Il racconto di Vitalba

in #ita5 years ago

Sto per compiere novantaquattro anni, sono davvero tanti.
La vista ormai mi ha quasi abbandonato e ho difficoltà nel camminare. La mente, però, rimane lucida e mi consente di capire che la mia esistenza sta per giungere al termine, ma ciò non mi turba.
Ho avuto una buona vita, tanta salute, genitori premurosi e molto altro. Sappiamo tutti di essere mortali, ma molti non se ne convincono mai fino in fondo.
Io, invece, ho sempre visto con serenità la mia finitezza, specialmente dopo ciò che sto per raccontare.
Ho chiesto a mia nipote Irene, che è ormai la luce dei miei occhi e anche la mia proiezione nel futuro, di raccogliere queste memorie.
Fino ad ora non ho mai ritenuto opportuno parlare di ciò che accadde settanta anni fa, quando ero una giovane studentessa di medicina (ed era insolito all’epoca per una ragazza).
Così, oggi, Irene scriverà ciò che le racconto per la prima volta e l’ho autorizzata a diffondere questo scritto a suo piacimento, sui social o in un libro, come crederà giusto.
Dunque. Era il giorno di Pasqua del ’49. Edoardo, il mio fidanzato, si era laureato da poco, mentre a me mancava ancora un anno. Stavamo progettando di sposarci appena avessi terminato gli studi.
Ricordo come era radioso il mio bel ragazzo quando venne a pranzo a casa dei miei genitori. C’erano le mie sorelle, Mirta e Flora. Tutti nomi che ricordano le piante, a casa mia, compreso il mio, Vitalba. Un po’ strano, forse. Ma a me è sempre piaciuto. La vitalba è una pianta nota per le sue proprietà officinali, ma a me è sempre piaciuto pensare che il mio nome fosse un’unione tra la vita e l’alba, quanto di più radioso e propositivo.
I miei genitori, Mirto e Rosa, avevano voluto mantenere il suggerimento dei loro nomi e, in effetti, la famiglia era fiorita, perché noi tre eravamo ragazze graziose e garbate, nonché intelligenti e volenterose.
Io ero la maggiore, ma le altre due mi seguivano a ruota con un solo anno di distanza ciascuna. Si può dunque comprendere come fossimo legate e complici. La gioia di ognuna di noi lo era per tutte e tre e così i dispiaceri. Ma, in verità, dispiaceri non ne avevamo avuti fino a quel momento.
Eravamo davvero una famiglia felice.
Mio padre Mirto lavorava come impiegato “di concetto”, diceva lui, mentre la mamma gestiva un piccolo negozio di alimentari dove lavorava anche mia sorella Flora.
Mirta ed io, invece, avevamo deciso per un percorso universitario. Lei, all’epoca, era già laureata in lettere, mentre io avevo da sempre l’ambizione di diventare pediatra fin dall’infanzia.
Quel luminoso giorno di Pasqua eravamo così, sorridenti e fiduciosi nel futuro.
Fu un bel pranzo, lo ricordo ancora.
C’era anche Edoardo, sorridente e orgoglioso del suo lavoro di medico condotto, ottenuto da poco, mentre il fidanzato di Mirta, Cesare, era di turno come macchinista delle ferrovie.

(continua: domani la seconda, dopodomani la terza e ultima )

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he bello, voglio leggere il seguito!

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