Il Cristianesimo non è umanitarismo
Il mondo progressista misura il cristianesimo secondo il metro della sua vicinanza agli “ultimi”. Un atteggiamento che richiama volentieri le esperienze di quella teologia della prassi che fu la “teologia della liberazione”, i cui esponenti principali furono Gustavo Gutiérrez, Héelder Camara, Camillo Torres, Leonardo Boff. Teologia della quale è figlio lo stesso Bergoglio.
In Italia questa onda arrivò negli anni ’70. All'epoca l'esistenza dei cattolici fu pervasa da quell’esperienza che parlava «di interpretare la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate» (Gutiérrez), di dialogo tra cristiani e marxismo, con il teologo Giulio Girardi che nei suoi libri divulgava le tesi di questo dialogo. Un dialogo che attraversava tante esperienze: la Cittadella di Assisi con la sua rivista “Rocca”, Dom Franzoni e la sua comunità di S. Paolo, i Cristiani per il socialismo… Ricordo che un’estate partecipai a un convegno di tre giorni ad Assisi organizzato dalla rivista “Rocca” (c’è ancora): sul palco si alternavano relatori che esultavano per l’avanzata del socialismo nel mondo. Un sommovimento profondo che diede un grande impulso “sociale” alla Chiesa.
La nottola di Minerva inizia il suo volo solo sul fare del crepuscolo, metafora hegeliana della “conoscenza” del reale che avviene solo quando il giorno si è compiuto, quando la realtà si è già dispiegata. E oggi la realtà di cui stiamo parlando si è ben dispiegata. Possiamo quindi con calma capire meglio alcune cose.
La riduzione del cristianesimo a prassi non ha aiutato né il cristianesimo, né tanto meno il socialismo. Tutti e due, nella riduzione dell’intervento alla contingenza del sollievo della sofferenza, hanno imboccato la strada della perdita di sé.
Il Cristianesimo non è prassi terrena della “liberazione” dell’uomo. Ridurlo a questo significa fargli fare la stessa fine dell’altra prassi, quella che ha sbattuto le corna sul muro della Storia. Per cui, chi ha insistito su questo, si trova a raccogliere i cocci.
Ridurre il Cristianesimo a “umanitarismo” significa relegarlo al significato dell’assistenza materiale (volontariato). Ecco perché la “naturale” combinazione di energie tra cattolici e progressisti umanitari su vari temi di intervento sociale. Al punto che spesso i rappresentanti umanitari della chiesa si confondono con i rappresentanti umanitari “laici”, e insieme si abbracciano contenti di rappresentare il Bene (Zanotelli-Strada…).
Il teologo Hans Urs von Balthasar nel suo “Perché sono ancora Cristiano”, ricorda che «l’aiuto di Gesù è eucaristico fin dall’inizio». Vuol dire che soccorre «proprio quando il semplice umanitarismo non è più in grado di aiutare: nella solitudine della morte e dell’abbondono di Dio, nell’abisso della rovina di Dio». Von Balthasar dice che l’assistenza cristiana prestata ai fratelli deve tener conto di «tutte le provvisorietà della vita terrena» ma tende però «sempre a superare i punti di vista dell’utilità e del successo». Essa interviene «soprattutto là dove gli altri si fermano». Essere cristiano ha quindi senso «soltanto se si conserva la determinante dimensione escatologica dell’azione di Dio in Gesù Cristo; diventerebbe assurdo, se tale dimensione venisse relativizzata, se un’altra istanza prendesse il sopravvento su di essa». Dimensione escatologica che si manifesta nell’amore inteso dal punto di vista divino: la manifestazione della «libertà di Dio realizzata nel messaggio, nella croce e nella risurrezione di Gesù».
Non è un invido alla fede, è solo un invito a non confondere i piani.