La ciclicità del peccato

in #ita6 years ago

Conduciamo un’esistenza “senile” e nelle nostre sicurezze d’abitudinari, nei falsi bisogni che trasformiamo in agi, nella frustrazione di non riuscire a rincorrere il tempo tiranno, nell’ansia angosciante della vibrazione di un telefono, abbiamo eretto un ponte di inganni che occlude la vista dell’orizzonte. Siamo i carnefici e le vittime di uno scollamento dal reale che non ha nulla di letterario ma che anzi ci riduce all’impossibilità di prendere coscienza, dunque di agire, e lottare di fronte alle shoah dei nostri giorni. Di conseguenza, viviamo nella ciclicità del peccato e della sua espiazione senza mai raggiungere la salvezza.
Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case non abbiamo scolpito sul cuore la miseria umana di fronte alla cattiveria di suo fratello, o peggio, di fronte alla sua indifferenza. Sfamiamo la nostra coscienza di cittadini scorrendo i titoli di cronaca, pronunciando ad alta voce il numero dei morti, e nel frattempo ne sommiamo delle piccole unità in mente affinché possano materializzarsi. Poco dopo siamo pronti a ritornare alle nostre incombenze quotidiane, paghi di quella compressione di informazioni che è ormai il giornalismo in rete, l’unico che risponde alla duplice istanza di rapidità ed efficienza.
Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, e crediamo preservata la nostra dignità umana, non abbiamo mai visto nostro figlio morire sgozzato come un animale da macello, nel nome di un Dio che ha rinnegato fino al taglio della lama. Non abbiamo mai sentito le bombe sul tetto dei nostri palazzi, le mitragliatrici che sfondano le porte dei nostri appartamenti e che ci annunciano l’arrivo del boia, dispensatore di vita o di morte. Continuiamo a raccontarci la favola del cattivo sconfitto dalla coesa volontà di giustizia umana, ma finché l’uomo non impara ad accogliere l’altro, a farne specchio di sé stesso, non potremo dire di avere imparato dalla storia: vani saranno i corpi bruciati nei forni dei campi, vane saranno le u che il mare inghiotte ogni giorno.
Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case e sprofondiamo nella noia di una non-vita, magari davanti ad un vivo fuoco scoppiettante, desiderosi di dare libero sfogo alle nostre nevrosi con il malcapitato di turno… Come potremo mai comprendere l’annientamento fisico e psichico che ha distrutto ogni forma di beltà negli occhi di chi è stato condotto al patibolo in un treno, al buio, in un vagone merci? Come potremo mai abbracciare il dolore di chi compie “un viaggio per fuggire altro viaggio” e si ritrova vittima di quello stesso pregiudizio, impresso con inchiostro di odio sul braccio sinistro dei loro fratelli?
Apriamo, dunque, i cancelli del cuore a quei sentimenti che teniamo rintanati, come vecchio vasellame, in una cantina. Spalanchiamo le porte affinché questo astratti furori possano trasformarsi nella ferma decisione di non chinare il capo, di non accettare passivamente la restaurazione di valori populisti e xenofobi che colpiscono la dignità umana. Ripudiamo la “quiete della non speranza” e iniziamo una lotta di coscienza che ci permetta di aspirare, se non alla comprensione, alla compassione (nel senso arcaico del termine) di quegli uomini che sono stati e saranno vessati dall’azione di poteri totalizzanti, ignari della bellezza di una condivisione universale della vita.

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