RED CARD - L'incredibile caso del Procuratore Capo degli arbitri, D'Onofrio

in Italy2 years ago

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Foto di Roberto Lee Cortes da Pixabay - Free to use

UN ALTRO "RECORD" DELL'ERA GRAVINA

Come se non bastassero l'ennesimo fallimento raccolto sul campo, con la mancata qualificazione della nostra nazionale per i Mondiali, e le numerose chiacchiere sulle presunte riforme, abbandonate di fronte ai ricorsi dei soliti presidenti furbetti, il fantastico mondo del calcio italiano è riuscito a regalarci in queste ore l'ultima "perla".

Rosario D'Onofrio, procuratore capo dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA), ovvero la massima autorità in grado di infliggere sanzioni disciplinari e squalifiche ai vari direttori di gara, è stato arrestato ieri con l'accusa di narcotraffico. Rambo, così si faceva chiamare nel mondo della malavita, è accusato di essere un corriere della droga, e di aver partecipato anche in operazioni di riciclaggio del denaro e in regolamenti di conti con altri soggetti criminali, con tanto di pestaggi e torture.

La notizia, già di per sé piuttosto scioccante, assume i contorni del grottesco se si guarda ai precedenti dell'ex procuratore, non nuovo a comportamenti criminali di vario tipo, che tuttavia non gli hanno impedito di ricoprire uno dei ruoli più importanti all'interno della Federazione. Dopo una breve esperienza da arbitro, nelle serie inferiori, D'Onofrio era stato promosso ad un ruolo di giudice sportivo ed aveva intrapreso la carriera da medico militare, mentendo tuttavia spudoratamente sulla sua laurea e ricevendo una denuncia dagli organi predisposti.

Ma quello che sorprende ancora di più è come il protagonista della nostra storia, già a cavallo tra il 2019 e il 2020, fosse stato arrestato e condannato con rito abbreviato a due anni e otto mesi di reclusione (che stava scontando ai domiciliari) per essere stato fermato in auto con oltre quaranta chili di droga.

Per svolgere le sue funzioni da corriere e non destare sospetti tra le forze dell'ordine in pieno lockdown, si vestiva con la mimetica di servizio dell'esercito, prestata da un ex collega con il quale era rimasto in buoni rapporti, ma un'intercettazione telefonica lo avevano fatto finire sotto le attenzioni degli inquirenti.

Tuttavia, pur da pregiudicato e con una condanna agli arresti domiciliari ancora da scontare del tutto, D'Onofrio non ci ha pensato due volte l'anno scorso a presentare la propria candidatura al ruolo di procuratore capo degli arbitri, venendo incredibilmente scelto dall'ex presidente dell'AIA, Marcello Nicchi, e poi confermato dall'attuale numero uno, Alfredo Trentalange.

A giudicare dallo stupore con il quale i vertici dell'AIA hanno accolto la notizia dell'arresto del loro procuratore capo, che aveva già annunciato le proprie dimissioni nelle precedenti ore, nessuno in questi anni si è evidentemente accorto di come D'Onofrio partecipasse alle varie sedute necessarie per svolgere il suo ruolo istituzionale da pregiudicato, sfruttando dei permessi a lui concessi dai responsabili dell'affidamento ai domiciliari.

Una storia surreale, una figuraccia planetaria, per la quale naturalmente, nessuno (altrimenti non ci troveremmo nel regno del brillante presidente federale Gabriele Gravina) pensa nemmeno lontanamente a dare le dimissioni. Per Trentalange la candidatura di D'Onofrio era da ritenersi assolutamente valida, in base all'autocertificazione dei titoli presentate dall'ex procuratore capo, che naturalmente aveva omesso il piccolo particolare delle precedenti denunce o condanne passate in giudicato.

Pur volendo prendere per buona la ridicola pilatesca posizione, appare impossibile non notare come il potere di D'Onofrio in questi due anni tuttavia sembrasse essersi esteso ben oltre le proprie prerogative. Come denunciato dall'ex giacchetta nera, Piero Giacomelli, sanzioni disciplinari comminate ad hoc a questo o quell'arbitro, magari per meri cavilli formali nelle dichiarazioni sui rimborsi, indirizzavano designazioni e promozioni, oltre ad eventuali impieghi internazionali, spostando così i voti delle varie elezioni a seconda delle sezioni regionali che venivano in quel momento premiate.

Evidentemente anche di questo aspetto all'AIA nessuno sembra essersi accorto, oppure, come denunciato dallo stesso Giacomelli, l'ex procuratore capo era colui al quale veniva affidato il lavoro sporco, in modo che per decidere le eventuali promozioni si potessero scavalcare i giudizi tecnici.

In queste ore è partita la corsa al solito scarico di responsabilità, con il presidente Gravina rapido nel precisare l'assoluta indipendenza nei processi decisionali interni dell'Associazione Arbitri, che tuttavia, nonostante le sue chiacchiere, rimane comunque un organo strettamente sottoposto alla FIGC.

In un mondo normale, di fronte ad una vicenda di una gravità assoluta come quella appena raccontata, fioccherebbero le dimissioni. Evidentemente, con l'attuale Presidente Federale, parlare di normalità sembra quasi una barzelletta.

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