Le cose vanno male? Ecco l'errore da non compiere assolutamente

in #ita6 years ago

Introduzione: la storia dell'elefante incatenato

Jorge Bucay è uno psicologo e scrittore argentino; nella sua carriera, oltre ad aver svolto i più disparati lavori, tra i quali può vantare anche una breve esperienza come conduttore televisivo, ha composto decine di libri, diventati poi best-seller soprattutto nel mercato di lingua spagnola.

Da piccolo, Bucay aveva, come molti bambini, una passione per il circo: amava vedere esibirsi gli animali ed era ammirato dall'abilità dei giocolieri e dei domatori. Tuttavia c'era un particolare che proprio non riusciva a comprendere, e per il quale un giorno si decise a chiedere delucidazioni ai propri genitori:

Come è possibile che l'elefante, animale dalla forza e dalle dimensioni mastodontiche, non cerchi di scappare, legato com'è solo ad un piccolo paletto?

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CC0 Creative Commons

Come risulta evidente, si trattava di un animale addestrato; ma allora perchè c'era la necessità di condurlo sulla scena dello spettacolo e, al termine dello stesso, di nuovo in gabbia, costantemente legato?

L’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.

Questa è la chiave: l'animale ha appreso, fin dalla tenera età, che per quanto tiri o si dimeni, quel paletto e quella catena sono più forti di lui; dopo alcuni tentativi ha semplicemente smesso di lottare, conspaevole di non poter scappare e allo stesso tempo inconsapevole che la sua forza è in realtà infinitamente maggiore.

L'impotenza appresa

Quanto descritto nel racconto di Bucay sintetizza in maniera molto chiara la scoperta effettuata, nel 1967, dal celebre psicologo americano Martin Seligman.

Lavorando ad una serie di esperimenti presso l'Università della Pennsylvania, Seligman notò che degli animali, ai quali veniva inferta un piccola scossa senza che fosse concessa loro la possibilità di evitarla, tendevano dopo poco tempo a rimanere inermi e a non scappare, nemmeno quando, nella seconda parte dell'esperimento, ne avrebbero avuto la possibilità.

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CC0 Creative Commons

La convinzione che la scossa fosse inevitabile e la possibilità di sfuggirle, indipendente dalla loro volontà, aveva condotto il comportamento delle vittime in una sorta di apatia; era venuto meno, nel cervello degli animali, il desiderio di lottare per la propria sopravvivenza, sostituito dalla rassegnazione agli eventi.

Ma se state pensando che gli esseri umani, in quanto tali, adotterebbero comportamenti diversi dagli animali, sbagliate di grosso: lo stesso Seligman, provo a replicare, pochi anni dopo, lo studio su due gruppi di persone:

  • I partecipanti, impegnati in un fittizio studio di concetti particolarmente impegnativi, venivano disturbati in maniera artificiosa da un rumore decisamente fastidioso.
    Fu comunicato loro che, in caso tale eventualità si fosse verificata, sarebbe bastato premere una leva per far cessare l'inconveniente; nel primo gruppo la leva assolveva la sua funzione, facendo cessare all'istante il disturbo, mentre nel secondo era stata volutamente disattivata.
    Spostati, in una seconda fase dell'esperimento, in una sala diversa, i partecipanti al primo gruppo tendevano, al ripresentarsi dell'evento, a schiacciare velocemente la leva, mentre i componenti del secondo gruppo, convinti dal fatto che il rumore fosse inevitabile, tendevano all'inazione.

Le deduzione fu quasi automatica: era stata trovata una specie di correlazione tra sentimento di impotenza e malattie particolarmente pesanti come la depressione. In quest'ultima infatti, il soggetto si convince che, per motivi interni (incapacità) o esterni (circostanze) non esistono soluzioni ai propri problemi, e tende ad abbandonarsi agli eventi senza combattere.

Un teoria correlata: l'operosità appresa

In onore agli studi di Seligman, lo psicologo americano Robert Eisenberger dell'Università di Houston, ha elaborato una teoria complementare, ribattezzata dell'operosità appresa.

Studiando un gruppo di ratti, addestrati a risolvere dei compiti difficili per ricevere la ricompensa, Eisenberger ha notato che questi ultimi risultavano maggiormente predisposti, rispetto ad altre cavie che non erano state impegnate in nessuna maniera, a risolvere successivi compiti.

Anche in questo caso l'esperimento fu replicato su un gruppo di studenti, con conclusioni pressochè simili: individui dalle capacità, ritenute equlvalenti, avevano più o meno possibilità di risolvere un successivo problema in base alla difficoltà di quello svolto in precedenza.

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CC0 Creative Commons

Lo sforzo cognitivo maggiore, necessario per la risoluzione della prova più difficile, aveva posto gli studenti del primo gruppo in una condizione di vantaggio rispetto a quelli del secondo, non impegnati in maniera sufficiente.

Conclusioni

Perdere un lavoro, troncare una storia d'amore, litigare con una persona cara, sono tutti motivi che possono indurre le persone a pensare male di loro stesse e a perdere autostima.
Nei casi più gravi può subentrare la convinzione che le circostanze negative alla base di una determinata situazione non siano modificabili, spingendo verso un abbandono alla rassegnazione, che alla luce degli studi precedenti sembrerebbe essere l'errore più grande.

Seligman e Eisenberger ci insegnano che la capacità di non darsi mai per vinti, la fiducia in sè stessi e l'evoluzione personale costante, sono alberi maestri ai quali aggrapparsi per non perdere la rotta in mezzo ad un'eventuale tempesta.

Frasi come, ad esempio, non posso, non ce la faccio, tanto va sempre male, è inutile, sono il primo passo per imboccare la via della rassegnazione dell'inazione, ma pensate nuovamente all'elefante: cosa farebbe se solo sapesse di essere così forte?

Fonti

[1] M. Seligman,Imparare l'ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero, Ed. Giunti, 2013.

[2] http://classweb.uh.edu/eisenberger/wp-content/uploads/sites/21/2015/04/18_Learned_Industriousness.pdf

[3] Jorge Bucay, Dejame que te cuente, Ed. RBA Libros, 2013

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molto interessante. Sono insegnamenti che bisognerebbe non dimenticare mai

Grazie @mondodidave73, hai ragione. A volte è difficile ma occorrerebbe tenere sempre a mente alcuni insegnamenti chiave dei grandi del passato.

Giuro solenne fedeltà ai tuoi meravigliosi post.

Amico mi hai fatto sorridere, grazie sono onorato del tuo commento :)

Hi @frafiomatale!

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what a wonderful surprise! Thank you so much!

Martin Seligman è una delle persone che legherei volentieri a una sedia elettrica per fargli sperimentare il piacere dell'elettricità. Ha condotto esperimenti terribili su decine di cani per dimostrare la sua teoria... Nessun essere vivente dovrebbe mai essere sottoposto a quello che ha fatto quell'uomo...

Ripensandoci, niente sedia elettrica... Userei la stessa gabbia che usava per i cani, così verifichiamo le somiglianze tra modelli sperimentali...

effettivamente erano altri tempi, oggi per fortuna esperimenti del genere non sarebbero possibili

Vero. Se non altro bisogna riconoscere che in età avanzata ha almeno modificato la sua posizione...

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