"... son cose ridicole"

in #ita6 years ago (edited)

Alla fine degli anni ’50, Pasquale Dorto si era trasferito in Toscana dalla nativa Napoli.
In realtà avrebbe dovuto rimanere solo un breve periodo, giusto il tempo di dare una mano alla zia Anna Maria nella pasticceria che gestiva col marito. Lo zio Giorgio si era ammalato e, dato che i due non avevano figli, Pasquale, ventunenne e di buona volontà, si era offerto di aiutare gli zii per un periodo.
Purtroppo Giorgio non era migliorato, anzi, nel giro di sei mesi, prima si era allettato e poi era morto.
Pasquale non se l’era sentita di abbandonare la zia, sorella della madre, a cui era molto attaccato.
Giorgio, in gioventù, era stato nei carabinieri e per questo si era trasferito a Grosseto, raggiunto poi dalla giovane sposa.
Qualche anno dopo, però, i due avevano deciso di trasformare la loro comune passione per i dolci in un’attività ed avevano aperto una pasticceria. Giorgio aveva lasciato l’arma e si era dedicato a creare pasticcini e torte, ma, in particolare, si era specializzato nel babà, portando con sé una piccola parte della sua Napoli.
Anche Pasquale si era appassionato in breve al nuovo lavoro, aveva imparato dalla zia i trucchi del mestiere e, dato che era un tipo fantasioso, aveva cominciato a creare nuovi dolci, colorati e gustosi, diventando così il più noto pasticcere della provincia.
C’era un altro motivo che attirava le ragazze: lui era davvero un bel ragazzo, aveva i capelli ricci e neri, un colorito ambrato ed era prestante nel fisico. Oltre a ciò, la cordialità partenopea ed il suo accento marcato favorivano i contatti col pubblico.
La zia, molto addolorata per la perdita del marito, aveva trovato una grande consolazione nella presenza festosa del nipote e lo trattava davvero come un figlio.
Lui aveva cominciato a produrre babà di tutte le dimensioni, mignon, medi, grandi e giganti (che erano quasi una torta) ed aveva introdotto prelibate varianti: babà al cioccolato, al lampone, alla crema chantilly…
Non solo. Aveva introdotto nella pasticceria un apparecchio che, inizialmente, la zia aveva trovato diabolico: il juke- box.
Poi, invece, anche lei si era accorta che attirava la clientela, soprattutto quella giovane, che si fermava ad ascoltare le canzoni e, immancabilmente, consumava qualche dolcino.
Le canzoni di Renato Carosone, con i loro motivi allegri e i testi divertenti, accompagnavano la vita di Pasquale e della zia.
Lui, poi, sapeva anche cantare, ma lo faceva solo in presenza di belle ragazze.
Sembrava, però, abbastanza refrattario ai legami, ovvero lo era sembrato finchè non era apparsa all’orizzonte Maria Stella, una sedicenne con la vita sottile e l’ampio decolletè, che frequentava l’istituto magistrale, situato nei pressi del negozio.
Era decisamente la più carina tra le numerose fanciulle che quotidianamente frequentavano la pasticceria.
Aveva un nasino piccolo e delicato, gli zigomi alti e grandi occhi neri.
E la bocca poi, perfettamente disegnata, che si apriva in sorrisi luminosi…
Pasquale era rapito.
Anche Maria Stella non era indifferente alle attenzioni del bel pasticcere e andò in brodo di giuggiole quando lui le dedicò una torta al cioccolato a cui dette il suo nome, la torta Maria Stella.
Così presero a frequentarsi, anche se lei non era quasi mai sola, dato che la sorella Elisabetta, di tre anni maggiore, era incaricata dai genitori di sorvegliarla e lo faceva con grande impegno.
Lei era già diplomata e faceva le supplenze alla scuola elementare.
L’avvenenza – pensava Pasquale – in quella famiglia, era andata tutta da una parte. Non si poteva dire che la sorella maggiore fosse brutta, ma era un po’ incolore, con poche curve e con il volto sempre serio e un po’ triste. Nulla a che vedere con le risate rumorose di Maria Stella, proprio tutta un’altra cosa.
Dopo i primi tempi, però, la bella Stellina cominciò a mostrare un carattere piuttosto mutevole.
Non le andava mai bene niente. Litigava con la sorella, con i genitori e anche con Pasquale: non le andavano bene i suoi orari di lavoro, il suo modo di vestirsi, il fatto che fosse sempre cordiale con tutti e perfino il suo accento napoletano la infastidiva.
Il giovane, molto preso da lei, cercava di giustificare le intemperanze e sopportava con stoica rassegnazione le continue variazioni di umore della sua bella.
In quel periodo, uscì una canzone di Neil Sedaka che riscosse subito un gran successo.
Il titolo era “I tuoi capricci” ed il testo diceva :

I capricci tuoi son cose ridicole
tu distruggerai il amore per te!
Scendi scendi scendi giù dalle nuvole,
non restar lassù lontano da me
Sapessi quanti amori sono finiti così,
Perchè annegarono tra tante lacrime per un capriccio.
Ritorna quella bimba che sorrideva per me:
è tanto semplice,è tanto facile volersi bene
amore… >

Era praticamente la loro canzone, pensava Pasquale, ma non osava dirglielo, perché temeva che la cosa non le piacesse e, magari, facesse una sfuriata.
Le aveva comperato un anellino di fidanzamento, ma non le era piaciuto, aveva messo il muso e lui era stato costretto a cambiarlo.
La zia scuoteva il capo: quella ragazzina così volubile la irritava. E poi era anche maleducata. Quando era nervosa, neppure salutava e, inoltre, aveva sempre un’aria a presa di giro, come se tutti gli altri, tranne lei e qualche sua amica, fossero sciocchi e ridicoli.
Anna Maria si chiedeva come fosse possibile che la sorella, cresciuta nella stessa famiglia, fosse educata e gentile quanto Maria Stella era strafottente e viziata.
Avrebbe davvero preferito che il nipote si fosse innamorato di Elisabetta, ma gli uomini, pensava, si fermano spesso alle apparenze.
Maria Stella aveva un gruppetto di amiche con cui parlottava sempre, indicavano gli altri e ridevano. Davvero delle cafone, secondo Anna Maria.
Il povero Pasquale sorrideva molto meno, da quando aveva cominciato a frequentare la bella del magistrale.
Era sempre gentile, certo, ma viveva temendo di far arrabbiare la sua ragazza e, purtroppo, i motivi di irritazione, per lei, erano infiniti.
Bastava niente perché si immusonisse e, magari, non si facesse vedere per qualche giorno.
Poi tornava, faceva due sorrisi, lo sbaciucchiava un po’ e lui toccava il cielo con un dito.
Elisabetta, talvolta, si sfogava con Anna Maria.
“Vede, signora – diceva – Mia sorella è sempre stata capricciosa, fin da piccola. Quando voleva qualcosa, si sdraiava per terra e urlava fino a smettere di respirare. Così i miei la accontentavano sempre”
“Su, su, cara, non te la prendere. Poi maturerà”.
Invece, col passare del tempo, la capricciosa fanciulla diventava sempre peggio, fino a che il signor Renato, un avventore abituale della pasticceria, disse in faccia a Pasquale qualcosa che lo lasciò tramortito : “Pasqualino, senti, tu sei un bravo figliolo e io te lo devo dire : ieri sono andato a portare il cane a correre sull’argine dell’Ombrone e ho visto la tua ragazza con un tipo”.
La sera, il povero giovane chiese spiegazioni a Maria Stella.
Lei, per tutta risposta, si fece venire una crisi isterica e urlò così tanto che la sorella, che l’aspettava fuori dal negozio, fu costretta ad entrare, prenderla per un braccio e trascinarla via.
Il giorno dopo Elisabetta andò a scusarsi con Pasquale e con la zia.
Lui era davvero triste, i capricci poteva perdonarli, ma non il tradimento e, purtroppo, dopo Renato, anche altri confermarono di aver visto Maria Stella con un altro più volte e in atteggiamenti inequivocabili.
Pasquale si chiuse in se stesso per qualche giorno.
Poi, si chiuse nel laboratorio del negozio e creò dei deliziosi pasticcini da tè, una specie di lingue di gatto, ma con il gusto e il colore del pistacchio e un delizioso aroma di cannella. Il tutto decorato da piccole strisce di cioccolato.
Li chiamò “I capricci” che divennero in breve, insieme ai babà, davvero molto richiesti.
Questo sforzo creativo lo riconciliò con la vita e fu in qualche modo catartico e liberatorio, tanto che quando, un mese dopo, la bella infedele tornò a cercarlo, Pasqualino non si lasciò commuovere in alcun modo, neppure dalle sue lacrime e tantomeno dalla scena isterica che seguì il suo rifiuto.
Il ragazzo, elegantemente, riempì un sacchettino di biscottini al pistacchio e li porse alla sua ex, dicendo: “Ormai gli unici capricci che mi piacciono sono questi, grazie per avermi dato l’ispirazione”.

Inutile dire che la sua vita, da quel momento in poi, diventò molto più serena e non solo.
Parlando con Elisabetta, che continuava a frequentare la pasticceria, si rese conto che era davvero simpatica e dolce e anche carina, seppure non appariscente.
Così, pian piano, nacque qualcosa di molto più bello e duraturo, tanto che Pasquale ed Elisabetta sono sposati da tanti anni e ancora gustano, insieme a figli e nipoti, i capricci al pistacchio, ormai famosi in tutta la regione.
La capricciosa Maria Stella si è sposata e separata due volte, ora anche lei è un’anziana signora e nessuno più si interessa dei suoi capricci.

FINE

CCO Creative Commons
christmas-2953719_1280.jpg

Con questo racconto, partecipo a Theneverendingcontest numero 13

Sort:  

Un racconto amaro dove il dolce è quasi bandito. E il lieto fine non deve ingannare. Quasi ci fossero 2 fasi della vita sentimentale di Pasquale: quella piena di scintille e quella più pacata...ma forse anche Elisabetta qualche capriccio l'avrà fatto. Bello.

Bel racconto e in più " i capricci tuoi son cose ridicole...." abbiamo riscoperto anche NEIL SEDAKA, Grazie! Saluti Kork75

Bella e gradevole storia quella che hai raccontato, con quei bei lieto-fine che mi piacciono tanto, complimenti, cara @fulviaperillo, racconto ottimamente realizzato e curato nei minimi particolari, come sai sempre fare

Ascoltando la musica si viene trasportati nella pasticceria con altri occhi e la storia si anima di vita propria! Brava come sempre!

Stupendo questo racconto, hai dato un'eccellente interpretazione ad uno dei tre scenari che avevo immaginato dando questo tema!

Coin Marketplace

STEEM 0.18
TRX 0.15
JST 0.029
BTC 63837.42
ETH 2539.78
USDT 1.00
SBD 2.65