Né carne, né pesce

in #ita6 years ago (edited)

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“Alieno” è – scusate se mi permetto di precisarlo – tanto un sostantivo che un aggettivo.
A partire da questo scarno dato, proviamo a porci un’altrettanto semplice domanda: un Alieno è sempre alieno?... Cioè, è sempre estraneo, incomprensibile, incommensurabile con gli usi e la mentalità umana?

Non si direbbe: i marziani di H.G. Wells e gli Chtorrian ideati da David Gerrold, ad esempio, sono animati dalla nostra stessa ottusa ferocia e dalla medesima, rapace crudeltà… Possono essere diversi da noi sotto molti aspetti, ma dal punto di vista dei loro obiettivi (la conquista di un territorio a danno dei suoi abitanti originali) si direbbero squisitamemente “umani”.

Viceversa, ciò che è alieno (estraneo, eccetera) è necessariamente un Alieno? Cioè è un organismo extraterrestre? Anche in questo caso, la risposta potrebbe non essere necessariamente positiva…

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Come potrete facilmente constatare, leggendo la prima (qui) e la seconda (qui) puntata di questa specifica sezione di Altrimondi, fino a oggi mi sono riferito a una nozione piuttosto debole e ristretta di “alieno”. Nello spazio ideale creato da questa parola, la tradizione fantascientifica ha infatti ospitato centinaia – se non migliaia – di forme di vita, molte delle quali sono altamente civilizzate e pacifiche, nonché dotate di antiche e complesse tradizioni culturali: arte, scienza, filosofia… Insomma, “alieno” non è sempre sinonimo di Mostruoso & Ostile. Però – almeno per ora – vorrei comunque trattenermi sul terreno da cui siamo partiti – quello delle creature da incubo, degli xenomorfi e degli orrori antropofagi – perché si tratta di una vena minerale ancora tutta da scavare, che può dare tante soddisfazioni e procurare una buona dose di “cinebrividi”, come direbbe Alex il drugo.
“Idea falsa, vana immaginazione, è la definizione di chimera che dà oggi il dizionario…”, ci ricorda il divertentissimo Manuale di zoologia fantastica di Jorge L. Borges e Margarita Guerrero (1957), lamentando come il mitico pseudo-animale abbattuto dall’eroe Bellerofonte sia ormai ridotto a un mero concetto incorporeo e morto, incapace di spaventare persino un neonato… Non è sempre stato così. La Chimera, il cui nome – guarda un po’ te – deriva da khimaira, cioè capra, è, filologicamente parlando, una sorta di “albero misterioso”, che affonda le proprie radici nell’oscurità di tempi remoti e senza storia. La bizzarra creatura compare per la prima volta nel VI libro dell’Iliade omerica ed è descritta come “di stirpe divina”, “leone davanti, dietro serpente, capra nel mezzo”, e armata di “un fiato terribile di fiamma avvampante”… Che strano assemblaggio, vero? Per quanto oggi possa apparire al limite del ridicolo, questo patchwork era evidentemente concepito per creare un effetto disturbante, l’idea – percepibile sottopelle, a livello semiconscio – di qualcosa di incongruo, innaturale… qualcosa di abominevole. In fondo, la Chimera è proprio questo, la più semplice, elementare illustrazione del concetto di Mostro: una composizione di parti “prese a caso” da organismi diversi.

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Naturalmente, il concetto in questione è molto più complesso e articolato di così. È ricco di sfumature interne, polisemico e sfuggente per vocazione naturale… Ma al momento, questa formula può bastarci. Sì, perché, muovendoci lungo il solco scavato a suo tempo dal film Alien – è da lì che siamo partiti, ricordate? – è proprio in una simile espressione del mostruoso che andremo presto a imbatterci...
Ma procediamo con ordine.
Dopo aver incrociato la strada della Chimera, ci tocca avvicinarci – in uno scontro breve e fatale – a un altro mostro uscito dalla più remota antichità. Nato dalla mitologia cananeo-fenicia, il Leviatano avrebbe portato le tracce di questa precedente vita dentro la tradizione dell’ebraismo, da cui fu entusiasticamente accolto. Celebre è la lunga descrizione che ne dà il biblico Libro di Giobbe, dove, tra l’altro, si dice che “intorno ai suoi denti è il terrore (…) il suo dorso è a lamine di scudi (…) dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco…”, un quadretto non proprio rassicurante che comunque dipinge il bestione come una creatura di Yahweh, sottomessa e controllata dalla sua insindacabile volontà. Prima di questo (e forse anche oltre questo) l’orrido essere rimane abitatore e simbolo vivente dell’Abisso, del caos primigenio, del Male stesso. Non manca chi lo assimila al Serpente dalle sette teste che, sull’sola di Patmos, si rivelerà al visionario estensore di quella che noi conosciamo come Apocalisse di Giovanni. Terrorizzante e invulnerabile… Non stupisce che il Filosofo della Paura – l’inglese Thomas Hobbes – lo abbia eletto a simbolo del suo Sovrano ideale, un “monopolista della violenza” che si assume il compito di sedare – forte di un potere invincibile – ogni fibrillazione sociale, garantendo così ai cittadini quella pace che il carceriere garantisce ai carcerati... Divagazioni a parte, ora abbiamo ciò che ci serve: un Mostro enorme e famelico che sorge dalle profondità marine, dalla tenebra dell’eternità… per abbracciarci con le sue immense fauci.

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Scomodare cotante icone mitologico-bibliche – dirà qualcuno – è davvero troppo per parlare infine di un modesto filmetto fantahorror come Leviathan (George P. Cosmatos, 1989)… Ma io non mi scompongo: sono più interessato a costruire ponti che a innalzare muri. Da questo punto di vista – cioè in materia di pregiudizi e “prigioni mentali” – vale la pena di segnalare anche solo di sfuggita il puerile snobismo con cui – non sempre, ma spesso – certa Critica si accosta al cinema fantastico. Il Dizionario dei Film Il Mereghetti – mi è capitato di citarlo recentemente (qui), ahimé in termini non troppo lusinghieri – è (duole dirlo) un esempio straordinariamente efficace di tale esecrabile vezzo. Sentite un po’ come riassume la trama del film di Cosmatos: “A 3000 metri di profondità nell’Atlantico, l’equipaggio di un sommergibile viene decimato da un orribile mostro proveniente da un incrociatore russo, ufficialmente mai scomparso. Selva dei luoghi comuni più scontati e del manicheismo più banale”. Posto che nella – certo non troppo originale – trama messa a punto dallo sceneggiatore David Webb Peoples, di manicheismo (!?) non v’è traccia, tutto il resto della sinossi mereghettiana sembra la risposta balbettante e sgangherata di uno scolaro che semplicemente non ha studiato la lezione… Per eccesso di zelo, potremmo innanzitutto far notare che ci troviamo a quasi 5000 metri di profondità (4876 metri, ovvero 16000 piedi), e quindi proseguire svelando che non c’è nessun sommergibile da queste parti, ma casomai una stazione mineraria sottomarina che estrae argento e altri metalli preziosi per conto della multinazionale Tri Oceanic. Almeno l’oceano è quello giusto – in effetti siamo sul fondo dell’Atlantico – ed è pur vero che nella vicenda compare a un certo punto il relitto di una nave sovietica (il Leviathan, giustappunto) che in teoria dovrebbe essere ancora operativa. Ma il “mostro”… eh, no. Non è così semplice.

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Leviathan, non dimentichiamolo, è il film che – esattamente un decennio dopo – celebra l’incredibile successo di Alien, cercando di replicarlo attraverso quell’eterna coazione a ripetere che da sempre caratterizza lo Show Business americano… Almeno dai tempi di Phineas Taylor Barnum – l’inventore, in un certo senso, del suddetto business – “strane creature ibride” vengono esibite come reperti inestimabili, testimonianze certe dell’esistenza di mostri marini e mescolanze inter-specifiche: la celeberrima Sirena delle Fiji (macabro assemblaggio tassidermico tra una scimmia mummificata e la coda disseccata di un pesce) ne è probabilmente l’esempio più noto, ma potremmo citare il truffaldino Hydrarchos, immaginario “serpente di mare” il cui scheletro fu costruito – utilizzando ossa prelevate da almeno cinque esemplari di zeuglodonte (un cetaceo preistorico) – ed esibito pubblicamente, nel 1845, presso l’Apollo Saloon di Broadway dal sedicente scienziato Albert C. Koch (un clamoroso fake che ancora oggi viene talvolta confuso, ahinoi anche su Wikipedia, con il – scientificamente accreditato – Basilosaurus). Le Chimere, insomma, sono sempre e comunque il carburante dela Meraviglia… ed è qui che, inevitabilmente, torniamo al film di Cosmatos. Dieci anni – dicevamo – sono trascorsi dall’uscita del kolossal di Ridley Scott e, nel frattempo, super-cult come La cosa di John Carpenter (1982) o più maccheronici e apocrifi emulatori come Alien 2 – sulla Terra (Ciro Ippolito, 1980), volenterosi – o demenziali – esperimenti come Mutazione genetica (Hernan Cardenas, 1980) e innumerevoli abominii fantademenzial-splattergore come L’alieno (Jack Sholder, 1987) Misteriose forme di vita (Robert Collector, 1987) e il “diretto competitor” Creatura degli abissi (Sean Cunningham, 1989) si sono ammassati sul grande schermo per raccogliere la loro percentuale di proventi. In questo carnevale affollato di mostri Alien-ofili e multiformi bisogna sgomitare per trovare un po’ di spazio e Leviathan lo fa mettendo in campo un’opzione “nuova” (le virgolette sono d’obbligo), quella della contaminazione genetica. Ciò che i dipendenti della Tri-Oceanic trovano a bordo del relitto russo non è, infatti, un’orrida creatura fatta e finita, ma una non meglio specificata “pozione mutagena” (clandestinamente occultata in un’ingannevole bottiglia di Vodka) che li trasformerà uno dopo l’altro in viscidi – e assassini – ibridi pisciformi.

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Alla fine… è davvero così importante dire al mondo se un film ci è piaciuto o meno? È davvero inevitabile emettere l’immortale sentenza sul valore estetico assoluto o sulla vergognosa insufficienza di questa o quest’altra opera? Spero di no. Forse basta ammettere che un racconto ci ha in qualche modo trascinati nella sua struttura fiabesca, nell’emozione momentanea ed evanescente dell’avventura che ci ha voluto raccontare… E, da questo punto di vista, non si può che ammeterlo: Leviathan fa il suo mestiere onestamente, senza lode e senza infamia. Adrenalina e suspense, orrori ittico-anatomici (garantiti dall’opera del mai troppo compianto Stan Winston), personaggi “abbozzati” quanto basta – adorabile il protagonista Peter Weller – e via dicendo, verso l’inevitabile (quasi)happy end: la morte del mostro, la sopravvivenza dell’Eroe e della Bella eroina. Bellerofonte uccide la Chimera ancora una volta. E, in effetti, è forse questo l’aspetto più interessante dell’opera di Cosmatos (scomparso prematuramente nel 2005), l’aver proposto l’immagine-idea di un Mostro “chimerico”, entità mutante e composita in cui riecheggia una tradizione antichissima e moderna nel contempo. Quella del mitico dio-mostro-uomo-pesce Oannes, nato tra IV e III secolo a. C. dall’immaginazione dello storico babilonese Beroso e quella lovecraftiana (e dunque novecentesca) delle innominabili e oscene “entità” venute dal mare. Ne troverete un esempio nel film Dagon di Stuart Gordon (2001), liberamente ispirato al racconto The Shadow Over Innsmouth (1936)…
E, detto ciò, come resistere alla tentazione di salutarvi con un… “torneremo a parlarne”?

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Come gettare una nuova luce su un'opera sottovalutata... e mettere in ombra il Mereghetti! Un'analisi densa e colta che come al solito mette grande voglia di vedere il film, anche se non amo estremamente il genere! Devo ammettere che leggere tutta la simbologia che sta nascosta dietro a un personaggio apparentemente non così "carico di significato", trasforma la visione di un film in un'esperienza molto più ampia e appagante. Insomma, mi hai spinto a guardare persino The Fly, dopo aver letto uno dei tuoi articoli, non posso non aggiornarmi anche sul Leviathan.
Complimenti sempre e grazie per la bella lettura!

Cara @nawamy, come sempre, grazie a te :-) Beh... sarebbe inutile cercare di far passare Leviathan per un immortale capolavoro dell'arte cinematografica, ma - come giustamente dici - è il gioco degli specchi dell'immaginazione, la trama dei rimandi e delle suggestioni culturali a rendere divertenti queste "scampagnate" nel Fantastico... Dentro (e dietro) le cose più piccole e umili si nascondono grandi paesaggi e lunghe odissee. Un abbraccio e... buona visione!

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