IL FINALE CHE VOLEVANO

Tanto per cambiare, il finale di Juventus-Inter, semifinale d'andata dell'edizione 2023 della Coppa Italia, ha visto protagonisti i calciatori in campo di un'ennesima rissa. Dalla curva sud dell'Allianz Stadium, covo degli ultras bianconeri, sarebbero partiti, al momento della realizzazione del calcio di rigore che ha fissato il risultato finale sull'uno a uno, degli ululati a sfondo razzista nei confronti di Romelu Lukaku, cosa che ha scatenato la reazione provocatoria del belga (indice davanti alla bocca, nel classico gesto di chi intende zittire qualcuno) nei confronti dei tifosi avversari.

Come spesso accade in questo casi, i giocatori di casa, che vedono gli altri prendersi gioco del "proprio" pubblico, hanno pensato bene di gettare benzina sul fuoco. Cuadrado si è recato a brutto muso di fronte all'attaccante nerazzurro, i compagni dell'uno e dell'altro sono intervenuti prontamente a difesa degli interessati e così, tra accuse reciproche, calci e spintoni, si è arrivati al più classico dei parapiglia, continuato anche dopo il fischio finale e, a quanto pare, anche negli spogliatoi.

Risultato? Tre espulsi (Handanovic, Lukaku e Cuadrado), uno spettacolo francamente indecoroso e i soliti piagnistei finali. Già, perché sulla stampa sportiva questa mattina è partito il gioco della verginella scandalizzata di fronte a quanto messo in scena dai protagonisti delle due squadre, ree di aver fornito un pessimo esempio del nostro calcio all'estero (manco negli ultimi tre mesi avessero vissuto sulla luna).

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Quotidiani sabaudi, dal colore discutibile o dalla fluente osmotica chioma argentata e look da ballerino di balera, per una volta si sono trovati infatti tutti d'accordo (e ci mancherebbe) sul penoso spettacolo offerto con la rissa di fine partita, senza tuttavia andare a fondo della questione e puntare il dito sui veri responsabili di questo clima assurdo creatosi tra le due società e più in generale nel mondo del pallone italiano: loro stessi.

Perché ditemi quello che volete, ma quando alla vigilia di ogni Juve-Inter tocca per l'ennesima sorbire l'innalzamento dei toni con Iuliano-Ronaldo, con l'immancabile intervista ai vari Paolo Bonolis o con i piagnistei del Simone Inzaghi di turno, significa voler scientificamente esasperare gli animi, peraltro praticamente sempre a senso unico.

Esaspera oggi, esaspera domani, chi già ha la tendenza a lasciarsi facilmente trasportare dagli aizzapopolo in qualunque campo della vita, finirà per prepararsi ad una semplice partita di calcio come se dovesse andare al fronte.

E hai voglia a fargli notare che gli episodi accadono da una parte e dall'altra, benché ne vengano ricordati selettivamente solo alcuni, e che nell'ultimo periodo (compreso ad esempio l'evidente fallo di Dumfries su Kostic di ieri sera, un attimo prima dello sciagurato tocco di mano di Brener) se esiste qualcuno che si può lamentare non ha di certo la sede a Milano, ormai il significato assegnato all'evento sarà per sempre uno solo, quello di una sorta di guerra santa contro i truffatori di professione.

Dall'altra parte, un ambiente evidentemente esasperato da continui attacchi, trascende ormai con facilità negli individui più "bassi" in qualcosa che va ben oltre al di là del calcio, come ignobili insulti razzisti, e auto-alimenta il proprio astio anche grazie alla pronta (sacrosanta) stigmatizzazione di tutte le istituzioni. Che tuttavia non avviene mai quando i tifosi dello Spezia se la prendono con le origini di giocatori serbi, né quando la curva della Roma apostrofa in maniera vergognosa un allenatore avversario, ma è prontissima ad agire contro un gruppetto di imbecilli di un unico stadio.

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E rifiutandomi di credere che anche il razzismo, così come le controversie arbitrali, debba essere interpretato a senso unico, ammesso o comunque frettolosamente dimenticato se lo compiono taluni, fortemente criticato (come sempre dovrebbe essere) se tocca a talaltri, forse conviene fermarsi, fare un bel respiro, e cominciare a comprendere che stiamo parlando di calcio, non di una guerra. O ci vogliamo riempire la bocca di tolleranze varie, ma poi di fronte al calcio ragionare "per odio"?

Perché Signori, di questo passo, con questa esasperazione dei toni e con questa continua ricerca della polemica e della lite da parte di quattro prezzolati che hanno bisogno di vendere una copia in più, si sta distruggendo non solo quello che una volta era un divertimento per famiglie, ma anche una delle più floride industrie del Paese.

Vincere è diventato questione di vita o di morte, non importa con quali mezzi, sotterfugi, trucchetti o aiuti di potenti, e lo stadio trasformato in un posto governato da razzisti e malavitosi, che picchiano ragazze inermi o padri di famiglia se non obbediscono a degli ordini.

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Quello che una volta era campanile e sfottò si è trasformato pericolosamente in odio. Lo vedi nelle dichiarazioni dei magistrati, che aprono fascicoli senza indagati e senza ipotesi di reato solo per continuare a dare addosso ad una società che personalmente non sopportano, nelle dichiarazioni di un presidente dell'UEFA, che alla faccia del suo ruolo da garante, per meri affari personali, si confessa mandante delle inchieste che stanno affossando due club, senza tralasciare di minacciare velatamente il terzo.

Ma la novità è che ultimamente ciò accade sempre più spesso anche nelle facce dei giocatori, che invece di stringersi la mano, come si usa fare nello sport, si prendono a pugni alla fine della partita, inquadrando nell'altro non un semplice avversario nel gioco, ma una sorta di soldato del fronte opposto.

Attenzione però, perché nelle guerre, come la storia insegna, in qualche modo perdono anche i vincitori. Prepariamoci pertanto pure, prima o poi, ad arrivare a "contare i morti": ora toccate pure le parti anatomiche o i metalli che preferite, ma una pallina su un piano inclinato, per quanto impercettibile sia l'asse di inclinazione, comincia a muoversi sempre più in fretta e smette di rotolare soltanto quando cade per terra.

Le pagelle a questo punto, così come la discussione sulla partita in sé, che sarebbe stata a suo modo anche bella ed equilibrata, mi sembrano inutili.

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ENGLISH VERSION

Translated with DeepL.com

THE ENDING THEY WANTED

For a change, the final of the Juventus-Inter, semi-final first leg of the 2023 edition of the Coppa Italia, saw the players on the pitch involved in yet another brawl. From the south corner of the Allianz Stadium, the den of the Bianconeri supporters, at the moment of the penalty kick that made the final score one to one, racist howling towards Romelu Lukaku, which triggered the provocative reaction of the Belgian (index finger in front of his mouth, in the classic gesture of someone who wants to shut someone up) towards the opposing fans.

As often happens in such cases, the home players, who see others making fun of 'their' public, thought it best to throw petrol on the fire. Cuadrado went head to head with the Nerazzurri striker, the teammates of one and the other promptly intervened in defence of those concerned, and so, between mutual accusations, kicking and shoving, we arrived at the most classic of paraphernalia, which continued even after the final whistle and, apparently, also in the locker room.

Result? Three sent off (Handanovic, Lukaku and Cuadrado), a frankly unseemly spectacle and the usual final whimpers. Yes, because in the sports press this morning the game of the scandalised virgin started in front of what was staged by the protagonists of the two teams, guilty of having provided a bad example of our football abroad (as if they had been living on the moon for the last three months).

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Newspapers from Savoy, of questionable colour or with flowing osmotic silver hair and ballroom-dancer looks, were all in agreement for once (and we'd better be) on the pitiful spectacle offered by the brawl at the end of the match, without however getting to the bottom of the matter and pointing the finger at the real culprits of this absurd climate created between the two clubs and more generally in the world of Italian football: themselves.

Because tell me what you want, but when on the eve of every Juve-Inter match we have to endure the umpteenth escalation of tones with Iuliano-Ronaldo, with the inevitable interview with the various Paolo Bonolis or with the whining of Simone Inzaghi on duty, it means wanting to scientifically exasperate tempers, moreover practically always in one direction.

Exasperate today, exasperate tomorrow, those who already have a tendency to be easily carried away by the aizzapopolo in any field of life will end up preparing for a simple football match as if they were going to the front.

And you want to point out to them that episodes happen on both sides, although only a few are selectively recalled, and that in the last period (including, for example, the obvious foul by Dumfries on Kostic last night, just before Brener's unfortunate hand touch) if there is anyone who can complain, they are certainly not based in Milan, by now the meaning assigned to the event will forever be only one, that of a sort of holy war against professional cheaters.

On the other hand, an environment evidently exasperated by continuous attacks, now easily transcends in the 'basest' individuals into something that goes far beyond football, such as vile racist insults, and self-fuels its rancour also thanks to the prompt (sacrosanct) stigmatisation of all institutions. Which, however, never happens when the fans of the Spezia take it out on the origins of Serbian players, nor when the curve of the Roma shamelessly apostrophises an opposing coach, but is ready to act against a small group of imbeciles in one stadium.

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And refusing to believe that even racism, like refereeing controversies, should be interpreted as a one-way street, admitted or in any case hastily forgotten if some do it, strongly criticised (as it should always be) if it falls to others, perhaps we should stop, take a deep breath, and begin to understand that we are talking about football, not a war.

Those who are now increasingly identified as the target of their frustrations are sometimes also neighbours, friends or even relatives, or very often other very respectable people, who simply chose a different flag as children. Or do we want to fill our mouths with various tolerances, but then reason 'out of hate' in the face of football?

Because, gentlemen, at this rate, with this exasperation of tone and with this constant search for controversy and quarrel by four preachers who need to sell one more copy, we are destroying not only what was once family entertainment, but also one of the country's most prosperous industries.

_{Image by frimufilms on Freepik - Free to use}

Winning has become a matter of life and death, no matter by what means, subterfuge, tricks or help from the powerful, and the stadium turned into a place ruled by racists and gangsters, who beat defenceless girls or fathers of families if they do not obey orders.

What was once bell-ringing and jeering has turned dangerously into hatred. You can see it in the statements of the magistrates, who open dossiers with no suspects and no hypothesis of crime just to keep on attacking a club that they personally cannot stand, in the statements of a UEFA president, who in the face of his role as guarantor, for mere personal business, confesses to being the instigator of the enquiries that are sinking two clubs, without neglecting to veiledly threaten the third, and lately also in the faces of the players, who instead of shaking hands, punch each other at the end of the match, framing the other not as a sporting rival, but as a soldier of the opposite front.

But in wars, history teaches us, somehow even the victors lose. Let us therefore prepare ourselves, sooner or later, to arrive at 'counting the dead': now touch the anatomical parts or the metals you prefer, but a ball on an inclined plane, no matter how imperceptible the axis of inclination, starts to move faster and faster and only stops rolling when it falls to the ground.

The report cards at this point, as well as the discussion on the match itself, which would also have been beautiful and balanced in its own way, seem useless to me.

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