"Le Roselline", quinta puntata

I giorni che seguirono furono dolorosi e convulsi.
Dopo la sepoltura nella barocca cappella di famiglia (che proprio Pietro aveva fatto costruire come simbolo del suo imperituro benessere), le Roselline e Fedora si ritrovarono sedute nel salotto della casa paterna, ormai senz’anima, dato che la severa maestosità della struttura e dell’arredamento erano in linea con la mentalità del defunto proprietario, ma non con quella delle tre donne della famiglia.
Rosellina, che ormai aveva deciso di farsi chiamare Bianca anche in famiglia, aveva preso in mano la situazione e, rivolgendosi a madre e nonna, le invitava ad emanciparsi secondo i tempi ormai maturi.
“Rosa – diceva rivolta alla madre- d’ora in poi non saremo più le Roselline, ma Bianca e Rosa e tu devi uscire dalla tua casa di bambola!”.
“Ma che dici, tesoro?” chiedeva preoccupata la nonna.
“Dico, nonnina cara, che il nonno ha incartato la mamma a sedici anni e l’ha consegnata come un pacco regalo a mio padre. Ora bisogna cambiare. So che c’è un testamento, ieri ha telefonato il notaio Vierni e ho risposto io. Dobbiamo andare allo studio domani, ma temo che non ci piacerà. Magari ha lasciato mio padre erede universale. Andavano così d’accordo… E poi noi siamo donne…”
Il giorno successivo, presso lo studio del notaio, le tre donne e Massimo sedevano al tavolo.
Massimo aveva un atteggiamento piuttosto spavaldo, a chi avrebbe potuto affidarsi il suocero se non a lui? Forse alla sua frivola moglie? O a quella eterna ragazzina che era Maria Rosa? O a Rosellina (che ora voleva essere chiamata Bianca, ah, questi giovani…), così immatura e sconsiderata?
Certo che no. Lui e solo lui poteva provvedere alle necessità dell’azienda.

Ma la vita riserva sorprese, tante, bizzarri capricci del destino …

(continua)

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