la decadenza della nostra cultura è il suicidio di chi si accorge di non avere autorità sul mondo, di non poter comandare il mondo.
Lo zen si rifiuta di dare un particolare significato al nostro dare senso al mondo, ma anche il nostro dare senso al mondo esiste, e questo lo zen lo sa. Il rifiuto zen è dato dal non accettare la pretesa che la conoscenza del mondo razionale, ad esempio la frase "quella è la luna" sia una conoscenza della luna in sé (non esiste nessuna luna in sé se non nel discorso). Questa pretesa porta l'uomo ingenuo a credere di possedere la luna, quindi la vita, quindi le altre persone (che invece muoiono). Ma, oltre questa pretesa, ci sono altri modi di praticare il senso del mondo attraverso i discorsi, ed anche la filosofia Zen utilizza queste pratiche.
E' la prima volta che sento dire che l'aspetto principale della cultura occidentale, da cui è nata la filosofi e poi la scienza sia una cosa squisitamente infantile. Questo naturalmente non significa che io difenda il nostro tentativo di dare un senso alle cose.
Non credo che la nostra cultura (adulta) abbia metabolizzato il fatto che nessuna risposta è realmente la risposta ad una domanda. Magari fosse così.
Mi sembra una risposta questa, anche una risposta forte, una risposta cioè molto in linea con la nostra cultura occidentale che pure non ci convince.
Mi piace più la frase che Socrate utilizzò per salutare i giudici dopo la condanna a morte, vado a memoria: