L'errore commesso da tutti [#steemexclusive - #multilanguage]

in Italy2 years ago (edited)

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Photo by Presidenza della Repubblica, attribution, via Wikimedia Commons


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Adesso il ciclo è proprio finito. Con il successo per 3-2 ottenuto sulla Turchia nell'inutile partita di Konya tra le sconfitte del primo play-off, l'Italia di Roberto Mancini, campione d'Europa in carica, ma tristemente esclusa anche dalla prossima rassegna iridata, ha definitivamente chiuso il ciclo di partite che avrebbero dovuto portarla a giocare in Qatar nel prossimo inverno.

Abbiamo assistito ad una serata incoraggiante sotto alcuni punti di vista, per il ritrovato spirito combattivo del gruppo e per la buona prestazione dei ragazzi che dovranno rappresentare il nuovo inizio di questa Nazionale, ma allo stesso tempo profondamente deprimente. A tratti l'atmosfera è apparsa simile a quella di un'ultima cena passata in compagnia di un amore ormai concluso: in alcuni attimi cala un po' di tristezza, in altri si ride e ci si diverte, ma al momento dell'addio si torna a casa separati, prendendo definitivamente coscienza della situazione.

L'Italia non andrà al Mondiale. Un'eventualità apparsa impensabile solo fino a pochi mesi fa, visto anche il livello non certo altissimo delle avversarie nel girone di qualificazione, ma diventata piano piano sempre più reale. Come in ogni sconfitta è bene non lasciarsi tentare dal vizio italico delle ricerca dell'alibi (i rigori sbagliati da Jorginho con la Svizzera o quello non fischiato ad Immobile, nella partita con la Bulgaria, ad esempio), ma cercare di individuare subito i punti chiave in cui intervenire per migliorare nel più breve tempo possibile.

Quando si tratta di sport di squadra, generalmente il primo nome a venire pizzicato di fronte ad ogni grande delusione coincide sempre con quello dell'allenatore. Di conseguenza, la domanda, nata spontanea subito dopo il goal di Nestorovski, non può che riguardare il nostro Commissario Tecnico: dove ha sbagliato Roberto Mancini? Com'è stato possibile trasformare in appena otto mesi una squadra di combattenti con il coltello tra i denti in un branco di mammolette addormentate?

Nel calcio, sovente, il tempo che intercorre da una Primavera a quella successiva vale quasi un decennio, per il livello di stravolgimento al quale tocca assistere. Gli stati di forma e gli infortuni possono cambiare in maniera radicale il volto delle squadre e rimescolare le carte meglio dei più abili croupier di Las Vegas, ma di certo l'ex guida tecnica del Manchester City sembra essere incappato nel classico errore, già visto e rivisto in altre epoche storiche tra i comandanti della nostra Nazionale.

Senza scomodare i due Mondiali vinti in fila da Vittorio Pozzo, nel 1934 e nel 1938 (quello era proprio un altro calcio), sia dopo il trionfo spagnolo del 1982 che dopo la coppa sollevata al cielo di Berlino nel 2006 infatti, chi si è seduto sulla panchina azzurra ha commesso uno sbaglio madornale: scegliere di affidarsi allo stesso gruppo di giocatori, protagonisti del successo appena conquistato, anche quando evidentemente spremuti, fuori forma o svuotati mentalmente, rimandando fatalmente il necessario ricambio.

Una sorta di debito di riconoscenza, ma anche per certi versi il voler scegliere la via più sicura. In altre parole, fallire con il gruppo storico può ancora permettere di dividere le colpe con i giocatori, rinnovare sposta tutta la responsabilità in capo al Tecnico. Sarebbero bastati i vari Raspadori, Tonali e Scamacca per battere la Macedonia, al posto degli spenti Insigne, Barella e Immobile? Probabilmente sì, anche se in Portogallo, naturalmente, avremmo vissuto una serata molto più complicata.

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Perché Pablito Rossi, centravanti implacabile in Spagna, dopo la finale di Madrid non è più riuscito a buttarla dentro nemmeno con le mani? Per quale motivo il Pallone d'Oro, Fabio Cannavaro, ha iniziato proprio nel 2006 al Real Madrid la parabola discendente della sua carriera? E ancora, come mai centrocampisti come Barella o Locatelli, che apparivano fuoriclasse di livello europeo, si sono trasformati in pallide copie di sé stessi e non ne azzeccano più una da qualche mese?

La differenza tra i grandissimi giocatori della storia del calcio e i comprimari, tra i fuoriclasse e le Cenerentole, che si vestono a festa per un unica volta nella propria vita, sta probabilmente tutta qui: la capacità continua di resettare la mente dopo i grandi successi, sulla quale i primi possono contare come parte del proprio corredo genetico, mentre nei secondi appare totalmente assente.

Per calciatori del calibro di Pelé, Cristiano Ronaldo, Maradona o Platini, la gioia provata durante una vittoria si trasforma in una sorta di dipendenza, da inseguire sempre e in qualsiasi competizione; ad altri, che si tratti di calciatori, club, allenatori o presidenti, una Coppa Italia vinta in uno stadio vuoto può bastare per una carriera intera, figuriamoci un Europeo.

A giugno, quando si ripartirà con la Nations League, il cambiamento del nucleo centrale sarà obbligato ed è per questo che ho ancora fiducia in Mancini e perché, forse, mantenerlo saldo al suo posto potrà rappresentare una delle rare mosse vincenti di Gravina. Il C.T. sarà chiamato a ricostruire da zero di nuovo, come già fatto all'inizio della sua avventura, ancora una volta paradossalmente senza alcuna pressione addosso. Chissà che non ci stupisca di nuovo.



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Ciao @frafiomatale, beh sai che questo sport è più scommesse per me, ma a volte vale la pena chiarire :) Parliamo di qualcosa di triste, l'ITALIA non è al mondiale, scommetto, ho perso, ma non mi sento bene per aver perso la scommessa, mi è dispiaciuto vedere che è stata eliminata, beh dobbiamo vedere altre squadre, ma è davvero triste

Sarà purtroppo il secondo mondiale di fila per gli azzurri, ma pazienza, dobbiamo farcene una ragione. Lo sport va avanti e ci saranno altri motivi per esaltarsi anche senza l'Italia 😉

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