Bioetica, dai princìpi alla prassi

in #ita7 years ago

La bioetica si basa su alcuni principi fondamentali ovvero:

  • Principio di beneficità
  • Principio di non maleficità
  • Principio di giustizia/equità
  • Principio di autonomia

Beneficità significa fare il bene del paziente, come non maleficità significa non fare il male.
Può sembrare che questi principi siano ovvii, quasi tautologie, dal momento che si parla di cura.
Invece bisogna sempre ricordare la prima massima ippocratica, “primum non nocere”, ovvero è anzitutto opportuno non nuocere. Cosa significa questo? Forse non è chiaro per chi è estraneo all’ambiente sanitario, ma ci sono alcuni comportamenti del medico che, qualora insorgano, possono essere definiti non virtuosi. Un esempio classico è l’accanimento terapeutico, ovvero praticare cure FUTILI. Bisogna intendersi su questo termine. Una cura è futile quando non serve per guarire, ma neppure per migliorare la qualità di vita. Dunque, le cure palliative (terapia del dolore, nutrizione artificiale e tutto ciò che serve a migliorare sintomi gravi) sono estremamente utili, perché il paziente sta meglio pur mantenendosi infausta la prognosi.
Ma se, nonostante si sappia che la situazione è senza via d’uscita, il medico persiste nell’effettuare terapie invasive e pesanti prive di efficacia ad ogni livello, allora si può parlare di accanimento terapeutico e in questo caso è evidente come i principi di beneficità e non maleficità non vengano rispettati.
Veniamo al terzo principio, quello di giustizia.
Il significato della parola giustizia in questo contesto è legato al fatto che ciascuno ha diritto ad essere curato in modo idoneo (almeno nel nostro sistema sanitario universalistico) con una corretta allocazione delle risorse.
Sprecare le risorse destinate alla sanità è fortemente non etico.
L’allocazione delle risorse avviene a vari livelli.
Il livello di base è quello del singolo medico che, ogni volta che prescrive un esame o una terapia, sta allocando delle risorse.
Più in alto abbiamo le singole ASL che decidono quali servizi potenziare e quali no.
Ancora sopra vi sono livelli più squisitamente politici, ossia le regioni e il governo che assumo decisioni di macroallocazione da cui poi, a cascata, derivano determinati indirizzi.
Possiamo ben capire che i principi finora esposti sono strettamente collegati fra loro, dato che, non rispettando i primi due, di sicuro vi saranno utilizzi impropri di denaro destinato alla sanità che potrà poi mancare per obiettivi significativi. D’altro canto, se le macroallocazioni seguiranno criteri non trasparenti o scorretti, sicuramente si avranno ricadute negative sulla qualità delle cure. https://pixabay.com/it/giglio-di-acqua-acqua-di-rose-1529494/water-lily-1529494_1280.jpg

Veniamo ora al principio di AUTONOMIA che ho lasciato per ultimo, ma che, in termini esistenziali e giuridici, è gerarchicamente prevalente sugli altri.
Essere autonomi significa poter fare scelte riguardanti se stessi in assoluta libertà.
Ben si comprende come l’autonomia sia alla base del consenso informato, ma anche del rifiuto delle cure.
La persona che si rivolge a un medico ha diritto ad una informazione completa e chiara sulle proprie condizioni di salute, nonché sulle eventuali procedure diagnostiche e terapeutiche di cui devono essere illustrati chiaramente vantaggi, rischi e possibili alternative.
Va chiarito bene che l’informazione, salvo che il paziente non sia minorenne o interdetto, deve essere data esclusivamente al paziente e solo col suo consenso i dati raccolti potranno essere comunicati ad altri, anche se si tratta di familiari.
Questo è un concetto non facile da far passare nel nostro paese. Infatti, a differenza degli anglosassoni, noi abbiamo tendenza a voler “proteggere” le persone da cattive notizie riguardanti la propria salute. Invece la verità va detta, nel modo dovuto, magari gradualmente, ma ognuno ha diritto, proprio in base al principio di autonomia, a decidere in merito alle scelte sanitarie che lo riguardano.
Il consenso informato non si identifica con la firma di un modulo, ma con un procedimento molto più lungo e complesso di cui la firma è solo l’ultimo atto e nemmeno il più importante.
Va da sé che l’altra faccia del consenso è il rifiuto delle cure.
E’ possibile rifiutare le cure, anche quelle efficaci. Per il medico, a volte, non è facile accettare il fatto che il paziente decida in modo diverso da come lui suggerisce.
Ma, in base al principio di autonomia, qualsiasi decisione del paziente va accettata (dopo adeguata informazione sulle conseguenze della sua scelta) e il medico è tenuto a seguire comunque la persona che ha in cura.
Ci sono situazioni in cui rifiutare una cura vuol dire morire.
Un caso paradigmatico è quello del paziente affetto da SLA che non vuole essere intubato al momento in cui cessi la sua capacità di respirare autonomamente.
Questo è un argomento estremamente complesso e anche doloroso, perché l’obiettivo del medico è di certo la vita e la sua conservazione, ma è indispensabile tenere presente anzitutto la volontà del paziente qualora chiaramente e validamente espressa.
Le problematiche di fine vita sono in realtà molto articolate e su di esse tornerò nei prossimi giorni in maniera più dettagliata

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post molto interessante!

Contenuto ben dettagliato, sono della tua stessa idea sui punti appena citati ma i primi medici siamo noi, da considerare anche che la scienza medica prima di tutto è un business, il malato di turno è solo una nicchia.

Non direi. La scienza medica, quella vera, è molto, ma molto seria. Nella sanità pubblica, poi, il business è limitato.

il business non lo considero limitato in questi casi, noi siamo solo inconsapevoli di tante cose. la vera cura siamo noi stessi sopratutto grazie alla informazioni, io protesto contro i vaccini contro le chiemio..., il medico serve ma fino ad'un certo punto.

Ecco. Dovresti spiegare in modo razionale perché protesti contro vaccini e chemio. I primi hanno salvato milioni di vite ed evitato invalidità. La chemioterapia è molto efficace, il fatto che possa avere effetti collaterali spiacevoli non è un motivo per non farla quando serve

Aggiungo che il medico serve eccome. L'università della strada o informarsi su internet non è sufficiente nel campo della salute. Un medico mediamente ha alle spalle 10 anni di formazione. 6 + 4 di specializzazione. Qualcosa conterà. O no?

il mio percorso di vita mi a insegnato di vedere molto più in alto, rispetto le opinioni altrui con questo concludo dicendoti complimenti per il tuo post;)

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