"Michele", terza puntata : preparativi

in #ita6 years ago

Molte volte, negli anni successivi, Martina si ritrovò a pensare, ma sarebbe meglio dire a rivivere quel pomeriggio del 26 febbraio 1994. Mancavano appena due settimane al suo matrimonio e con Diana, l’unica sposata tra noi tutte, ripassava la lista degli invitati per studiare la disposizione ai tavoli. Gli sposi, i genitori, i testimoni... Le solite cose, insomma. Un po' noiose per Martina, molto meno per Diana, a suo perfetto agio in tutto ciò che riguardava cerimonie e feste di ogni tipo, dai battesimi ai compleanni , ma con una leggera preferenza per le nozze. Non che le dispiacessero prime comunioni o le cresime. E poi, diciamolo pure, era perfino riuscita a trasformare i funerali del nonno e dell'anziana prozia in veri e propri happening.
Ora, a nove anni di distanza dalle sue nozze, ci voleva proprio questa occasione per rinverdire quell'entusiasmo provato nella scelta del vestito, le bomboniere, le partecipazioni...
E , infine, la coreografia del pranzo.
“Vedi, Martina, noi siamo donne da matrimonio. Sai come ci chiama quella squinternata di nostra cugina Desdemona? Le Temperanti. Dice che abbiamo fatto tutte le cose in regola: un solo fidanzato importante, la laurea, il lavoro, per poi convolare a nozze. Lo dice con una punta di disprezzo. Ma guarda, secondo me, è tutta invidia.”
Martina annuiva, sia perchè era naturalmentenon troppo ciarliera, sia per la simpatia istintiva che le ispirava Desdemona, donna piuttosto fuori dalla Gaussiana per più di un motivo.
Era un bel febbraio quello del '94. Già fiorivano le mimose ed un sole primaverile filtrava dalle serrande mentre le due sorelle si accingevano a programmare nei minimi particolari la lieta giornata che si stava avvicinando.
Era sabato e, per l'esattezza, il sabato della finale di Sanremo.
Ora questo può sembrare irrilevante, ma non lo era certo per loro, cresciute, come me, a pane (poco , perchè tenevano alla linea) e musica leggera (molta).
Ma torniamo a quel pomeriggio di pre-primavera. Diana, in piena esaltazione istituzionale, aveva tirato fuori gli album del suo matrimonio e ripercorreva ogni dettaglio, commentandolo con la futura sposa.
“Ma guarda qui, nove anni e sono volati. Certo che Leopoldo si è un po' appesantito. Ma si sa, gli uomini sposati si rilassano... Magari il tuo fidanzato è così longilineo che potrebbe essere un'eccezione. E poi certo, con la tua cucina è difficile ingrassare. Vapore e pentola a pressione. Niente vino né grassi... Beh, ci sta che Andrea rimanga snello come adesso. E' meglio, perchè con tutti quei ricci somiglia a Branduardi e te lo immagini Angelo Branduardi grasso?”
Martina sorrideva pensando a quella similitudine così tipica della sua famiglia.
Lei era da sempre fidanzata con Andrea. Le loro madri, le due Marie, avevano auspicato e sperato in una loro unione e, da una allegra amicizia infantile, i due erano diventati una dolce coppia di adolescenti e poi di universitari brillanti. Lei aveva studiato medicina e lui economia. Poi si erano specializzati e “sistemati”, lei in ospedale, lui in banca.
Andrea, con l’aiuto dei genitori, aveva comprato un bell’appartamento luminoso e centrale dove si era trasferito in attesa del matrimonio.
Anche Martina, però ,aveva voluto uscire da casa dei genitori acquistando un minuscolo appartamento in centro storico che definiva “lo Spazio Vitale”.
Il fidanzato, ridendo, le ricordava spesso che, una volta sposati, era auspicabile che vivessero sempre nella stessa casa. “In linea di massima sì” rispondeva lei. “Come in linea di massima?”
“Certo, abiterò con te, ma lo Spazio Vitale me lo tengo, mi fa sentire più libera”.
Andrea era fondamentalmente un uomo pacifico e adorava mia cugina anche per la sua autonomia, per essere così poco “donnina” e alquanto inadatta alle incombenze domestiche.
“Farò io il casalingo- diceva – non ti preoccupare- e, se c'è bisogno, prenderò anche la paternità!”.
E così, passo dopo passo, eravamo giunti al momento in cui tutto era fatto: studi completati, lavoro sicuro, non uno ma due appartamenti e, almeno così sembrava, una perfetta sintonia.
E torniamo a quel 26 febbraio. A casa di Diana, le due sorelle ed io ci stavamo preparando, oltre che al matrimonio, alla serata finale di Sanremo.
Per questo avevamo espressamente consigliato a Leopoldo e Andrea di organizzare proprio quella sera l'addio al celibato, cosicchè noi (compresa Desdemona che ci avrebbe raggiunto all'ora di cena) potessimo guardare in pace quel Festival dei Fiori che si era dimostrato particolarmente interessante nelle precedenti serate.
In effetti, quell'anno, le canzoni in gara erano notevoli. Basti pensare ad Andrea Bocelli che, nelle nuove proposte, cantava Il mare calmo della sera, - e see anche il sorgere del sole ci trovasse ancora insiemeee... – Canzone immaginifica e tipicamente sanremese.
Ma ,per la vittoria nei big , i nostri pareri erano discordi.
Desdemona faceva il tifo per Donatella Rettore con “Di Notte specialmente”, mentre io, romanticamente, auspicavo che il vincitore fosse Michele Zarrillo con la sua Cinque giorni.
“Cinque giorni che ti ho perso, quanto freddo in questa vita...” . Mi colpiva, oltre alla pregevole melodia, quel rimarcare il tempo, breve ma doloroso, trascorso.
Quei cinque giorni che poi sarebbero diventati dieci e così via, fino a un momento in cui l'irreversibilità della perdita sarebbe stata certa e ancora più terribile. Sì, perchè non è detto che il tempo aiuti chi soffre per amore. A volte lo fa, ma certi amori lasciano un vuoto senza fine... E quello di Zarrillo sembrava appartenere a questa categoria.
Diana, invece, era una fan di Aleandro Baldi (che poi vinse), perchè il suo senso pratico , oltre al gusto musicale tradizionale, le faceva apprezzare una canzone fondamentalmente ottimista , che terminava dicendo : “Che sia odio o che sia amore... passerà-à”.
E non andavano poi trascurate altre canzoni in gara quali Maledette Malelingue di Ivan Graziani, agile e maliziosa, o Signor Tenente dell'eclettico Giorgio Faletti.
Insomma, materiale ce n'era.
Ci eravamo appena disposte davanti alla TV, quando sentimmo suonare il campanello.
Chi poteva essere? Chi si permetteva di disturbare il nostro rito sanremese?
Diana andò ad aprire e rimase non poco sorpresa di vedersi davanti il cognato: “Michele, ma non eri a Roma?” “No, non sono andato. Agata è in settimana bianca con le bambine e con la scuola di danza di Domiziana. Sono tutte donne, non mi sembrava il caso...”
“Vieni pure, ma, sai, Leopoldo è all'addio al celibato di Andrea e noi guardiamo Sanremo”.
“ Non l'ho mai visto” rispose lui, un po' imbarazzato. Desdemona lo guardò con disprezzo : “ Fa parte della nostra cultura, è una grave lacuna”. In altri tempi, Michele avrebbe polemizzato, ma , quel sabato, era particolarmente mite. Così si sedette tra Diana e Martina e, per tutta la sera, ascoltò sia le canzoni che i nostri commenti.
Alla proclamazione del vincitore, Diana esultò, essendo Baldi il suo favorito, ma in fondo tutte noi eravamo contente, perchè il momento finale di Sanremo è sempre catartico, libera le tensioni e apre la via alle compilation...
Michele pareva divertito, pur se piuttosto disorientato. Lo colsi perfino a canticchiare insieme al vincitore durante l'ultima esecuzione “Passerà, passerà,anche se farai soltanto tra-la-la... passerà...e quel piccolo dolore...” “...che sia odio o che sia amore, passerà” concluse Martina.
Per un attimo i due si guardarono ed io, già esperta filosofa del divenire sentimentale, sentii uno strano brivido. Tra me e me attribuii quella particolare corrente avvertita per un attimo alla magia del Festival.
Ma non era esattamente così...

(continua)
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"Passerà, passerà, forse non...." e poi non mi ricordo più, ho sempre seguito Sanremo ed è piacevole leggerti per la grande abilità con cui inserisci le canzoni dentro ai tuoi racconti, molto brava

Grazie, caro @mad-runner per l'apprezzamento e la costante attenzione

Di nulla, è sempre un piacere per me, te lo assicuro

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