Da soli o in gruppo: ci comportiamo allo stesso modo?

in #ita7 years ago

Cari amici di Steemit, oggi vi invito a ripensare ad uno o più episodi della vostra vita, durante i quali vi siete comportati in maniera diversa dai vostri principi, dai vostri ideali o più semplicemente dalle vostre abitudini.

Vi esorto a compiere uno sforzo di memoria, sicuro che qualcosa salterà fuori. Mi riferisco a quell'occasione in cui siete tornati a casa e avete pensato:

Ma che cosa ho fatto? Io non sono così!

E molto probabilmente in quell'episodio non eravate da soli, ma le vostre azioni risultarono influenzate da un gruppo, da una cerchia di persone nella quale vi trovavate in quella precisa occasione.
Se ho indovinato molto probabilmente vi interesserà seguire il resto della storia, dato che sto per parlarvi della teoria della deindividuazione: il nostro comportamento è sempre il medesimo o in gruppo tendiamo a cambiare atteggiamento e a diventare diversi?

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Cosa si intende per deindividuazione?

E' una delle prime teorie della psicologia sociale, che ha come capostipite lo psicologo francese Gustav Le Bon.
Nella sua opera principale La Foule (La Folla), spiega chiaramente come i comportamenti dei singoli individui siano fortemente influenzati dalla folla[1], a tal punto da modificare addirittura la propria psiche.

Secondo le sue teorie, una persona in mezzo ad una folla cessa di essere un essere pensante e dotato di autocontrollo, venendo inglobato dalla mente collettiva e da un psicologia comune; ciò crea depersonalizzazione, suggestionabilità e volubilità, trasformando l'individuo in una sorta di burattino in uno stadio precedente della scala evolutiva, capace nel bene o nel male di compiere qualsivoglia genere di azione.

Alle opere di Le Bon si ispirarono diversi altri scienziati tra i quali, oltre a Sigmund Freud, vanno ricordati gli inventori del termine deindividuazione, Leon Fastinger, Albert Pepitone e Theodore Newcomb; essi sostenevano che la causa dei comportamenti anomali degli individui in una folla fosse dovuto al venir meno del senso di responsabilità individuale, sostituito da quello di appartenenza al gruppo. Ai giorni nostri più di una volta abbiamo sentito parlare di un comportamento da branco, relativamente a gruppi di persone che compiono spesso crimini efferati o azioni particolarmente riprovevoli.

L'esperimento della prigione di Stanford

Una delle dimostrazioni più famose sull'argomento fu quella del celebre esperimento[2] del 1971, che si tenne nell'Università di Stanford in California e condotto dal Professore di psicologia Philip Zimbardo.

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Fu ricostruito nei sotterranei dell'Università un ambiente simile a quello carcerario e tramite un annuncio su un giornale locale furono reclutati successivamente 24 studenti per un esperimento scientifico; tra le varie candidature pervenute vennero selezionate esclusivamente quelle di appartenenti al ceto medio, con un profilo psicologico equilibrato, ritenute persone docili e non attratte da comportamenti devianti.

I volontari furono infine divisi in due gruppi: metà di essi avrebbero dovuto calarsi nel ruolo delle guardie e l'altrà metà avrebbe interpretato quello dei detenuti; nessuno dei due gruppi ricevette delle istruzioni specifiche di comportamento e fu lasciata la più ampia discrezionalità al fine di ricoprire in maniera fedele il loro ruolo.
Guardie e detenuti vennero abbigliati nella maniera più realistica possibile, con tanto di uniformi, occhiali a specchio, manganello e fischietto per i primi e tute con numero identificativo e catene ai piedi per i secondi.

Se per i primi due giorni l'esperimento andò avanti in maniera tutto sommato serena e con uno spirito quasi goliardico, dal terzo giorno i due gruppi cominciarono a scontrarsi: i detenuti protestavano per la durezza dei trattamenti ricevuti e le guardie rispondevano in maniera ancora più cruenta, in un escalation che portò a veri e propri maltrattamenti e abusi ai danni dei prigionieri; ad essi si arrivò addirittura a negare l'uso delle toilette e degli strumenti per la pulizia, costringendoli a vessazioni sistematiche.
L'esperimento, previsto per una durata di due settimane, fu sospeso al sesto giorno in seguito all'evidente disagio psicologico che alcuni detenuti iniziarono a manifestare e al perdurare dei comportamenti delle guardie, spesso al limite del sadismo.
Le conclusioni alle quali arrivò Zimbardo furono sconcertanti: l'adeguamento al ruolo ricoperto e alle regole del gruppo era diventata l'unica cosa che contava, soppiantando ogni principio etico e morale individuale.

L'esperimento di Millgram

A conclusioni simili giunse anche lo psicologo statunitense Stanley Millgram attraverso il suo esperimento sull'obbedienza alle autorità.[3]
Anche in questo caso vennero reclutati dei volontari tramite un annuncio, selezionando solo soggetti maschi tra i 20 e i 50 anni appartenenti a diversi ceti sociali.
I partecipanti vennero divisi in due gruppi, insegnanti e allievi; compito dei primi sarebbe stato quello di far memorizzare una serie di parole agli allievi e punirli, tramite l'induzione di una scossa elettrica di intensità crescente, ogni qual volta questi ultimi avessero commesso un errore.

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In realtà, all'insaputa dei partecipanti, il gruppo degli allievi fu composto da semplici attori, non collegati realmente alla sedia, istruiti a commettere volontariamente degli errori e a simulare gli effetti dolorosi delle scariche elettriche sul corpo umano.
Le scosse che gli insegnanti erano tenuti ad infliggere ai malcapitati alunni per le prime risposte non corrette erano settate su un basso voltaggio, sopportabile dal corpo umano; tuttavia, con l'aumentare degli sbagli, ai volontari venne fatto credere che l'intensità delle stesse sarebbe stata tale da poter provocare anche la morte.

Gli attori nelle ultime fasi simularono convulsioni e svenimenti; gli insegnanti protestarono con lo scienziato responsabile del progetto, qualcuno si sentì male, altri scoppiarono a piangere implorando di sospendere l'esperimento, ma invitati a proseguire quasi la totalità dei soggetti arrivò ad infliggere l'ultima scossa, quella potenzialmente mortale.
Anche in questo caso l'appartenenza ad un gruppo e l'obbedienza ad un'autorità aveva avuto la meglio sulle convinzioni personali, cancellando quasi del tutto l'autonomia decisionale dei singoli individui.

L'esperimento di Asch

Millram fu ispirato nel suo lavoro da un altro celebre studio[4], quello dello psicologo polacco Salomon Asch, suo docente ai tempi del dottorato.
Asch invitò gruppi di otto persone, composti da sette complici e un soggetto inconsapevole, ad individuare in un insieme di tre linee rette, la corrispondenza con una quarta linea che fungeva da campione; delle tre ovviamente solo una corrispondeva perfettamente, mentre le altre due erano esageratamente troppo lunghe o troppo corte.
I complici, dopo un paio di risposte esatte, cominciarono volutamente a compiere le scelte in maniera errata, indicando tutti la stessa soluzione palesemente non corretta.
Il risultato fu che il 75% circa dei soggetti studiati, invitati a rispondere sistematicamente per ultimi, cominciò a ricalcare le scelte del gruppo dando la risposta sbagliata, fidandosi ed adeguandosi al resto dei componenti.

Conclusioni

Bene, ora lo sappiamo: il gruppo può influenzare pesantemente le nostre azioni, fino a sovvertire la nostra scala di valori e farci accantonare momentaneamente principi e ideali.
Da tutto questo però ci si può difendere.

Mi comporterei nella stessa maniera se fossi da solo?
Sono sicuro che queste mie azioni non arrecheranno danno a qualcuno?

Sono semplici domande da porsi ogni qualvolta temiamo di essere trascinati in una situazione sgradevole all'interno di un gruppo, o quando abbiamo paura di poter perdere l'autocontrollo e il potere decisionale, per evitare di cadere nel pessimo effetto portato dalla deindividuazione.

Spero che l'articolo vi sia piaciuto, e in caso affermativo vi esorto a lasciare un "mi piace" e a fare resteem; se avete avuto esperienze simili e avete voglia di condividere i vostri momenti di deindividuazione passati lasciate un commento.

Un abbraccio, alla prossima.


Fonti

[1] http://psychology.iresearchnet.com/social-psychology/group/deindividuation/

[2] https://www.stanford.edu/dept/spec_coll/uarch/exhibits/Narration.pdf

[3] http://archives.yalealumnimagazine.com/issues/2007_01/milgram.html

[4] https://www.simplypsychology.org/asch-conformity.html

Sort:  

interessante, alla fine siamo tutti un gregge di pecore, con la differenza che alcuni lo sanno e altri meno. :)

Già, temo che tu abbia ragione. Grazie per il commento :)

Appena ho cominciato a leggere l'articolo, mi è venuto subito in mente l'ambiente dello stadio...ma ce ne possono essere tanti altri di esempi. Forse, stando dentro ad un gruppo, ci si sente protetti? Davvero interessante come spunto!

esatto, mi hai letto nel pensiero! Avrei voluto parlare dello stadio e delle esperienze personali in tal senso, ma ho soprasseduto per non far diventare l'articolo troppo lungo. Grazie per essere passato!

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