Oggi parliamo di : Umberto Saba, poeta

in #ita6 years ago

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Esattamente sessantuno anni fa, moriva Umberto Saba, a Gorizia. Era nato a Trieste il 9 marzo 1883. Giorni di marzo, fertili per scrittori, poeti, cantautori, giorni in cui nasce la fantasia insieme alla creatività.
Era figlio di Ugo Edoardo Poli che, però, prestissimo, abbandonò la madre, Felicita Rachele Cohen.
L'infanzia di Umberto fu dunque piuttosto triste, per la mancanza del padre. Crebbe con la madre e con due zie.
Fondamentale fu l'affetto di una contadina slovena, presso cui fu messo a balia, Peppa Sabaz, che da poco aveva perduto il proprio figlio. Il cognome scelto dal poeta e con cui è conosciuto deriva proprio da quello della donna (che lui chiama nei suoi versi madre di gioia).
Il suo percorso di studi fu piuttosto discontinuo, ma fin da giovanissimo si appassionò di poesia.
Tra gli autori cronologicamente più vicini, risente dell'influenza di Pascoli e D'Annunzio.
Alla fine del servizio di leva, sposa Carolina Woelfler, la Lina del Canzoniere. Dalle nozze nasce Linuccia, altra protagonista della sua opera poetica.Nel 1921 pubblica, appunto, il Canzoniere, il primo, perchè successivamemte, riutilizzerà questo titolo per la sua produzione poetica.
A causa delle leggi razziali, si trasferisce in Francia (era per metà ebreo), ma poi torna a Roma, poi a Firenze, sostenuto e protetto da Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Carlo Levi.
Dopo la guerra, vive per un po' a Roma, poi a Milano e infine fa ritorno a Trieste.
La sua salute è precaria, sia dal punto fisico che psichico, poichè soffre di depressione.
Il 25 novembre 1956 muore la moglie, nove mesi dopo anche lui si spegne.
Esce postumo il libro Epigrafe, dove sono raccolte le sue ultime poesie.
La sua produzione poetica è percorsa da una sottile malinconia, peraltro attraversata da affetti veri e profondi.

Consigliando vivamente la lettura delle sue poesie, qui di seguito ne pubblico due tra quelle che preferisco.

DISTACCO

Muta il destino lentamente, a un’ora
precipita.
Per lui dovrò lasciarti,
mia città così aspra e maliosa,
dove in fondo a una bigia via è il celeste
mare.
La tua scontrosa
grazia saluterò, già vecchi amici
e pietre bacerò – cuore fedele -;
come piange il fanciullo sopra il seno
amaro, a distaccarsene per sempre.

LA CAPRA

Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

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Proposta molto seria e profonda, quella che ci hai sottoposto oggi, cara @fulviaperillo, conoscevo per fama questo poeta, e grazie alla tua preciso e mirato post mi ha fornito altre preziose notizie sul suo conto, ottimo lavoro

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