Lezione a Platone: là dove altri propongono opere...

in #ita6 years ago (edited)

Sì, avete capito bene, non si tratta di un errore di battitura, questo post non è una lezione 'su' Platone né una lezione 'di' Platone, ma una lezione 'a' Platone. Vi racconterò di una lezione che ho fatto a Platone.



gio.batta - Appoggiata alla luna piena (2018)
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autorizzato dall'autrice per la pubblicazione della foto in questo post

Considero questo post una prosecuzione del confronto con @voiceoff e un passaggio necessario (ma non sufficiente) per provare a capire ciò che siamo oggi, ciò che non ha più senso fare oggi e ciò che dovremmo tentare di fare oggi (recente dialogo sulla politica con @martaorabasta e @marcodobrovich).

l'occasione

Non posso raccontarvi troppo di come sono entrato in contatto con Platone, sono cose complicate da dire e poi anche difficili da credere, quindi passo direttamente a descrivere quello che Platone mi ha chiesto nel nostro primo incontro.

Platone mi ha chiesto di fargli una lezione sulla cultura di oggi, mi ha detto che avevamo solo un'ora di tempo per questa lezione, e che voleva che la lezione fosse a lui utile per comprendere gli sviluppi della sua pratica filosofica.

Umilmente mi ha domandato se la sua pratica filosofica avesse avuto degli sviluppi, non poteva esserne certo. Io gli ho risposto di sì, che la sua filosofia (pur non essendo solo sua, ma espressione di una cultura) aveva avuto non una grande ma una grandissima influenza sulla cultura attuale. Per fargli un elogio gli ho detto che un filosofo e matematico britannico, vissuto a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, Alfred North Whitehead, considerava tutta la storia della filosofia occidentale null'altro che una serie di note a margine della sua opera. Ma ho anche aggiunto che la sua filosofia non ha portato una cultura solo positiva e che gran parte dei suoi dubbi e delle sue paure si sarebbero avverate, anzi che probabilmente aveva sottovalutato quegli stessi dubbi e quelle stesse paure, accecato com'era dalla emozione di poter dare (per la prima volta forse al mondo) un progetto culturale, un piano di sviluppo per l'intera comunità umana. L'opportunità era data dai nuovi strumenti in possesso all'uomo (tecnologia), soprattutto quella scrittura (alfabetica) di cui lui stesso ne aveva compreso i limiti, ma che alla fine avrebbe "strumentalizzato" anche la sua opera (la sua 'immagine').

come ho preparato la lezione

E' stato un problema decidere come impostare una lezione a Platone in un'ora di tempo con una richiesta così profonda e difficile. Ho pensato e ripensato anche alle difficoltà di dialogo fra noi (lingua e cultura), per fortuna avevo un traduttore simultaneo (concesso dalla stessa occasione che ha reso possibile l'incontro fra me e lui) che perfettamente traduceva in un linguaggio comune (cosa non umana).

Ma le difficoltà non erano per questo minori e alla fine ho deciso di fare una cosa, in parte umile, non mi sentivo in grado di parlare direttamente a lui, per un'altra parte invece quasi presuntuosa (ma del resto Platone aveva chiesto la lezione proprio a me) nel credermi capace di scegliere il contenuto migliore per questa lezione.

E alla fine ho deciso questo: la lezione si trasformava in un compito in classe, Platone avrebbe dovuto leggere e commentare un testo (se Platone non fosse in grado di fare un compito in classe subito, senza preparazione preliminare, non sarebbe stato Platone, non vi pare?). Ma dovevo scegliere un testo che fosse capace di parlare a lui, un testo che fosse capace di spiegare a Platone quello che lui stesso mi aveva chiesto, il senso e il tipo di influenza che la sua pratica filosofica aveva avuto per la cultura successiva, per noi di oggi.

Potevo scegliere il testo di un filosofo, tra quanti hanno scritto benissimo su questo argomento, come Whitehead ad esempio, avrei potuto usare un testo di Nietzsche, che così bene aveva individuato i limiti di quell'approccio culturale.

Ma alla fine ho scelto il testo di un artista.

Uno dei protagonisti di quell'ultimo volo che ho descritto a voiceoff come una metafora della morte (della conclusione) della nostra cultura, un testo breve (una paginetta) che è in grado di parlare a Platone (di parlare con le origini), di una persona che è stato in grado di guardare in faccia l'abisso (come diceva nietzsche) e che aveva la forza, il coraggio di farsi guardare dall'abisso.

Non commenterò il testo che ho dato a Platone, lo scriverò raccontandovi i suoi commenti (le sue reazioni, Platone commenta reagendo emotivamente), raccontandovi insomma la lezione che ho fatto a Platone. Non ci sono bocciature (giudizi di merito) in questa lezione, non fanno parte degli obiettivi, sia per me come insegnante di Platone sia per Platone come mio allievo.

il testo

Si tratta di Là dove altri propongono opere... di Antonin Artaud, drammaturgo, attore, saggista e regista teatrale francese, questo testo si riferisce al libro l'ombilic des limbes (l'ombelico dei limbi) pubblicato nel 1925.

la Lezione

Tutte le citazioni sono del testo presentato sopra.

Là dove altri propongono opere io pretendo solamente di svelare il mio spirito.

Qua Platone mi fa subito una domanda: come devo concepire la parola "opere"? Gli parlo dello sviluppo dell'editoria dopo l'invenzione della stampa tipografica di Gutenberg, della nascita del libro per come lo intendiamo noi, del romanzo, della fortuna e sfortuna dei romanzieri come scrittori, dei filosofi come saggisti e dei pittori come artisti, un po' gli ho parlato dei musei e delle università, dei concorsi culturali e dell'esser famosi (essere uomini di successo) nella cultura di massa.

Platone riprende a leggere...

La vita è un bruciare di domande.
Non concepisco un'opera staccata dalla vita.
Non amo la creazione distaccata. Neppure riesco a concepire uno spirito distaccato da me stesso. Ogni mia opera, ogni parte di me, ogni fioritura ghiacciata mi cola (bave) addosso.

Platone sorride, dice: "io ho parlato di fuoco che brucia dentro di noi"...

Mi ritrovo tanto in una lettera scritta per spiegare l'intimo restringimento del mio essere e l'insensata castrazione della mia vita, quanto in un tentativo esterno, che poi mi sembra un'indifferente gravidanza del mio spirito.

Platone mi dice: "non capisco se il senso è quello della rabbia verso le difficoltà della vita o dell'accusa nei confronti dell'impossibilità di questa vita".

Platone non attende che io dica qualcosa, non è un dire per coinvolgermi il suo, non è una domanda, e continua a leggere...

Soffro per il fatto che lo Spirito non sia della vita e che la vita non sia dello Spirito, soffro dello Spirito-strumento, dello Spirito-traduzione, o dello Spirito-intimidazione-delle-cose per farle entrare nello Spirito.

Platone ora capisce il senso, si intristisce, si alza in piedi e gira per la stanza in preda ad una reazione di tristezza, comprende benissimo che questa sofferenza è provocata da oggetti che lui ha contribuito a creare, che la sua visione ha determinato (come visione scelta e praticata dalla cultura Occidentale). Lo capisce benissimo, ma non è in grado di dire nulla.

Platone si risiede e riprende a leggere...

Questo libro lo tengo sospeso nella vita, lo voglio morso dalle cose esteriori, innanzi tutto dai soprassalti a cesoia, tutti gli sbatter di ciglia del mio io a venire.

Platone sorride, ma è un sorriso amaro, di chi si innamora di una donna (di un uomo) il giorno stesso in cui quella donna (quell'uomo) dovrà partire per non ritornare più.

Queste pagine strisciano come pezzi di ghiaccio nello Spirito. Chiedo scusa per l'assoluta libertà. Mi rifiuto di fare distinzione fra i diversi momenti di me stesso. Io non vedo alcun progetto nello spirito.

Platone rimane a lungo in silenzio su questo paragrafo, è un'accusa... è proprio un'accusa...

Bisogna farla finita con lo Spirito e la letteratura. Dico che Spirito e vita comunicano ad ogni grado. Vorrei fare un Libro che confonda gli uomini, una porta aperta che li immetta dove mai sarebbero voluti arrivare, una porta in comunicazione con la realtà...

Platone dopo un'interminabile sospensione dice: "non potrà mai farcela, il 'mio' Spirito è troppo potente per lui, non ha gli strumenti giusti per combatterlo, non ha neanche gli strumenti giusti per andare oltre, come vorrei tornare in vita per lavorare al suo fianco, per aiutarlo a risalire dal profondo degli abissi o, se non fossi in grado di aiutarlo, perché il mio Spirito non è più mio, e la sua forza è indipendente a me, almeno non lasciarlo solo, almeno condividerne il destino".

Così la lezione finisce, e mi sento spezzato in due: una parte di me vorrebbe andare nell'abisso e ripetere il grande gesto di Artaud, questa è la parte più presuntuosa di me, la parte che crede ci sia gloria nel morire in modo spettacolare, ma l'altra parte di me, quella più consapevole, sa che andare in quell'abisso oggi è una cosa da turisti e megalomani, che la porta in comunicazione con la realtà, di cui parla Artaud, non solo è chiusa, ma non sappiamo dove sia. Ecco il motivo del viaggio: Sulle Navi!


Sort:  

Beh... Io non sono un filosofo e probabilmente molte sottigliezze del tuo racconto mi sfuggono.
Non conoscevo Artaud ma andando a fare qualche piccola ricerca inizio a capire qualcosa in più anche del modo che hai tu di argomentare. La cosa è interessante perché in effetti negli interventi passati tuoi che ho letto finivo sempre per rimanere con "un po' di amaro in bocca". Era quella vaghezza quei giri di parole che a volte finivano per mordersi la coda... Ma in effetti cos'altro poteva essere se non questo? Sulle navi all'avventura... Senza meta certa. Inizio a capire. Può essere che io sia ancora incatenato all'interno della caverna e forse il mio scopo era solo quello di capire bene le ombre. Mi limito a questo perché credo che le ombre per quanto essenziali e "facili" e "già capite" oggi sono dei tabù... Non so

neanch'io sono un filosofo, carlo sini è un filosofo (che ho avuto il piacere di seguire brevemente), a me piace approfondire gli argomenti che mi interessano... e siamo tutti incatenati, o imprigionati... ma forse quello che facciamo (me compreso) è quello che ogni tanto fa un animale in gabbia, che sbatte sulle sbarre perché sa di essere imprigionato, ma una volta che apriamo la gabbia, rimane interdetto sul da farsi: non sarà mica una trappola? cosa rischio nell'uscire? 😉

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