CONTEST - UNA STORIA ITALIANA

in Italy4 months ago (edited)

MEMORIE, ovvero un salto nel tempo atto terzo: storie dal trentesimo secolo (racconto per la partecipazione al contest una storia italiana)
Le due amiche per la pelle da una vita Gilda e Gioconda dovettero fare i salti mortali per riuscire a vedersi senza la fretta e furia di sempre che caratterizzava le loro frenetiche esistenze per pranzare insieme almeno una volta. Loro due da sole, senza familiari al seguito, per potersela meglio raccontare. E magari pure disputare una partita a scacchi come non facevano da tempo immemore. Si erano conosciute assieme ai rispettivi mariti svariati decenni avanti, durante un'agape comunitaria in cui la chiesa battista calvinista di appartenenza di Gioconda e Alessandro aveva invitato la metodista di Gilda e Sandro. A distanza di enorme lasso di tempo, entrambe avrebbero dovuto essere nonne felici e indicativamente lo erano pure. Andavano pazze per i loro nipoti e nipotini, grandi e piccini, ma gli enormi grattacapi che la vita aveva avuto in serbo per loro non gli lasciava il tempo per le attività ricreative che ci si aspetterebbe tra nonni e nipoti, a parte qualche sporadica in rari momenti. O per meglio dire, che un tempo ci si aspettava. Per l'esattezza, fino a un millennio avanti all'incirca, quando ancora esistevano le pensioni governative anche per i non statali e pubblici impiegati in genere. Oramai, nel trentesimo secolo, hobby e attività ricreative erano oramai divenuti prerogativa quasi esclusiva di ricchi e benestanti. Forse pure degli alto-borghesi, ma neanche troppo. Dal ceto medio in giù si doveva sgobbare come muli, sempre e quando la fortuna di avere uno straccio di lavoro fosse presente, specie se si lavorava nel terziario. Ovviamente, per riuscire a metter via qualcosa per la vecchiaia, sempre e quando i bassi stipendi lo permettessero. Affare più unico che raro nel trentesimo secolo. In aggiunta a tali amenità, sia Gioconda che Gilda erano impantanate in circostanze familiari a dir poco peculiari, anzi neanche troppo peculiari, considerati i tempi che correvano. In città, anzi in giro per il globo, le famiglie disfunzionali non si contavano più da almeno un millennio.
Si sedettero comunque nel piccolo ristorante di campagna a conduzione familiare, che le due anziane avevano scelto sia per l'atmosfera idilliaca che per i prezzi competitivi. Si trovavano finalmente una davanti all'altra in tutta tranquillità, la figura esile di Gioconda con i suoi grandi occhiali dalla montatura artistica a occhi di gatto e i capelli color antracite in un taglio Chanel che portava oramai da decadi e Gilda, ben più corpulenta e alta dell'amica, occhiali quadrati dalla montatura nera semplice, a buon mercato, con i capelli grigio argento portati in un taglio cortissimo al quale provvedeva sempre da sè, poichè denari per la parrucchiera non ce n'erano. Gioconda aveva fatto questione per offrire il pranzo a Gilda, che versava in condizioni economiche ben peggiori delle sue.
-Dai, amica mia, ho i miei risparmi. Posso pagarmi il pranzo senza pesare su di te.
-Ma quale pesare, non dirlo nemmeno per scherzo. Quei risparmi ti servono per far studiare i tuoi nipotini più piccoli. Dato che tuo figlio Demetrio non si cruccia per niente di non ereditare e può tranquillamente mantenere agli studi i suoi figli, come mi dicevi l'altra volta. Mentre invece...
-Già, mentre invece i figli di quello sciagurato di Antonio finirebbero accattoni, se il loro sostentamento dipendesse unicamente da lui. Ma perchè non è cresciuto responsabile come suo fratello? Eppure l'educazione gliel'abbiamo impartita uguale, Sandro e io.
Gilda aveva comunque potuto metterci il mezzo con il quale in campagna le due amiche c'erano arrivate, poichè Gioconda e Alessandro non potevano mantenere una macchina. Gilda e Sandro avevano un furgoncino che serviva loro per il trasporto di frutta, previamente comprata dai contadini, dal loro garage al mercato rionale di Piazza dello Stagno, dove la coppia aveva una licenza per tenerci una bancarella.

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(immagine Pixabay free, autore Barni1, link https://pixabay.com/it/photos/frutta-bancarella-della-frutta-2143983/)

Sandro proveniva da una famiglia di fruttivendoli da generazioni, mentre Gilda aveva una laurea in Scienze della Nutrizione, uno dei requisiti ben visti dalla pubblica amministrazione per la vendita di alimenti. La coppia, sia pure apparentemente, versava nelle condizioni ideali per tale commercio, non fosse che Piazza dello Stagno si ergeva tra il peggior degrado cittadino. Zona malfamata, e il mercato costituiva il luogo ideale per il borseggio. Il traffico di stupefacenti, poi, viaggiava forte nel quartiere. Ma dati i tempi che erano, ci si poteva pure sorvolare, dato che altra località disponibile non ve n'era. Al rinnovo della licenza, infatti, Piazza dello Stagno era tutto quel che il comune cittadino aveva potuto offrire a Sandro e Gilda. Comunque, data l'esperienza generazionale e il titolo della donna, avrebbero potuto cavarci bene o male una buona rendita, dato che i mercati rionali cittadini funzionavano tutti i giorni e la coppia ci lavorava da lunedì a sabato. E ai bei tempi, infatti, sia pure a fronte di mille sacrifici, erano riusciti a far studiare Demetrio, il figlio maggiore, oramai sposato e padre, che teneva una cattedra di ruolo di storia e sociologia in un liceo classico a Roma. Non che non avessero pensato anche al figlio Antonio, ma quest'ultimo si era sempre rivelato di una scioperatezza proverbiale e i crucci che aveva causato ai poveri genitori non si contavano nemmeno più. Intento a frequentare compagnie discutibili, ovviamente alla chetichella perchè Sandro e Gilda non approvavano la condotta dei ragazzacci con i quali soleva accompagnarsi e dedito alla nullafacenza, aveva accumulato una lunga serie di bocciature durante la sua tormentata carriera scolastica. All'età in cui il dedicato e compito Demetrio aveva iniziato il corso di laurea in Scienze Storiche, Antonio aveva a malapena terminato la terza media, avendo ripetuto ciascun anno per tre. E come non fosse sufficiente, dopo avere accumulato ulteriori bocciature alla secondaria che non era poi nemmeno mai riuscito a terninare, aveva messo incinta la figlia della vicina Mimoza, una ragazza di sette anni più giovane di lui. La condomina Mimoza era un'immigrata albanese a sua volta ragazza madre, che viveva nella miseria. A suo tempo, la poveretta aveva ceduto alle lusinghe di un pittore rumeno che si trovava momentaneamente a Scutari per una mostra di quadri. Costui le aveva fatto mille promesse da marinaio, per poi non mancare di piantarla in asso e defilarsi senza lasciar traccia di sè, una volta che Mimoza si era ritrovata in stato interessante. La famiglia altamente conservatrice della ragazza, oltre al fatto di essere altamente conservatrice, era pure altamente rigida e inflessibile e non aveva voluto saperne di perdonarla per il fattaccio. Contando sull'aiuto della Croce Rossa internazionale per casi come il suo, Mimoza era allora fuggita in Italia a tentare la sorte, trovando in città innanzi tutto piccoli aiuti di questa e quell'altra associazione caritatevole. Le trattative dell'Albania per entrare in Unione Europea, che andavano avanti oramai da oltre nove secoli, stavano beneficiando di riflesso gli abitanti che scappavano dal paese per mera disperazione a causa di fatti puramente personali, dato che oramai da altrettanti secoli in Italia si stava pure peggio che in Albania, economicamente parlando. Stavolta Bruxelles sembrava disporsi a consentire l'ingresso dell'Albania e grazie ai fondi europei, la Croce Rossa sistemava sia pure poveramente le ragazze che incorrevano nella mala sorte di Mimoza. L'avevano sistemata in un monolocale con cucinotta al piano terra di un condominio di periferia e una cooperativa legata alla Croce Rossa le aveva trovato un impieguccio malpagato di donna delle pulizie a ore, che avrebbe iniziato una volta dato alla luce. Meglio di niente, ovvio. Se non altro, il contratto che aveva ottenuto le permetteva di pagare l'affitto, il condominio e le utenze, che date le condizioni dei locali, costava davvero poco. Restava però il problema di dover crescere un figlio da sola, il che non era affatto uno scherzo. Il pargolo avrebbe ottenuto un posto al nido gratis, ma che fare in caso di malattia, sua o del bimbo? Mimoza in città era completamente sola. Non fosse stato per Sandro e Gilda, che per combinazione abitavano nello stesso condominio, la ragazza si sarebbe ritrovata a navigare in cattive acque. La coppia di vicini, quando non si trovava al mercato, l'accompagnava alle visite mediche e più volte le aveva comprato i dispositivi farmaceutici da utilizzare in gravidanza, che Mimoza non si poteva permettere. Spesso la invitavano anche a pranzo. Finalmente era nata una bambina e l'esperienza di Gilda, che aveva già avuto due figli, le era risultata fondamentale. Mimoza aveva chiamato la bimba Arbera e la piccola era di casa dai vicini Sandro e Gilda, che occupavano l'appartamento dirimpetto al condomino del piano di sopra di Mimoza. Demetrio e Antonio erano praticamente due fratelli maggiori per Arbera, ma crescendo, Antonio si era rivelato un poco di buono, a differenza del suo distinto fratello maggiore. Arbera, appena compiuti i diciotto anni, era entrata nella compagnia di ragazzacci frequentata da Antonio di nascosto della famiglia e neanche tempo, avrebbe fatto la fine di sua madre. Non fosse che Sandro, Gilda e pure Demetrio, quando veniva in visita ai genitori da Roma, non pensavano nemmeno a coprire le malefatte del loro scioperato congiunto, che intendeva appunto scordarsi della sfortunata Arbera e senza nemmeno la minima intenzione di riconoscere il figlio che sarebbe nato. La ragazza era stata soltanto un'avventura per lui. Ma i genitori e il fratello lo avevano obbligato a sposarla.
-Non possiamo credere di aver messo al mondo un caposcarico di tal fatta! Ora, o ti prendi le tue responsabilità o una volta che avrai trent'anni, fuori da questa casa! Lo sai cosa dice la legge? Che un genitore non è affatto obbligato a mantenere un cetriolo che ha già compiuto trent'anni e l'unica cosa che fa nella vita è grattarsi le ginocchia- giacchè Antonio, oramai ventiseienne, non studiava più e nemmeno si era mai scomodato a cercarsi un lavoro, quale che fosse.
Nel frattempo, Gilda e Sandro avevano sistemato Mimoza e Arbera nel loro sia pure contenuto appartamento, assegnandogli quella che un tempo era stata la camera dei loro figli, relegando Antonio a dormire in cucina. Perchè purtroppo Mimoza aveva nel frattempo perso il lavoro a causa del decesso del proprietario dell'impresa di pulizie che la mandava a fare le ore in uffici e case. E di conseguenza, l'avevano sfrattata dal monolocale.
-Non sia mai che nostro nipote finisca nei malfamati quartieri delle case popolari o peggio, per strada. E nemmeno la povera Arbera, anche non ci fosse rimasta. Nostro figlio l'ha presa in giro senza il minimo ritegno.
-Non che qui stiamo in Paradiso...
-E va bene, Sandro. Ma quantomeno, a fronte di questi e quegli accorgimenti, se non altro, ce la possiamo cavare. E il quartiere non è più abitato da pressochè la feccia della città come quando ero bambina.
La casa, infatti, era di proprietà della sola Gilda. C'era cresciuta e l'aveva ereditata.
-Si, certo, non dico affatto che le due poverette debbano essere abbandonate e Antonio se ne esca come un filo di spaghetto. E da domani viene a lavorare con noi al mercato, gli piaccia o non gli piaccia. Noi ci spacchiamo la schiena e non abbiamo mai assunto un dipendente perchè ci costava troppo e allora non avremmo potuto far studiare i nostri figli. Non me ne pento affatto perchè Demetrio è meritevole. Ma Antonio, moglie mia! Ora deve guadagnarsi da vivere per mantenere una famiglia. Mentre Mimoza resterà a casa a prendersi cura della figlia, di nostro nipote e penserà alla cucina e a tenere pulito e in ordine.
Poco dopo il matrimonio era nata una bimba che avevano chiamato Marina. I nonni avevano fatto questione per tenere prima la culla e poi il lettino della piccola nella loro camera. Antonio e Arbera, che con il tempo non si era rivelata di indole un gran che migliore del marito, non facevano che litigare come pazzi e i nonni paterni temevano con ragione gravi pregiudizi alla nipotina. Ci avrebbero pensato loro, a tirarla su come si deve. Le finanze però oramai scarseggiavano da un pezzo perchè le bocche da sfamare che contavano sui soli ricavi di una bancarella ortofrutticola erano già sei. Mimoza non riusciva a trovare un altro lavoro, specie da quando le agenzie chiedevano spesso quale requisito imprescindibile perfino a un uomo o donna delle pulizie il diploma, che purtroppo non possedeva. Non era infatti riuscita a terminare la secondaria a suo tempo perchè in quinta liceo era rimasta incinta di Arbera. Quest'ultima, per dare una mano a ovviare alle scarse finanze familiari, aveva preso a lavorare con il marito e i suoceri al mercato di Piazza dello Stagno, lasciando Marina con sua madre. Sapendo però i nonni paterni che nonna Mimoza possedeva un carattere e una personalità di tipo eccessivamente remissivo, che tributava agli uomini di casa, compreso l'immeritevole Antonio, una sorta di venerazione, si erano allarmati. Non desideravano che la nipotina adottasse certe pessime abitudini quali alzarsi in piedi se soltanto entrava in casa un uomo o non toccare cibo se prima gli uomini di casa non avessero terminato di mangiare. Temendo dunque tale nefasta influenza, s'era deciso che Gilda rimanesse in casa al posto di Arbera a prendersi cura di Marina e pure della consuocera, bravissima donna, ma che necessitava di essere istruita e guidata. Pazienza, se la sua assenza alla bancarella si sarebbe fatta sentire non poco, dato che il buono a nulla di Antonio era più concentrato a far complimenti alle clienti giovani e belle sia pure sotto gli occhi di Arbera e gli sguardi fulminanti dei genitori, anzichè preoccuparsi dell'attività di famiglia. C'era da tirare la cinghia un giorno si e l'altro pure, ma con le dovute accortezze, ancora ce la si faceva senza toccare i risparmi di nonna Gilda, che dovevano servire agli studi di Marina. Dato che sul buono a nulla di Antonio e sulla negligente di Arbera, che doveva aver preso il suo carattere dal padre biologico, impossibile contarci, allo scopo. Ma bastava aspettare che la bimba raggiungesse l'età scolare, che Gilda avrebbe potuto ripigliare il suo posto alla bancarella durante le ore scolastiche. Infatti così s'era fatto. Mentre Mimoza si prendeva cura di casa e cucina, la nonna paterna accompagnava Marina a scuola con l'unica auto di casa, purtroppo per la famiglia un bidone di FIAT Cinquecento in stile anni novanta di fine secondo millennio e subito dopo raggiungeva il resto della famiglia al mercato di Piazza dello Stagno. Si fermava soltanto per il tempo necessario prima di tornare indietro a riprendere Marina e riportarla ma casa. Per la loro economia domestica non era lo stesso di quando Gilda lavorava sodo fino a tardo pomeriggio assieme a Sandro, ma la differenza si vedeva e le finanze in casa iniziavano a respirare...non fosse che circa quattro anni più tardi, Arbera era nuovamente incinta. A dieci anni dalla nascita di Marina, la donna e Antonio avrebbero avuro un altro figlio, a dispetto del fatto di non essere affatto un gran che di padre e un gran che di madre. Gilda si era allora nuovamente preparata a fare la nonna a tempo pieno. Ora le bocche da sfamare sarebbero però diventate sette e i due resposabili della famiglia, vale a dire sempre i nonni paterni, si scervellavano sul da farsi per tirar su qualche soldo in più. Gioconda allora passava agli amici i suoi task online per fargli guadagnare qualche soldo in più, che sebbene raramente superava i cinque al mese, dato che gli anziani disponevano soltanto del loro telefono per il telelavoro, era pur sempre qualcosa da aggiungere per la spesa alimentare, i farmaci o altri beni di prima necessità. Il loro telefononon poteva certo paragonarsi a un computer, che gli avrebbe permesso di dedicarsi ad attività online più remunerative, ma pazienza. L'unico piccolo netbook di casa non poteva essere troppo sfruttato perchè doveva servire a Marina per studiare. Era stato un regalo di Natale di zio Demetrio e zia Lucia per quando la bimba aveva cominciato a frequentare la primaria. Alessandro, il marito di Gioconda, aveva assicurato gli amici che avrebbe riparato gratis il netbook di Marina per ogni evenienza, ma sia pur così, preferivano restasse nuovo il più a lungo possibile per la bimba.
Demetrio, ogni volta che poteva e si trovava in visita, oltre a regali alla nipotina, allungava qualche banconota ai genitori, che allora si sentivano morire dalla vergogna.
-Mamma, papà, non preoccupatevi. Lucia e io abbiamo il posto fisso a scuola e ce lo possiamo permettere. Ma non posso vedere i miei nipotini ricoperti di stracci o costretti a lavorare senza accedere agli studi dopo la terza media.
-Demetrio, qualcosa ho, lo sai...-rispondeva la mamma.
-Non toccarli. Tienili per la secondaria e l'università di Marina e di quest'altro in arrivo. Mio fratello è proprio una bestia.
Per la verità, qualora Antonio e Arbera fossero stati genitori modello, responsabili e in grado di mantenere sia pure alquanto discretamente la loro famiglia, i risparmi di nonna Gilda avrebbero dovuto servire quale pensione di anzianità per entrambi i nonni e forse pure per la loro consuocera che non poteva essere abbandonata a morire di fame, fosse mai capitato a Sandro e Gilda di sopravvivere alla perdita delle loro forze per continuare a lavorare in un mercato e peggio, a guidare un furgone a rischio di provocare incidenti a causa della mancanza di riflessi dovuta all'età che avanzava. Ragione per cui Gilda e Sandro avrebbero avuto l'idea di ricavare qualcos'altro vendendo furgone e garage all'evenienza, dato che il loro condominio permetteva la separazione tra appartamenti e pertinenze diverse dalle cantine. Pazienza per il bidone denominato FIAT Cinquecento, che sarebbe rimasto allo scoperto e dunque esposto alle intemperie. Ma non c'era scelta.
A volte capitava che anche l'amica Gioconda aiutasse altrimenti che con i task online, incoraggiata da Alessandro, oltremodo generoso di natura. La coppia di amici non poteva elargire denari, ma aiutava la migliore amica Gilda con altri mezzi. Gioconda era insegnante di lingue straniere che lavorava con partita IVA forfettaria perchè la salute malferma le aveva impedito l'impegno non indifferente che una scuola richiedeva. E sapeva abbastanza pure di musica. Dava allora lezioni e ripetizioni alla piccola Marina a prezzo puramente simbolico. Alessandro dava una mano per piccole riparazioni in casa senza chiedere nulla agli amici. Gilda e Sandro avrebbero tanto voluto ricambiare, ma non avevano la più pallida idea di come e quando.
-E a che servono gli amici, allora?- dicevano Alessandro e Gioconda. Che a loro volta, sebbene non vivessero in una casa pazza come i loro poveri amici, non mancavano neppure loro di magagne. Alessando era lavoratore autonomo a regime forfettario come la moglie, ma guadagnava molto meno di lei perchè privo di studi universitari che gli avrebbero quantomeno procacciato una certa fiducia in più da parte dei suoi followers. Lavorava infatti da influencer. Dei tre figli che avevano, nessuno era un caposcarico o bestia, ma i due maggiori, Armando e Adalberto, erano diventati due pavoni matricolati, crescendo. Quanto al più giovane dei tre, Anselmo, s'era rivelato un sempliciotto a lettere tonde che prendeva costantemente lucciole per lanterne. Armando e Adalberto erano bei ragazzi ed erano riusciti ad accalappiare due giovinette della buona società, che attratte dal loro aspetto e fare da pavoni, li avevano sposati contro i loro stessi pregiudizi verso chiunque non fosse come minimo benestante. Tuttavia, i due avevano una mamma laureata e che sapeva di musica, cosa che quantomeno contava punti davanti alle schizzinose famiglie delle nuore, erano ragazzi che avevano studiato e si erano assicurati una buona carriera tra banche, finanziarie e Poste Italiane. Diventando alla fine Armando direttore di un piccolo ufficio postale e Adalberto manager bancario. Avevano convinto i rispettivi suoceri, ma oramai si vergognavano sia dei genitori, ai quali pure dovevano i loro bravi titoli, che del fratello minore, che a differenza delle loro alte ambizioni, sin da piccolo viveva perso nel mondo delle calzature. Diventare calzolaio era sempre stato il sogno di bambino di Anselmo e da ragazzo lo aveva realizzato. Il mondo dell'alta finanza del quale i suoi fratelli si gloriavano non faceva assolutamente per lui. Date le premesse, Gioconda e Alessandro mantenevano sporadici rapporti con le famiglie di Armando e Adalberto e non trascorrevano con i loro figli il tempo che avrebbero voluto. Peraltro, quei nipoti più crescevano, più si pavoneggiavano come i loro genitori. L'unica nipotina che non dava loro pensieri se non per una madre dal carattere infernale era Natalina, la figlioletta di Anselmo. Quest'ultimo, dopo i suoi quarant'anni, aveva sposato una donna a dir poco peculiare perchè non aveva trovato di meglio. O forse non aveva voluto prendersi la briga di cercare di meglio. Aveva sposato Fiorina per ovviare a una delusione amorosa con una ragazza svizzera che gli aveva preferito un architetto, ma che Anselmo riteneva insostituibile e non c'era proprio verso di tirarla giù dal piedistallo in cui l'aveva posta sin dal primo momento che l'aveva conosciuta.
Tre anni prima della nascita di Natalina, che aveva allietato la vita dei nonni Alessandro e Gioconda, la nuora della cara amica Gilda aveva dato alla luce il suo secondo figlio, stavolta un maschietto. Anche il neonato Manfredi, così come Marina, era stato sistemato in camera dei nonni, che avevano l'idea di cambiare i loro giacigli con due letti a castello per quando non vi sarebbe stato più posto, una volta che culla e lettino divenissero troppo stretti per i nipotini. Il bimbo cresceva particolarmente bello e di spiccata intelligenza. Ogni volta che vedeva la sorella maggiore aprire il netbook, le si avvicinava quatto quatto e osservava attentamente ogni cosa, senza peraltro disturbare Marina che svolgeva i compiti di scuola. Sin da piccolissimo sembrava capire l'importanza dello studio e pure delle buone maniere, che i nonni non mancavano mai di insegnare ai nipoti. Marina andava pazza per il fratellino e per farlo contento, spesso se lo sedeva in braccio per fargli osservare più da vicino i suoi lavoretti. Al piccolo Mafredi piacevano particolarmente gli esperimenti con l'intelligenza artificiale e ogni volta che vedeva la figura di un robot gli brillavano gli occhi e batteva le manine. Quando Marina aveva terminato la terza media, desiderava tanto iscriversi al liceo artistico. Per i suoi genitori, la licenza media bastava e avanzava. L'avrebbero voluta subito come aiutante alla bancarella e ovviamente i nonni avevano fatto i diavoli a quattro per assicurarle un futuro diverso da quello di una fruttivendola in nero dalla sola licenza media.
-Antonio, sei un ignorante!- gli urlava il padre.
-Un aiutino sporadico nelle vacanze ci può stare, ma fermarsi alla terza media, neanche per sogno!- gli urlava più forte la madre. -Per non parlare poi del fatto che trattandosi di vendita di alimentari, prima o poi dovrà prendere come minimo un attestato apposito e senza la quinta superiore non si può accedere nemmeno al corso S.A.B. Le toccherebbe allora lavorare da dipendente per sempre, ma poi, se le piacciono le arti, perchè farle rinunciare al suo liceo preferito?
-Perchè in questa casa, mamma, di soldi non ce n'è! Il liceo artistico, poi, con quello che costa il materiale...
-Taci! Se in questa casa non c'è un soldo, si deve al fatto che te sei stato sempre uno scansafatiche, un buono a nulla, ora come ora incapace perfino di provvedere una casa decente per la tua famiglia!
Effettivamente, nel trilocale di periferia di proprietà di Gilda si erano acconciati a dormirci oramai in sette alla meno peggio. S'era inizialmente dovuto sostituire il divano della cucina con un armadio letto per nonna Mimoza, che altrimenti avrebbe ben potuto finire a dormire nella vasca da bagno, dato che altro posto non c'era più. Nella camera dei nonni si stava già in quattro e quanto ad Antonio e Arbera, già stavano stretti in due in una condivisione forzata. Litigiosi oltre ogni dire, condividere lo stesso letto era spesso e ben volentieri un castigo immane per entrambi, piuttosto che allegria. Ma non v'era alcun modo di dormire separatamente in quegli spazi contenuti. Antonio, per la verità, si sarebbe trasferito a dormire nel furgone del trasporto frutta parcheggiato in garage. Ma l'unica volta che l'aveva fatto per davvero era stato pizzicato da uno dei soliti condomini ficcanaso, come d'altra parte soleva accadere nei condomini di periferia dove vi erano gli immancabili vicini usi a trascorrere le loro giornate a osservare chi entrasse, chi uscisse e a che ora. Onde evitare noie con la Municipale, che l'impiccione di turno non avrebbe mancato di fare accorrere, dato il divieto per legge di utilizzo delle pertinenze di un condominio a uso abitativo, aveva desistito da allora per sempre, essendosi comunque premurato di assicurare e pure spergiurare al condomino fin troppo curioso che si era soltanto involontariamente appisolato mentre sistemava la frutta, colto da un'improvvisa stanchezza. La Municipale non avrebbe mancato di multarlo pesantemente, ove fatta accorrere, infatti. Ci mancava soltanto una multa, nelle condizioni in cui versava Antonio con tutta la famiglia.
-Alla scuola di Marina, comunque, ci penso io. La pago io e il materiale artistico glielo compro io. Fine del discorso- aveva concluso nonna Gilda.
-E posso chiedere almeno dove sistemerai il...come si chiama...
-Il cavalletto per dipingere? Niente paura, nello spazio tra i due letti a castello nostri e dietro il lettino.

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(particolare da immagine Pixabay free, autore AILes, link https://pixabay.com/it/photos/cavalletto-macchina-4168479/)


Marina frequentava già il secondo anno del liceo artistico con gran profitto e voti desiderabili per qualsiasi studente, quando il piccolo di casa sembrava avere già le idee chiare sul suo futuro a soli cinque anni.
-Mia sorella è brava. Disegni belli. Io voglio fare l'ingegnere.
-Sentiamo quest'altra!- aveva sbottato il padre. -Il figlio di un fruttarolo con velleità da ingegnere. Tuo nonno fa il fruttarolo, io e tua madre facciamo i fruttaroli e di conseguenza diventerai fruttarolo anche tu.
La scena si ripeteva e il piccolo Manfredi piangeva. -A me piacciono i robot.
-E piantala di dire cretinate- sbuffava la madre.
-Però...però...-e il bimbo, tra lacrimucce, faticava a esprimersi.
-Ora te lo do io, il però!- e alla terza scena in cui era cascato il discorso, Antonio aveva fatto volare uno scappellotto al figlio. Nonna Mimoza, sia pure affranta per l'accaduto, non osava contestare al genero a dispetto delle lezioni della consuocera sulla questione del mai contraddire gli uomini di casa. Qualunque cosa dicano o facciano. Dopotutto, quella non era neppure casa sua. Ma nonna Gilda, che tornava dalla toilette da dove aveva ascoltato il vociare del figlio e della nuora e i pianti del nipotino, era oviamente di diverso avviso.
-Ci risiamo, Antonio, ci risiamo? -e vedendo il bimbo con una guancia arrossata, nonna Gilda si era alterata non poco. -Bestia, sei proprio una bestia!
-Deve imparare a non dire scemenze- aveva borbottato la nuora. -Ha troppi grilli per la testa. Dice che vuole diventare ingegnere, figuriamoci, il figlio di un fruttarolo.
-Sei proprio un animale!- aveva gridato più forte nonna Gilda ad Antonio, ignorando volutamente le uscite della nuora per etichetta, onde evitare di passare per la mala suocera di turno. -La prossima volta che ti azzardi a toccare i mie nipoti per motivi futili, prendo questo -e aveva afferrato il manico di una veccchia scopa -e te lo spacco sul didietro! Lo sai che ne sono capace, lo sai!
Nonna Gilda aveva già fatto ballare quel bastone sul didietro di Antonio quando, vergogna delle vergogne, la sera del suo matrimonio con Arbera si era presentato sotto il balcone di una ragazza della sua vecchia compagnia con cui usciva, mezzo ubriaco, per dedicarle una serenata. Per tutta risposta, s'era preso un bel secchio d'acqua che il furente padre della fanciulla non aveva mancato di versargli addosso. Essendo i genitori venuti a sapere del fattaccio dai mille pettegolezzi che in occasioni del genere non mancavano mai, di ritorno a casa inzaccherato, Antonio aveva trovato sua madre ad aspettarlo col manico di scopa per dargli il resto che non s'era preso dal padre della giovinetta.
Nonna Mimoza guardava la consuocera con tanto d'occhi. Mai avrebbe immeginato di vedere una donna che in casa portava i pantaloni come nonna Gilda.
-Se il tuo figlioletto ha talento e sono sicura di si, che troppi indizi me lo confermano, ci penso io a farlo studiare, così come faccio con Marina. Anche se questa responsabilità dovrebbe essere tua, buono a nulla! E vedi di trattar bene i tuoi figli anche quando non siamo presenti in casa io e tuo padre, altrimenti, lo ai cosa dice la legge, lo sai, che ti posso cacciare quando mi gira il ghiribizzo. Questa è casa mia e non sono affatto tenuta a mantenertici.
Nel frattempo, nonno Sandro e Marina erano accorsi dalla camera che dividevano in quattro, il primo lasciando a metà le sue letture serali e la seconda il suo acquerello. Nonno e nipote si erano ritrovati davanti a tale scena madre, con nonna Gilda che reggeva ancora il bastone della scopa. Marina aveva abbracciato il fratellino piangente, avendo inteso che i suoi genitori dovevano essersela presa con lui per qualche futilità ed era pronta a difenderlo. Ma i nonni bastavano e avanzavano allo scopo, dato che una volta informato, nonno Sandro aveva rincarato la dose con il figlio, dando manforte alla moglie. Con la coda tra le gambe perchè la mamma era sempre la mamma e il papà era sempre il papà, Antonio aveva dovuto cedere.


Erano nel frattempo arrivate le ordinazioni delle due amiche per la pelle. Gioconda, intollerante al glutine e pure al mais, aveva preso un secondo di pesce, mentre Gilda aveva ordinato un piatto di penne al pomodoro e basilico.

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La prima, temendo che l'amica avesse preso un piatto semplice per non pesarle sul conto del ristorante, le disse di non farsi alcun problema a ordinare altro.
-No, tranquilla, amica mia. Guarda, non ci crederai, ma il sabato scambiamo la frutta che ci avanza e non possiamo riportare il lunedì al mercato con il pesce e la carne che il pescivendolo e il macellaio non possono a loro volta tornare a vendere a distanza di due giorni.
Soltanto Gilda aveva omesso davanti all'amica che non tutti i sabati accadeva, ma si e no una volta al mese, quando andava bene. E di quella poca carne e quel poco pesce, la maggior parte doveva andare ai bambini, che non dovevano crescere rachitici. Già costretti a mangiare, al di là della buona frutta che prendevano dai contadini, per lo più prodotti degli hard discount, sia pure che le nonne, le addette alle spese di casa mentre gli altri si occupavano della bancarella, ci mettevano tutta l'attenzione possibile per portare a casa alimenti con un minimo di qualità al prezzo più conveniente. E quante volte gli adulti di famiglia non erano andati a letto con solo pane raffermo per colpa di Antonio, che perennemente impegnato a litigare con sua moglie, non mancava di picchiare i pugni sul tavolo. E sempre e quando la cena era oramai servita. Ma già che il tavolo della cucina contava misure ridotte mentre in famiglia erano in sette, già che le stesse dimensioni della cucina erano anch'esse ridotte, il contenuto dei piatti finiva immancabilmente sugli indumenti degli astanti anzichè nei loro stomaci, grazie al tempismo perfetto di Antonio. In quanto nonno Sandro prendeva a inveire contro quel figlio incorreggibile, le due nonne e Arbera dovevano allora alzarsi a rimediare immediatamente alle macchie per farle sparire prima che diventassero indelebili, perchè di soldi per abiti nuovi non ce n'erano e soprattutto Marina non poteva andare a scuola impataccata per diventare lo zimbello dei compagni. Fortunatamente la ragazzina riusciva a vestirsi decentemente, dato che Luisa, la seconda figlia di zio Demetrio, era sua coetanea, portava la stessa taglia della cugina e le passava i suoi abiti in buono stato quando gliene servivano di nuovi. Le risultavano grandi perchè Luisa era molto più alta della cugina, che di fatto non superò mai il metro e cinquanta di altezza per tutta la vita e tanto significava perenni orli ai pantaloni e alle maniche delle camicie, maglioni smisuratamente lunghi e quant'altro. Ma andava bene anche così. Purtroppo non poteva dirsi lo stesso per il suo fratellino. Il cugino Dante, fratello maggiore di Luisa, era di troppi anni più grande del piccolo Manfredi e zio Demetrio e zia Lucia avevano a suo tempo donato i vestiti di bambin del figlio all'opera sociale della loro chiesa di appartenenza. Quando le macchie risultavano comunque indelebili a dispetto degli sforzi di nonne e mamma, pazienza, tutti uscivano impataccati, tranne Marina. Finchè una sera, l'esasperazione di nonna Gilda le aveva per davvero fatto cacciare di casa Antonio, che non avendo dove sbattere le corna, non aveva potuto fare altro che rifugiarsi a Roma dal fratello. Che lo aveva ricevuto a denti stretti e rimproverandogli di essersi portato via l'unica auto della sua famiglia.
-E come altro potevo arrivare? Non ho nemmeno i soldi per il biglietto del treno. Papà e mamma mi contano il centesimo. Lo sai che non mi fanno mai toccare un soldo dei ricavi della bancarella?
-E per forza, ci credo, fanno bene, benissimo! Altrimenti tu li squaglieresti in sigarette e alcolici, ti conosco.
A Lucia non garbava tenere in casa sua per sempre un elemento come Antonio, che ovviamente faceva il mantenuto, senza la minima intenzione di cercarsi un lavoro per contribuire alle spese di casa di suo fratello e sua cognata o quantomeno di potersi mantenere senza pesargli sulle spalle. Per non parlare del fatto che il posto di un uomo adulto e per giunta padre di famiglia non doveva essere la casa del fratello sposato e con prole.
-Se questo non se ne va- aveva detto Lucia perentoriamente al marito la terza settimana -e nemmeno si trova un lavoro, saremo io, Dante e Luisa a fare le valige. Vi godrete allora la reciproca compagnia, tu e Antonio.
Per la verità, Demetrio non avrebbe aspettato oltre un mese per dare il foglio di via a suo fratello, sperando che Antonio nel frattempo mettesse un po' di sale in zucca. Ma dato che alla terza settimana s'era invece già bello che accomodato e non intendendo Demetrio di certo incrinare i suoi rapporti con la moglie, con la quale era sempre andato d'amore e d'accordo sin da quando erano fidanzati storici, lo aveva esortato a chiare lettere.
-E che cosa faccio? Dove vado? Mamma non intende ricevermi più in casa e sai che papà dà sempre ragione a lei.
-E per forza, caposcarico che sei! Che nemmeno uno straccio di lavoro ti dai la pena di cercarti.
-L'unica cosa che so fare è vendere frutta al mercato. Chi vuoi che mi pigli, oramai, alla mia età?
-Ma se nemmeno da ragazzo ti sei mai preso la briga di darti da fare, vivendo sempre da fannullone alle spalle dei nostri genitori! Alla bancarella ci stavi perchè alla fine papà ti aveva preso per l'orecchio! Senti cosa va fatto, torna a casa e con tanto di umiltà, chiedi a mamma e papà di perdonarti. Promettigli di comportarti come si deve e niente più pugni sul tavolo con la cena nei piatti, che mamma per questo ti ha cacciato, me l'hanno raccontato. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Io non posso tenerti qui per sempre a sbafo. Sei un adulto grande e grosso e devi diventare responsabile. E devi pure riportare la macchina ai nostri genitori. La mamma si sta vedendo costretta ai salti mortali con il furgoncino tra il mercato e casa per portare tua figlia a scuola, è una vergogna! Lo sai che non hanno i soldi per l'autobus e tu gli hai portato via l'unica auto e no, adesso non mi venire a dire che non avevi i soldi per il treno perchè non fosse per il tuo mal costume, mamma non ti sbatteva fuori!
In mancanza d'altro rimedio, Antonio aveva dovuto cedere e tornare dai genitori con la coda tra le gambe. Da allora, se non altro, non vi erano state più cene che imbrattavano i commensali in casa Palladini, anche se i litigi tra Antonio e Arbera seguivano all'ordine del giorno e non fosse stato per il timore di litigare con gli altri condomini che non avrebbero tollerato di essere svegliati dalle urla di una coppia equivoca, pure della notte.


Dati i trascorsi in casa, quelle penne al pomodoro e basilico per la povera Gilda erano oramai un piatto da re.
-E poi, cara Gioconda, mio figlio Demetrio, figurati, mi aiuta tutte le volte che può.
-Ti prego, però, non usare quel nome- rise l'amica, che al nome Gioconda preferiva solo Gi.
-Ah, già, scusami, solo Gi- e rise anche Gilda. -Me ne scordo, di quando in quando, che poco sopporti quel nome.
-Ma cos'avevano in mente i miei genitori?
-Non mi dicevi che erano fissati con Leonardo da Vinci e la sua Monna Lisa? Non mi dicevi che quando a scuola ti chiamavano proprio Monna Lisa per farti dispetto, i tuoi compagni restavano con un palmo di naso perchè in realtà avresti veramente preferito chiamarti così? E il dispetto restava in faccia a loro perchè l'appellativo Monna Lisa ti faceva piacere, anzichè rabbia.
-Sicuro. Era una domanda retorica- disse l'amica con un sorriso malizioso.


Se Gilda e Sandro si guardavano poi bene dal chiedere aiuti sociali alla loro comunità di appartenenza, dove tra l'altro si premuravano di portare sempre i nipotini, lo si doveva al fatto che vi erano anziani privi di famiglia e non più in grado di lavorare, oppure ancora giovani disabili, che quindi dovevano avere la precedenza per forza di cose. Tutte persone che a differenza di loro non avevano un solo centesimo di risparmi e quindi stavano molto peggio. Per non parlare poi dell'immensa vergogna che, a causa del comune sentire in città, una laureata avrebbe sentito nel chiedere l'elemosina. E pesare sugli altri. Stando attenti, Sandro e Gilda erano certi che sia pure stringendo la cinghia un giorno si e l'altro pure e a botta di costanti rinunce, ce l'avrebbero fatta, se non fossero arrivate a bussare alla loro porta malattie serie e costose. Sandro, nelle sue preghiere, supplicava che nessuno in casa si ammalasse seriamente. Gilda, da parte sua, pregava il Signore che tenesse in vita lei e il marito per lo meno finchè i nipotini non avessero raggiunto entrambi la maggiore età. Tremava infatti al pensiero che restassero soli con genitori di tal fatta. Nonna Mimoza non era assolutamente in grado di difenderli e men che meno di assicurargli una vita sia pure mediocre. Cosa ne sarebbe stato di Marina e Manfredi senza nonno Sandro e nonna Gilda? Le ferventi preghiere dei devoti nonni venivano ascoltate. Gli anni trascorrevano e Sandro e Gilda restavano ancora in forze. Ma dovevano prepararsi ad affrontare altre lotte, altri salti mortali economici e a stringersi ulteriormente in casa perchè a circa sette anni dal felice intermezzo con la migliore amica dell'anziana, Arbera si ritrovò in stato interessante per la terza volta.
Continua...

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