La storia indicibile dei rapporti tra Stato e Mafia

L'immagine è tratta da pixabay ed è liberamente utilizzabile

«Se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia, dovrebbe suicidarsi!»

Leonardo Sciascia

Appena sono state rese pubbliche le dichiarazioni del boss mafioso Graviano secondo il quale avrebbe avuto a Milano ben tre cene con Silvio Berlusconi, i giornali si sono si sono lanciati a trarre facili conclusioni. Manco li ha sfiorati il sospetto che potrebbe essere una enorme balla da parte di un assassino spietato al fine di ottenere benefici in merito alla sua detenzione.

Ma del resto la narrazione di Berlusconi ricettacolo di ogni male conviene a troppi. Certamente è provato che il tycoon milanese abbia avuto rapporti con esponenti mafiosi: pensiamo al suo giardiniere/stalliere Mangano che per anni ha vissuto addirittura nella sua residenza brianzola o pensiamo al suo braccio destro Dell'Utri condannato in via definitiva per rapporti con la mafia siciliana. Ma qualcosa stride nella comoda narrazione secondo cui il Male Supremo Berlusconi fosse in rapporti con la mafia mentre i suoi avversari politici fossero, ovviamente, dalle parte del bene che lotta contro il male.

Stride con le verità processuali sinora emerse nei processi relativi alla strage Borsellino e ai suoi relativi depistaggi e soprattutto stride in relazione a quanto è emerso nel processo sulla trattativa stato-mafia. Berlusconi all'epoca dei fatti non era in politica ed era un imprenditore che aveva perso i suoi padrini politici a partire da Bettino Craxi. Berlusconi all'epoca non poteva certamente gestire rapporti tra lo stato (inteso anche e soprattutto come stato-apparato) e la mafia essendo un outsider, un esterno alla politica e non in grado di ordinare nulla al deep state. Abbiamo certezza che la strategia stragista si svolse all'epoca del governo Ciampi e che il suo ministro della Giustizia Conso fu colui che anni dopo ammise la "gestione" del 41bis per oltre 300 mafiosi all'epoca agli arresti. Fu inoltre sotto il governo Prodi che furono chiusi i super carceri di Pianosa e dell'Asinara con la scusa della tutela dell'ambiente e l'istituzione dei parchi e come, soprattutto, fu espressamente richiesto nel famoso papello mafioso consegnato agli uomini dello stato. Erano tutti uomini del centro-sinistra i protagonisti di queste vicende, c'è poco da fare. Come si può imputare a Berlusconi tutta la responsabilità di una trattativa scellerata tra la mafia e chi dovrebbe combatterla non tenendo conto della cronologia dei fatti e delle vicende coinvolgono politicamente uomini di tutt'altra parte politica?

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Più in generale c'è qualcosa che sfugge nella storia del rapporto tra stato e mafia sin dai tempi dello sbarco degli americani in Sicilia e della strage di Portella della Ginestra. La storia sembra dirci che esiste un convitato di pietra mafioso che è organo costituzionale materiale al quale tutti devono rivolgersi se vogliono governare. Andare a indagare questo aspetto non conviene a nessuno. Meglio creare il Babau - nel caso Berlusconi - e dargli tutte le colpe perchè se si analizzassero le reali aderenze bisognerebbe concludere - come diceva Leonardo Sciascia - che l'unico modo che lo stato ha per combattere la mafia è suicidarsi. Meglio credere a Graviano, tanto Berlusconi ha ottantaquattro anni e caricargli tutto sulle spalle non avrà conseguenze pratiche in questo mondo. Il paradosso della situazione è che molto probabilmente questo teatrino sta bene a tutti. A partire da Berlusconi secondo me disposto a bere l'amaro calice pur di avere garanzie di protezione per i suoi figli e le sue aziende quando non ci sarà più.