CONTEST - UNA STORIA ITALIANA

in Italy8 months ago (edited)

LA VENDITRICE DI FUMO, IMPROBABILI VEICOLI E ALTRE DISCUTIBILI STORIE atto primo: storie dal trentesimo secolo (racconto per la partecipazione al contest una storia italiana)
-Vendo fumo, vendo fumo...vendo fumo, vendo fumo...chi vuole comprare? Oggi sconti. Vendo fumo, vendo fumo...
Una figura di donna diafana di età imprecisata, vestita di un lungo e curioso ottocentesco indumento bianco, bianco, bianco, dai lunghi capelli neri sciolti e lo sguardo vacuo, si aggirava per i corridoi del reparto psichiatrico del grande ospedale comunale.

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https://pixabay.com/es/vectors/mujer-triste-folklore-fantasma-158669/ (autore OpenClipart-Vectors, Pixabay free)

Fino all'anno precedente, Nina era una normalissima ragazza come tante in città alle soglie del quarto millennio. Ma i suoi guai veri e propri erano cominciati anni avanti, con lo sbagliare corso di laurea scegliendo Filosofia. La meno spendibile in assoluto nel mercato del lavoro. Nina proveniva da una famiglia di bassa estrazione socio-economica che viveva nel quartiere delle case popolari, una specie di ghetto enorme in una zona tra le più remote della città. Una volta terminata la LM, i suoi genitori s'erano rifiutati di cacciare altri soldi per i 60 CFU, poichè a loro dire la LM doveva per forza di cose chiudere il percorso universitario della figlia. Non gli entrava proprio in testa che l'Italia è l'unico paese al mondo in cui ben poche lauree sono abilitanti. Comunque fosse, di denari da spendere in ogni caso non gliene avanzavano più. E nel loro caso nessuna banca si sarebbe mai sognata di accendergli un mutuo di 4000, per quanto irrisorio rispetto a quello dell'acquisto di una casa. D'altra parte, in affari del genere non si configurava neppure possibile dar torto alle banche perchè Filosofia seguitava sinonimo di garanzie zero. Una sola classe d'insegnamento, relativa a discipline di cui già non infischiava più nulla al mercato del lavoro sin dalla fine del secondo millennio, non apriva più alcuna porta, se proprio si dovesse eccettuare una remota possibilità d'insegnamento. Fin troppo remota, dato che i laureati in Lettere e Scienze dell'Educazione scavalcavano in continuazione i filosofi in qualunque scuola per la stessa materia. Fosse in seconda fascia, ma soprattutto via MAD. A Nina non era riuscito neppure di trovare un lavoro mediocre che non c'entrasse nulla con i suoi studi per potersi pagare i 60 CFU in tutta autonomia perchè i centri per l'impiego, al vedere il suo curriculum che contava un diploma altrettanto privo di spendibilità sul mercato del lavoro quale da liceo di scienze umane, storcevano subito il naso. E cestinavano direttamente il suo curriculum. I più ipocriti nei centri per l'impiego le rispondevano con la trita e ritrita menzogna del troppo qualificata e trovati un lavoro alla tua altezza. La mancanza poi di un'auto personale completava il bel quadretto votato alla disoccupazione. E a coronamento di una vita professionale non esattamente il massimo dei massimi, neppure qualsiasi altro aspetto rilevante dell'esistenza era stato per Nina meno che disastroso. Al di là di forse qualche condomina dell'edificio in cui viveva, non aveva amici che potessero definirsi davvero tali e data la mancanza di un circolo sociale di un certo rispetto, quanto a vita sentimentale stava a zero tagliato praticamente da sempre. In città alle soglie del quarto millennio, forse ancor più accentuatamente che nei secoli precedenti il trentesimo, la bassa estrazione socio-economica, specie quando costringeva a vivere in una remota periferia e peggio ancora nelle case popolari, costituiva un pessimo biglietto da visita. La mancanza di un sia pure discreto status allontanava i superficiali residenti di una stagnante e amorfa metropoli. Vale a dire gran parte degli abitanti della città. Nina non era una brutta ragazza, sia pure non potendo considerarsi una bellezza inarrivabile, ma la mancanza di denaro e la povertà di connessioni sociali faceva paura a chiunque la circondava negli ambienti che frequentava. Tranne che ai condomini delle case popolari di quella specie di ghetto in cui viveva, famiglie per lo più in condizioni perfino peggiori della sua e perennemente indebitati fino al collo con questa e quella finanziaria, che più in basso di quanto già si trovavano non potevano scendere. Per non parlare poi della povertà d'intelletto di tali condomini, che si rivelava costantemente ben peggiore della povertà pecuniaria. Ma al di là dei caseggiati popolari, quando era adolescente, Nina faceva paura ai compagni di scuola. Terminato il liceo, faceva paura ai suoi colleghi universitari, perfino a coloro che come lei erano figli di manovali, vivevano anch'essi in bilocali di mala morte in periferia e se stavano riuscendo a proseguire gli studi si doveva a un ISEE bassissimo che come nel suo caso li esonerava dalle tasse universitarie. Ma avevano il privilegio di non trovarsi in affitto o peggio, in una casa popolare. Per di più, aspiravano a legarsi a una ragazza come minimo di ceto medio e che migliorasse le loro condizioni. L'unica loro fortuna consisteva magari nel lascito di un sia pur misero immobile da quattro soldi bucati da parte dei defunti nonni ai genitori. Faceva paura la sorella maggiore di Nina, affetta da sindrome di Down. Faceva paura che i loro genitori fossero già anzianotti, avendo procreato in tarda età. Un familiare disabile, ma anche alquanto in là con gli anni, qualora non fosse come minimo benestante, faceva paura ai più, alle soglie del quarto millennio e non solo. La disposizione a farsi carico di qualsivoglia responsabilità che derivasse non soltanto da una relazione sentimentale con una persona sfavorita dalle circostanze, ma pure da un'amicizia vera, s'era ridotta ai minimi termini. Si sapeva: al decesso dei genitori, il familiare disabile finiva sotto la responsabilità dei fratelli, qualora ne avesse. Soltanto in mancanza dei familiari più stretti era previsto il ricovero in appositi istituti a carico della pubblica amministrazione. Si sapeva: un nonno o un genitore in età avanzata e non più autosufficiente, convertiva il figlio, spesso unico, in caregiver a tempo pieno, nell'impossibilità di pagare badanti. Il che da oramai nove secoli riguardava finanche il ceto medio. Se migliaia di famiglie non venivano più risucchiate nel girone dell'indigenza estrema come conseguenza del licenziamento dal lavoro per forza di cose del familiare caregiver, specie considerato che le parole pensione e lavorativa figuravano soltanto più nei libri di storia sin dalla metà del ventunesimo secolo, lo si doveva a radicali cambiamenti degli ultimi anni in città. Dei quali però spesso non si sapeva bene come si erano sviluppati. Le leggende sul punto fioccavano. Avendo poi Nina commesso il deplorevole errore di farsi avanti con alcuni colleghi universitari, all'insegna di tanto moderne quanto discutibili teorie sulle relazioni umane e vedendosi costantemente respinta, non aveva retto. Alla dissociazione di personalità della quale aveva iniziato a soffrire, s'era aggiunto il poco conosciuto disturbo mentale del maladaptive daydreaming, che l'aveva portata al ricovero psichiatrico. Ma non trattandosi di paziente pericolosa, nè per l'incolumità altrui nè per la propria, le veniva permesso di girare liberamente per il reparto. In fin dei conti, tutto quel che Nina faceva era soltanto vendere fumo. Ma non era la sola a trovarsi ricoverata in psichiatria in seguito a errori logistici che l'avevano ulteriormente impantanata e inchiodata a un'esistenza infelice e insoddisfacente. Al momento, il reparto psichiatrico pullulava di uomini che credevano fermamente di essere automobili o altri veicoli a motore che contassero più di quattro ruote. Vi erano poi altri, finiti ricoverati perchè disperavano invece di non riuscirci proprio, a trasformarsi in automobili o camion oppure ancora autobus, a dispetto del fatto di essere andati a dormire a tal proposito in garage per un mese e oltre. Anch'essi erano pazienti innocui. Tutti, tranne Paolino Meis. Paolino, che soffriva di schizofrenia paranoide grave associata a ulteriori disturbi mentali di personalità, rischiava di farsi male davvero, durante le peggiori crisi che gli causavano frequenti allucinazioni audiovisive. Era un paziente a rischio di trasloco al riaperto manicomio comunale, a dispetto del fatto che da troppi anni i più pignoli tra gli assistenti sociali avevano perso il loro strapotere. Ma davanti a un paziente che dava spesso in escandescenze, solitamente non c'era un gran che da fare per mantenerlo in reparto senza che prima o poi finisse dritto in manicomio. Nonostante i volontari androidi che ce la mettevano tutta affinchè il buon ordine e l'armonia regnassero in tutto l'ospedale.


Il professor Albert Heinz, primario del reparto di psichiatria dell'ospedale cittadino, come al solito faceva le ore piccole, sbracciandosi in attività di ricerca. Grazie alla sua scienza, la psichiatria aveva fatto passi da gigante quanto a cura e prevenzione di malattie quali il disturbo ossessivo-compulsivo, la depressione e stati apatici. Aveva perfino ricevuto il Premio Nobel per le sue grandi scoperte che avrebbero aiutato tanti pazienti a vivere meglio. Il professor Heinz aveva sacrificato la sua vita privata per amore della scienza e ora si ritrovava vicino ai sessanta, single da una vita. Ma non gli pesava. Il suo lavoro era la sua missione sulla terra. L'infermiere greco Constantin lo ammirava per tanta abnegazione e dedizione. Quando era di turno di notte e doveva passare per la sala medici, lo trovava sempre intento a scrivere qualcosa a computer. Le sue ricerche, le sue scoperte. Allora gli chiedeva, come al solito: -Posso fare qualcosa per lei, professore?
-No, Constantin, grazie. Se solo potessi venire a capo di una cura, se non esattamente definitiva, ma quantomeno più efficace, per la schizofrenia! E trovare il bandolo della matassa relativa al maladaptive daydreaming. Quest'ultimo, ne sono sicuro, si potrà curare definitivamente, una volta risolto l'inghippo.
-Professore, le auguro tutto il successo possibile e immaginabile.
-Constantin, sa bene che non è il successo personale che perseguo, ma il benessere dei pazienti. Il caso di Paolino Meis, per esempio, ci pensi. Poveretto, fa compassione solo a guardarlo. Come ha passato la giornata di oggi?
-Insomma...
Constantin allora gli chiedeva se poteva fargli avere un caffè e qualcosa con cui rifocillarsi dopo tanto studio.
-Gentile come sempre, il migliore infermiere del reparto. Si, un caffè lo gradisco volentieri, ma mangiare a quest'ora della notte non è mia abitudine. La salute ne risentirebbe, poi alla mia età, quando devo cercare ancor più che da giovane di preservarla come meglio mi riesce, se intendo rendere al lavoro. Zucchero di canna per il caffè, grazie.
-Senz'altro.


Olga e Natalina erano sedute nella semicircolare saletta delle visite, aperta per metà sui corridoi, che figurava come una sorta di spartiacque. Si erano ritrovate una settimana dopo il loro incontro nell'area verdeggiante che circondava l'ospedale, avendo prenotato una visita psichiatrica per ciascuna. Olga dalla dottoressa Rossi e Natalina dal dottor Neri, avendo quest'ultima proprio bisogno del parere di un uomo per la sua quanto mai anomala e spinosa questione. In attesa di essere chiamate dai rispettivi psichiatri, avevano scelto proprio quella saletta per chiacchierare indisturbate, avendola trovata vuota, anzichè lo spazio antistante la sala medici e la sala infermieri dov'erano seduti altri pazienti esterni. Le due amiche si erano accomodate in un angoletto alquanto riparato, dato che Natalina sembrava proprio volersi nascondere alla vista di sguardi altrui. Secondo Olga, alle soglie del quarto millennio sarebbe pure stata ora di abbattere gli stereotipi discriminatori verso chiunque si recasse a visita presso psicologi, psicanalisti e psichiatri. Che male c'era se il cervello andava sistemato tanto quanto cuore, fegato e polmoni?
-Però...vedi...
-Ah, ho capito. Hai paura che siccome il diavolo fa le pentole e non i coperchi, giusto ora le circostanze vorranno che si presenti qui un conoscente che farà la spia ai tuoi genitori. Ovviamente non gliel'hai detto, vero?
-Ma figurati. Li conosci. Lo sai come sono fatti.
-Già, hai ragione. Alla peggio, diremo che stai accompagnando me, se proprio sfortuna non vuole che chiamino il tuo numero proprio nel momento clou. Dopotutto, non vieni spesso qui per tuo cugino?
-Spesso come un tempo non più, da quando insegno a scuola quasi tutti i giorni. Ma quando posso, allora si.
Bartolino, a dispetto del tempo trascorso, aveva ancora bisogno dell'aiuto del dottor Neri e della dottoressa Rossi. Per disperazione di zia Gelsomina e zio Max, ultimamente gli erano infatti tornate le fisse sulla macchina del tempo.

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https://pixabay.com/es/vectors/reloj-mecanismo-tiempo-engranajes-1277892/ (autore insspirito, Pixabay free)

Ma Natalina in realtà non aveva poi chissà quali grandi timori che qualche conoscenza potesse rapportare ai suoi genitori di quella visita psichiatrica, sia pure riconoscendo che sarebbero state infinite noie. Preferì però lasciarlo credere a Olga, dato che la verità era troppo bruciante, perfino davanti a un'amica di vecchissima data. Nell'ala degli ambulatori, lontano dai reparti, non vi sarebbe stato alcun bisogno di nascondersi, ma a causa di una necessaria manutenzione proprio lì, il dottor Neri e la dottoressa Rossi si erano ritrovati costretti a ricevere i pazienti esterni in reparto, tra la sala medici e la sala infermieri.
-Questa dei numeri anzichè per cognome è un'idea grandiosa del dottor Neri. Dovrò complimentarmi con lui- disse Natalina.
-D'accordo, intendo. Ma ora che stiamo qui belle tranquille e al riparo da orecchie indiscrete, mi vuoi finalmente dire cosa ti preoccupa ancora di quel mistero dei 4000? L'altra settimana ci siamo lasciate che non eri convinta. Il tuo androide ti ha fatto un bel regalo e magari ne facessero uno a me di una certa portata!
-Non è così facile. Prima di allora, pensa, mi aveva regalato un notebook nuovo...
-Beata te.
-...in occasione della tesi della triennale, che poi mi era servito pure per la LM. Il mio vecchio è linuxiano, ma le università adorano la Microsoft. Allora avevo la certezza che era stato lui perchè me l'aveva portato di persona. Allora come allora non ci avevo posto mente un gran che, ma ora...
-Persona? Vabbè, sorvoliamo. Ora non mi venire pure a dire che ti senti in debito con un pezzo di latta.
-Olga, è più difficile di quanto sembra.
-Allora, vediamo. Se temi per la legalità dell'affare, puoi stare tranquilla. Come ti dicevo, quella di cui Vittorio è proprietario non è un'industria esattamente da pezzenti. E non mi risulta certo sull'orlo del fallimento. Tutto l'opposto. Dato che fattivamente i denari li guadagna il pezzo di latta, una volta che ha pagato e pure bene tutti i dipendenti e la ditta si ritrova con un altissimo margine di lucro, tecnicamente può fare quello che vuole di quanto resta. Ma santo cielo, cosa sto dicendo? Quello che vuole non si addice a una latta...ma stavolta non so proprio come altro esprimermi.
Natalina non riuscì a non ridere alle uscite dell'amica, pur non aspettandosi che a tanto avrebbe avuto una reazione ilare. Ma la ultra mega razionale Olga riusciva così divertente, nella sua serietà.
-E saresti qui per questo motivo? No, dai. Se io sono qui per Giacomo Leopardi, tu lo sarai forse per Nikola Tesla?
Da nerd fatta e rifinita qual'era, infatti, sia pur non possedendo il genio dell'amica, quando Natalina era adolescente aveva infatti perso la testa per il grande scienziato tanto quanto Olga per il grande poeta.
-E se fosse Cicerone?- le venne da dire.
-Eh, beh, ma Cicerone era un grande! Sarebbe più che comprensibile. Per un'insegnante di latino, Cicerone è il massimo- e risero entrambe, per la piega comica che aveva preso il discorso.
-Ma è molto più vecchio di Nikola Tesla. E pure di Giacomo Leopardi.
-E che differenza fa? Non sono meno morti di lui.
Le due amiche si trattennero dal piegarsi in due dal ridere ancor più copiosamente, ma la loro ritrovata allegria venne presto troncata da altissime e improvvise urla che provenivano dal fondo del corridoio. Un paziente si era risvegliato dal sonnellino pomeridiano e chissà come, era riuscito a uscire dalla stanza in cui era sistemato. Si trattava di Paolino Meis, il cui caso costituiva oggetto di alacre studio e notti insonni per il primario del reparto, il professor Heinz.
-Mi hanno sbagliato motore e carrozzeria, in officina!- urlava. Nel frattempo, l'infermiere Constantin, di turno quel pomeriggio, era corso da lui per trattenerlo.
-Si può aggiustare, Paolino, si può aggiustare- gli ripeteva per tranquillizzarlo.
-No che non si può! Mi hanno fatto uscire a FIAT Panda!
Un altro paziente che passeggiava tranquillo per i corridoi s'era sentito in dovere di rispondere: -E che cosa devo dire io, allora, che mi hanno fatto uscire a FIAT Cinquecento? E mica la Cinquecento storica, il pezzo da museo, figlia della Topolino del ventesimo secolo. No, no e poi no: esattamente la discutibile di anni novanta, stesso secolo, veloce come un bradipo assonnato. Ma mica me ne lamento io, sapete? Guardate, non me ne lamento mica, eppure lo sapete che avrei ogni motivo per lamentarmi. Però, chi si accontenta gode...
L'eccentrico paziente passò oltre, continuando a passeggiare con la stessa tranquillità del suo arrivo, ma Paolino non si rasserenava. Nel frattempo era arrivato un secondo infermiere, ben più corpulento dell'esile Constantin, al quale il paziente agitato rischiava di sfuggire.
-Vedete quei quattro lì, vedete?- continuava a urlare Paolino. A quelli hanno fatto la carrozzeria di quattro camion. Guardateli, nel loro blu fiammante e lucido! E la bella camionista bionda, quella in jeans dal giubbino rosso smanicato, là nel parcheggio, sceglierà di guidare uno di loro, non me! Sicuro che sta telefonando al camion più a destra! AAAh...

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Natalina e Olga videro una sorta di poster appiccicato a uno dei lati esterni della parete semicircolare della saletta, dove figuravano quattro camion blu, identici, su uno sfondo che rappresentava un parcheggio per veicoli di grossa cilindrata. Ma non c'era nessuna camionista bionda, nel poster. L'unica donna bionda si trovava invece in corridoio, dov'era accorsa a causa delle urla del paziente: la dottoressa Rossi. Sotto il camice indossava una maglietta di cotone rossa e un paio di jeans, ma se non altro, in quel momento non aveva la minima intenzione di guidare alcun camion. Stava telefonando invece alla caposala affinchè preparasse una dose consistente di aloperidolo e lorazepam da iniettare al paziente Meis con urgenza. Nel frattempo, il dottor Neri era uscito dalla sala medici, anche lui attirato dal trambusto.
-La camicia di forza, presto!- urlò agli OSS che stavano accorrendo. -E poi voglio sapere come avete potuto permettere a un paziente in grave stato psicotico di uscire dalla sua stanza! Era sotto la vostra responsabilità in quest'orario! Lo sapete cosa farà il professor Heinz, lo sapete? Sbatterà fuori i reponsabili di siffatta spensieratezza!
Con una forza fuori del comune, Paolino Meis s'era intanto liberato della stretta dei due infermieri. Il dottor Neri fece un balzo in avanti per fermarlo, già paventando il peggio, ma un paio di androidi volontari appena arrivati riuscirono a bloccare il paziente. Gli misero la camicia di forza in attesa della dose iniettabile di aloperidolo e lorazepam, che non tardò ad arrivare. Una volta sedato, riportarono Paolino in camera e gli tolsero la camicia di forza, non permanendone più il bisogno.


Si scoperse in seguito che gli OSS responsabili dei pazienti della stanza in cui era sistemato Paolino erano arrivati in forte ritardo in reparto perchè intenti a scommettere sulle corse ippiche. Inutile dire che il solerte primario di psichiatria aveva allora provveduto al loro licenziamento.

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https://pixabay.com/es/vectors/persona-raza-masculino-cl%C3%A1sico-1778452/ (autore Prawny, Pixabay free)


Natalina s'era nascosta meglio che aveva potuto, non appena i due androidi si erano fatti vivi. Nel dubbio trattarsi di Vittorio quanto a uno di loro. Avendo intravisto la porta di una toilette nel lato di corridoio opposto a quello della scena madre, era corsa a infilarla di fretta e furia, sotto lo sguardo perplesso di Olga. Una volta che in corridoio non si sentì più volare una mosca, tranne che per il passaggio di Nina che tornava in camera, sempre intenta a vendere fumo, aprì, uscì e tornò a sedersi.
-Ma non è arrivato nessun altro di estraneo al reparto- disse Olga. - E i pazienti che già c'erano quando siamo arrivate, sono sempre gli stessi sconosciuti di prima. Non penserai che quel poveretto che si sono appena portati via infermieri, OSS e i due pezzi di latta farà la spia ai tuoi genitori?
-Beato lui che si crede un'auto- sospirò Natalina.
-Cosa?
-Paziente numero 7- chiamò la dottoressa Rossi in sala infermieri.
-D'accordo, debbo andare, ma quando ho finito ti aspetto qui e sputi il rospo. Mi pare vi sia proprio altro, oltre a Cicerone.
Olga si allontanò per la sua visita, ma neanche un minuto dopo il dottor Neri invitò la paziente numero 8 a entrare in sala medici. Natalina raccolse tutto il coraggio che potè. Una volta seduta davanti allo specialista, cercò di giustificarsi.
-Davvero dottore, non so proprio come sia potuto succedere un affare del genere. Sono una persona che ha studiato, sono laureata e cerco di usare la ragione nei limiti del possibile. E invece temo proprio che finirò in manicomio.
-Stia tranquilla, Natalina- disse il gentile dottor Neri, che oramai la conosceva abbastanza bene sin dal famoso ricovero del cugino Bartolino e dell'amica Manola. -Di questi tempi, a chi più e a chi meno, capita a tutti qualche eccentricità. Nemmeno noi psichiatri e psicanalisti ne siamo del tutto immuni. Ma neppure i pazienti che hanno perso ogni contatto con la realtà vanno più in manicomio oramai, tranne qualche pericolo pubblico vero e proprio, dunque figuriamoci lei.
Il dottor Neri sorrise allegramente. -Vedo dalla sua scheda che è un'insegnante. Sapevo già che ha due lauree. Cosa insegna?
-Al momento, italiano e latino in un liceo di scienze umane. Sono due delle mie classi di concorso, anche se i concorsi pubblici sono finiti nel dimenticatoio da un secolo.
-Non c'è da preoccuparsi. I laureati in Lettere li chiamano sempre, in seconda fascia.
-Dottore, da insegnante devo trasmettere sicurezza e stabilità emotiva ai miei alunni.
-E sono sicuro che vi riesce davvero bene. Stia serena: anche se mi dirà che è innamorata di Cicerone, non è affatto un impiccio- rise il dottor Neri, che nel suo studio ne aveva viste e sentite di ogni colore e specie.
-È quanto ho lasciato credere a una mia cara amica che si trova anche lei qui, dalla dottoressa Rossi...
-Mi creda, Natalina, non sono qui per giudicarla, di qualunque cosa si tratti. Sono qui per aiutare i miei pazienti.
Coraggio. Coraggio. Tergiversare non aiuta e qui serve un aiuto concreto. E presto.
-Amo un androide.

1)Dove è ambientata la scena? Nel reparto psichiatrico del gigantesco ospedale della solita innominata città

2)Chi è la protagonista? Tecnicamente la dottoressa Rossi, psichiatra e psicanalista del reparto, pur nelle allucinazioni del paziente Paolino Meis che vede in lei una camionista in un parcheggio. Comunque, tutti gli altri personaggi sono invisibili: Paolino Meis, paziente schizofrenico paranoide in grave stato, la venditrice di fumo Nina e gli altri tanti ricoverati innocui come lei, che credono di essere veicoli a motore, medici, infermieri, OSS, due androidi e pure Natalina e Olga in attesa di visita psichiatrica

3)Perché sullo sfondo sono parcheggiati dei camion? In realtà si tratta di un poster appeso chissà perchè a una parete della saletta semicircolare che divide un corridoio del reparto psichiatrico

4)Con chi sta parlando al telefono? Con la caposala, dacchè al paziente Meis urgono benzodiazepine e antipsicotici iniettabili

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A volte mi chiedo, ma cosa mangi a colazione? 😁 Hai una fantasia incredibile e i racconti sono sempre molto dettagliati! 👍🧡

...cocktail di grappa, LSD e altri allucinogeni svariati😁😁😁😁. Ovviamente sto scherzando, no, è che di fatto sono matta come un cavallo, sin da piccola ho sempre avuto la testa tra le nuvole e vado pazza per Asimov, zietta Jane Austen, il Marcovaldo di Calvino e vagonate di altra letteratura e arte. E il mondo psichiatrico e psicanalitico mi affascina da una vita. Scrivevo già quando ero ancora alle magistrali (bozze rimaste incompiute), dove per la prima volta ero entrata in contatto con le materie psicanalitiche (studiavo Freud e Piaget già allora, per forza di cose). Ma allora non esisteva steemit, purtroppo...

Wow, il finale di Natalina non me lo aspettavo... Ma può capitare, poi al di là del racconto immagino che in futuro così lontano gli androidi saranno una realtà e pressoché indistinguibili dagli umani...

Non sarà comunque un finale: come dicevo l'altra volta, questo dovrebbe diventare un vero e proprio e-book del quale so già il finale vero e proprio (anzi, forse vi saranno pure due finali, uno alternativo all'altro e lascerò scegliere ai lettori quello che preferiscono). Per questo e-book, oltre al neorealismo calviniano, mi sto ispirando ad Asimov e in particolare al mio film fantascientifico preferito (L'uomo bicentenario, non so se l'hai visto). Piccola Miss era legatissima a Andrew, ma sposa Frank (anche lì, per Il bibliotecario francese, immagino il dottor Trent McCallister identico a Frank fisicamente) perchè ovviamente sposare Andrew è impossibile e il padre le aveva detto che non poteva investire le sue emozioni in una macchina. Qui Andrew non ha ancora fatto l'upgrade che lo renderà indistinguibile dagli umani e così pure Vittorio e il suo esercito di androidi (loro non lo faranno mai: appariranno comunque sempre di latta). Ma se la prossima immagine me lo consentirà (nei limiti del possibile, vedrò di carpire il consenso,, lol!) proseguirò con le sedute psichiatriche in cui verranno fuori i perchè e per come. In questa città. dopotutto, nessuno è del tutto sano di mente (e seriamente, non si investono davvero le emozioni in una macchina, hahaha!), tranne Vittorio e i suoi androidi, dato che il cervello positronico li rende immuni ai disturbi psichiatrici umani, hahaha! Ma la storia avrà uno sviluppo inaspettato, fidati, lol!

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