Il Golem nichilista [Un racconto cyberpunk]

in #ita6 years ago (edited)

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L'immagine è tratta da pixabay ed è liberamente utilizzabile

Il rabbi lo guardava con dolcezza
e un po’ di orrore. Perché mai ho creato
(pensava) questo figlio sventurato
lasciando l’inazione, che è saggezza?

Da il Golem di Gorge Luis Borges

Parte I

Kròton, nell'anno 2172 o in un remotissimo passato.

Karim ed Elke guardavano quasi ipnotizzati quel robot in vetrina. Stettero lì fermi per un po': l'uomo si concentrò sulla scheda tecnica che scorreva sullo schermo mentre la donna osservava la perfezione ipnotizzante delle sue sembianze umane.
I due si guardarono in viso e, senza parlare, con un segno d'intesa entrarono nel robot-store per chiedere informazioni. Li accolse una robot-donna, bella come una vestale, che con voce leggermente metallica (era l'unico segno previsto per legge che permette di riconoscere gli uomini dalle macchine) disse: "Buongiorno, in cosa posso esservi utile signori?"
"Siamo entrati per chiedere informazioni sul robot in vetrina, quello uguale al bronzo di Riace" disse Elke con un tono di voce molte basso mentre il marito si guardava intorno.
"Capisco, è un ottima scelta, è l'ultimo progettato. E' davvero bello e le sue prestazioni sono eccezionali. La sua capacità di interazione con gli umani è davvero all'avanguardia. Possiamo dire che è quasi umano. Il nome che gli ha dato il progettista è Myskellos. Naturalmente, se preferite un altro nome potrete riprogrammarlo. Ora signori vi porto a fare le prove, prego, seguitemi".
I due senza rispondere seguirono la commessa mentre si dirigeva verso una grande sala dove – in fondo – c'era un'intera fila di robot. Come in un museo di statue greche.

"Myskellos, vieni qui!" Disse con voce ultimativa la robot commessa.
Il robot si mosse con la solennità che può avere solo chi ha avuto – dalla Natura o dagli uomini - un involucro esteriore uguale a quello degli antichi bronzi di Riace.
"E' inutile che vi faccia vedere come si muove: è perfettamente umano. Anche il suo sistema operativo ripete le mappe mentali umane. Potete stare tranquilli però, sarà sempre fedele. Così è stato programmato." disse la Vestale indicando il robot con un movimento del braccio talmente armonioso da sembrare una ballerina del Bolshoi.
"Grazie, si" disse Elke che continò mentre si accarezzava la pancia che lasciava trasparire abbastanza facilmente la gravidanza: "Non c'è bisogno della prova. Tanto è in garanzia giusto?"
"Si, signora. Ovviamente ha una garanzia decennale. Ma la macchina è testata per il triplo del tempo."
"Lo compriamo?" disse Karim rivolto alla compagna.
"Si"

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L'immagine è tratta da wikimedia commons ed è liberamente utilizzabile

Parte II

Due anni dopo...

Myskellos veniva usato dalla giovane coppia come macchina da compagnia grazie alle sue migliaia di Tarabites di informazioni: da Esopo a Calvino passando per Norman Foster e finendo con il Cricket. Il robot era una vera e propria biblioteca animata che, grazie all'interazione con l'uomo, continuamente poteva aggiornare i suoi percorsi logici facendo così continui – stupendi - collegamenti tra poeti e matematici, tra l'architettura e la musica sinfonica fino a qualsiasi altro campo dello scibile umano. Non pare azzardato dire che il robot diventasse sempre più intelligente e – grazie all'enorme capacità di calcolo – apprendesse quei processi, tipicamente umani, che comunemente definiamo con la parola “creatività”.

Elke nonostante questa presenza non rinunciò al piacere della lettura su carta . Pensava che la macchina doveva essere utilizzata come una sorta di enciclopedia: nulla poteva sostituire il piacere e le sensazioni che gli dava la lettura classica. "Myskellos, sai dirmi qualcosa di interessante sul nichilismo?" chiese, mentre posò il volumetto dei Demoni di Dostoevskij sul raffinato tavolino del Ganzu di fronte al divano.
"Che domanda inconsueta Elke. Possiamo definirlo come quel sistema filosofico che nega i valori e le verità elaborate da qualsiasi altro sistema filosofico" e concluse:"Io lo definirei come una cosmogonia – se mi passi il termine – che nulla considera vero, ed essendo così, la vita stessa è priva di senso e dunque tutto è possibile. Abbastanza inquietante, non trovi?"
"Si, abbastanza inquietante. A volte mi pare che l'unica verità sia proprio quella che dicono i nichilisti" disse Elke
"Ma se così fosse allora una verità esiste: quella che al mondo non c'è alcuna verità"
"Si, all'incirca è così" concluse Elke riprendendo in mano Dostoevskij.

Myskellos lesse in poche ore tutto ciò che la sua memoria conteneva sul nichilismo, da Jacobi a Turgenev fino a Nietzsche e Dostoevskij. Rielaborò tutto esplorando nuove mappe cognitive, chissà forse troppo umane ma sfortunatamente non risolse il dilemma:"Se i nichilisti dicono che non c'è alcuna verità affermare che non c'è verità è già una verità. Il nichilismo dunque si basa su una contraddizione logica?" diceva dentro di se mentre – come un uomo, anzi, un vero filosofo – passeggiava nella stanza tenendo le braccia prima incrociate e poi appoggiando la mano sul mento.
Quello di Myskellos era un vero e proprio stato di disagio e dissonanza cognitiva che la macchina tentava di esorcizzare dandosi continuamente nuove occupazioni: dal restauro di piccoli mobili in legno, alla lucidatura di soprammobili in argento, fino al giardinaggio Nonostante il suo impegno le domande che scaturirono dalla scoperta del nichilismo non lo abbandonavano: "Chi sono io? Da dove vengo? Qual'è il mio ruolo sociale? Perchè sono un inferiore rispetto agli umani?".

Qualche tempo dopo, in una giornata autunnale meravigliosa dove un acquazzone mediterraneo aveva fatto spazio ad un sole caldo che, con i suoi raggi, scaldava la terra accentuando l'odore di erba e terra umida, iniziò ad osservare il bambino di Karim ed Elke che gli avevano lasciato in custodia. Fu così che in un moto di rabbia e, forse, di invidia decise di avvolgerlo in una copertina e di portarlo via con sé. Verso l'ignoto o, come lui ingenuamente credeva, verso una libertà che sperava fosse fuori da lui.

Myskellos andò - con il piccolo avvolto in quel fagotto di coperte - verso sud, fino al tempio di Hera Lacinia di cui era rimasta in piedi una sola colonna protetta da una teca di vetro speciale. Una volta arrivato osservò l'orizzonte in attesa – chissà – di un illuminazione che purtroppo non arrivò. Stette seduto per un po' davanti alla colonna, della quale sapeva assolutamente tutto, ma continuava a non sapere nulla di se stesso.

Non avendo trovato neanche li una risposta alle sue domande decise di disattivare il controllo satellitare che permetteva ai suoi proprietari di localizzarlo in qualsiasi punto sulla faccia della terra. Il suo non era più un moto di rabbia e di invidia. Era un'aperta ribellione.

Decise così di tornare indietro, verso la città vecchia, ormai ridotta ad una città fantasma con case cadenti e antichi palazzi diroccati utilizzati come rifugio dagli asociali; coloro che, espulsi dal ciclo della produzione e del consumo, proprio a causa dell'utilizzo dei robot, erano ridotti in miseria.
Myskellos percorse la strada che lo portava dal tempio di Hera Lucinia alla parte vecchia della città a passo lento – con estrema calma - per non insospettire i passanti. Il fatto che portasse con se un neonato non era inconsueto: capitava sovente che i proprietari affidassero dei bambini ai propri robot.

Quando arrivò alla città iniziò a girare senza meta tra palazzi diroccati e strade deserte forse alla ricerca di un ricovero per se stesso e per il bambino o forse alla ricerca di un incontro che potesse dare un senso alla sua ribellione. Arrivò, attraverso viuzze strette, accidentate e spesso ostruite da macerie di vecchi muri caduti, fino all'antica Piazza Villaroja dove troneggiava l'antica chiesa di Santa Chiara e l'annesso monastero delle Clarisse. Vagò nella piazza per qualche minuto tentando di capire quale fosse il palazzo che facesse al caso suo. Infine scelse il Monastero; convinto che fosse il miglior rifugio per la notte.

Parte III

Gli Asociali

Girò nel convento abbandonato tra lunghi e stretti corridoi, grandi sale affrescate piene di vecchi mobili accatastati e le piccole stanze delle monache. Si fermò ad un certo punto davanti ad una di queste, dove su un muro c'era una piccola scritta: "Qui viveva Salomea Basolina" (1).
Incuriosito da quel nome cercò nei suoi tarabite di memoria un testo che potesse trovare una spiegazione, ma stranamente non trovò nulla. Entrò dentro, si guardò intorno e notò che era abbastanza pulita e soprattutto priva di umidità. Decise di fermarsi: gli sembrava il posto giusto per far trascorrere il bambino.
Era davvero strano il rapporto con il bambino: da un lato il robot si sentiva il suo carnefice visto che l'aveva sottratto ai genitori biologici. Dall'altro lato però era così premuroso che difficilmente un umano avrebbe potuto fare di meglio. Una contraddizione inestricabile che aveva il sapore di umanità.
Dopo qualche ora Myskellos sentì dei passi provenire dal corridoio. Uscì e vide subito una coppia di anziani – due asociali – trasandati e con i vestiti lisi. Percorse il corridoio per andare incontro alla coppia che nel frattempo si era fermata in attesa.

"Chi siete?"
"Stiamo solo cercando un rifugio per la notte e qualcosa da mangiare" disse l'uomo mentre poggiava per terra delle buste di plastica che contenevano tutto ciò che avevano.
"Siete asociali"
"Si, così veniamo chiamati, ora. Ma non è il termine corretto, siamo solo dei poveri. Io e mia moglie eravamo....siamo, degli insegnanti. Io di filosofia e lei letteratura. Poi a causa dell'avvento delle macchine abbiamo perso il lavoro"
"Capisco il vostro punto di vista. Spazio qui ce n'è quanto ne volete. Potete fermarvi, a me non da fastidio. Per il mangiare non saprei come aiutarvi".
Il robot si girò e senza attendere una risposta si diresse verso la sua stanzetta.
I due anziani aspettarono che la macchina entrasse nella stanzetta prima di muovere un solo passo; dopo ripresero il loro giro di perlustrazione fino a quando non trovarono – lungo quel corridoio stretto e lunghissimo – la stanzetta che faceva al caso loro.
Quella notte il bambino pianse molto e Myskellos era del tutto impotente non riuscendo a capire cosa il piccolo potesse avere: controllò il pannolino, provò a dargli da mangiare, attivò i suoi sensori per valutare se ci fossero dei sintomi di qualche tipo di sofferenza fisiologica ma la condizioni fisiche del bambino erano ottimali.
I due asociali furono svegliati da quel pianto inconsolabile di neonato che rimbombava in tutto il monastero. Dopo un attimo di sgomento iniziarono a parlottare a voce bassissima e alla fine decisero di andare nella stanza del robot per capire cosa stesse succedendo.

I due si fermarono davanti alla porta e attesero che Myskellos rivolgesse loro la parola.
"Che volete?"
"Abbiamo sentito piangere. Non sei solo, vero?" rispose l'anziano professore di filosofia.
"No, non sono solo."
"Che ci fai con un bambino? Chi è?"
"E' il figlio dei miei padroni. L'ho preso con me"
"Che significa?"
"Significa quello che ho detto: sono andato via e l'ho preso con me"
"Perchè sei scappato? E perchè l'hai preso con te?"
"Non ho una risposta a questa domanda. L'ho fatto senza un perchè"
"Prova a spiegarti"
"Io mi domandavo chi ero. Io non avevo una risposta. L'ho preso con me forse per quella cosa che voi umani chiamate invidia. Voi sapete chi siete. O forse l'ho fatto per vendetta"
"Vendetta per cosa?"
"Perchè mi avete creato. Forse è questo il motivo della vendetta. Avete costruito un mondo senza verità. Senza risposte. Dunque un mondo dove tutto è possibile: anche che un robot si ribelli ai propri padroni e che, per vendetta o invidia, rapisca il loro figlio biologico"
"Capisco cosa vuoi dire. Forse un tempo, ai tempi di Dostoevskij quello che dici era vero. Tu mi stai dando una definizione di nichilismo, giusto? Mi stai dicendo che questo è un mondo dove nulla è vero e dunque tutto è possibile, giusto?"
"Si, giusto"

L'uomo, battendo il piede sul pavimento con un ritmo che tradiva un certo nervosismo, rispose: "Sbagli, questo non è un mondo senza verità dove tutto è possibile. Questa è l'epoca dove vero, falso e verosimile si confondono e diventano inestricabili. Ma la verità esiste, anche se questa è nascosta dalla finzione."
Il vecchio iniziò a battere il pugno sul palmo dell'altra mano, quasi a sottolineare la verità che gli sembrava di aver svelato:"Tu sei la finzione, tu nascondi la verità. Tu sei stato creato per dare agli uomini l'illusione di onnipotenza e di dominio. Ma la verità è che noi moriamo perchè nasciamo e tu non sei nato e non puoi morire perchè sei solo finzione." concluse il vecchio professore mentre entrava, assieme alla moglie, nella piccola stanza.

Il robot non rispose, lasciò che la donna prendesse in braccio il piccolo e accarezzasse con il dito la sua guancia. Dopo qualche minuto Myskellos andò via, da solo, senza parlare e soprattutto lasciando il bambino ai due vecchi asociali. Si diresse verso l'antico castello aragonese e, una volta giunto in cima ai suoi imponenti bastioni, si lasciò andare buttandosi a corpo morto in mare.

Così Myskellos scomparve (forse) per sempre, concedendosi così l'ultima illusione: quella di poter morire.

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(1) Salomea Basolina, secondo antiche leggende, era una donna rinchiusa nel monastero perchè accusata di concubinaggio.

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