Kappa mi guardava, seduto ai piedi del mio letto. Non aveva avuto il coraggio di svegliarmi perchè, al contrario di ciò che si possa pensare, anche gli alieni possono essere timidi.
Aprii gli occhi e la sua faccia fu la prima cosa che notai, dopo l'ora impressa a numeri verdi sulla sveglia. Pensai di stare ancora sognando, fin quando non mosse leggermente la mano in segno di saluto.

Mi tirai su di scatto con il cuore in gola, ma KG21 mi rassicurò subito sulle sue intenzioni pacifiche scuotendo il capo e le mani con un sorriso rassicurante. La sua testa era un po' allungata e i suoi occhi verdi un po' troppo grandi per nascondere la sua natura aliena.

- Per favore non avere paura. Mi chiamo KG11, anche se il mio nome in realtà contiene altri 175 caratteri alfanumerici. L'ho accorciato perchè sia comprensibile al cercello di voi terrestri...

Lo guardavo esterrefatto e l'unica cosa che mi venne in mente di fare fu quella di tirarmi uno schiaffo per provare a me stesso di non stare ancora sognando. Non riuscii a dosare la forza e l'urletto di dolore che ne scaturì divertì parecchio il mio ospite.

- Tu... Tu... Sei un...

bisbigliai sottovoce per non farmi udire dai vicini, e lui completò la frase.

- Un alieno? Si, diciamo che dal tuo punto di vista mi si può definire così, anche se preferisco non appiccicare etichette addosso alle persone. Chiamami pure KG11 o anche solo Kappa, dato che so che da voi si usa molto abbreviare i nomi.

Deglutiii aspettandomi il peggio, ma Kappa aveva qualcosa nella voce che lentamente stava iniziando a tranquillizzarmi. Parlava un ottimo italiano e una volta ancora mi sentii un vero asino a non aver ancora imparato l'inglese quando un alieno era riuscito addirittura ad imparare la mia lingua.

- Non preoccuparti, non sono qui per rapirti, mangiarti o altre cose strane che le vostre scatole quadrate vi infilano nel cervello su di noi abitanti di altri mondi. Il mio viaggio sulla terra, tra l'altro fatto di nascosto dai miei genitori, è semplicemente dovuto ad una ricerca scolastica.

Ero sempre più confuso, ma tacqui in attesa che Kappa continuasse la sua strana spiegazione.

- Vedi, in questo momento a scuola stiamo studiando la civiltà terrestre. Nella lezione della scorsa settimana l'insegnante ci ha spiegato uno strano fenomeno, chiamato calcio. Ci ha detto che i terrestri, più o meno ad ogni latitudine, sono soliti praticare questa specie di gioco, ma anche guardare altri che lo praticano con grande trasporto emotivo, fino ad arrivare a litigare tra di loro. Ho trovato un po' di informazioni in giro, ma sebbene ci sia proibito viaggiare sulla terra prima dei 720 anni ho deciso di recarmi qui per capirne di più.

- E perchè avresti scelto me, di grazia? domandai a Kappa, ora più incurisito che spaventato.

Il mio ospite ed io ci fissammo per qualche istante, poi lui scoppiò in una risata silenziosa.

- Come sarebbe perchè ho scelto te? Tu sei l'abitante della terra col più alto tasso di coinvolgimento da questo sport, secondo i calcoli della mia intelligenza artificiale portatile. Dai dati in mio possesso non solo hai giocato a calcio, anche con discreti risultati quando eri più giovane, ma hai anche scritto un libro a tema calcistico, oltre ad aver gioito ed esserti disperato per la tua squadra del cuore. Chi altri avrei dovuto scegliere?

Kappa venne avvertito da una sorta di fischietto allacciato ad una collana che il suo avatar, rimasto sul suo pianeta al posto suo, stava per entrare nel campo magnetico dei genitori, e con un rapido cenno della mano mi salutò, prima di darmi appuntamento nel pomeriggio.

Lo aspettai presso il campetto in erba sintetica del mio quartiere, proprio dove alcuni ragazzi, tutti i pomeriggi, si sfidavano nelle partite dei campionati minori. Apparve all'improvviso alle mie spalle, mimetizzato in vestiti terrestri e con la testa allungata nascosta il più possibile in un lungo cappello.

- Quindi è questo il calcio?
mi chiese ancora prima che avessi la possibilità di salutarlo, - Sinceramente non capisco il vostro entusiasmo. E quale sarebbe poi lo scopo di questo gioco?

Gli rivolsi un'occhiata non proprio amichevole, poi mi armai di pazienza e cominciai la spiegazione:

- Lo scopo del gioco è molto semplice: far terminare la palla, quella specie di sfera che vedi rotolare sul prato, dentro la porta con la rete attorno degli avversari una volta in più di loro. Si possono usare solo i piedi, l'unico giocatore che può servirsi delle mani è quello che vedi a difesa della porta, chiamato portiere.

In quel momento la palla terminò in fallo laterale e un giocatore della squadra in maglia gialla battè la rimessa con le mani.

- Anche questo ha toccato la palla con le mani... obiettò Kappa guardandomi come fa un bambino quando si accorge delle piccole bugie dei genitori.

Sorrisi pensando alla complessità del regolamento del calcio e di quanto fosse difficile spiegarlo tutto ad una persona completamente a digiuno:

- L'uso delle mani è previsto anche quando la palla va fuori dal campo, ovvero oltre la linea bianca che lo delimita ai due lati lunghi. In quel caso si riprende il gioco ributtando la palla in campo con le mani.

- E perchè? - fece Kappa piuttosto stupito, _ - Se si gioca con i piedi perchè se la palla esce si riprende con le mani?

La sua osservazione era tutto sommato pertinente. L'arbitrò fischiò un fallo e Kappa si girò spaventato, confondendo il suono con quello che lo richiamava a casa.

- Quello che vedi con il fischietto, vestito in modo diverso da tutti, è l'arbitro. E' la persona predisposta a garantire sulla regolarità del gioco, che interrompe se qualche giocatore si comporta in maniera scorretta o viola in qualche modo il regolamento.

- So cos'è un arbitro, rispose l'alieno, - Ti sembrerà strano ma anche sul nostro pianeta esistono giochi e arbitri...

Risi della sua battuta, proprio mentre l'arbitro stava ammonendo il responsabile del fallo della squadra in maglia blu. Il mio amico alieno si accorse del cartellino giallo, rimanendo ancora una volta stupito dalla scena.

- Ma che fa con quel cartone giallo? Lo sta invitando a passare nell'altra squadra?

Risi ancora con più gusto e lui, dopo un primo momento di sbigottimento, mi imitò con la sua espressione divertita silenziosa. Assistemmo al resto della partita distrattamente, fin quando alla squadra gialla venne assegnato un rigore. Spiegai a Kappa la regola del fallo nell'area di rigore e contrariamente a quanto mi sarei aspettato di vedere lo notai emozionarsi al momento del goal.

I compagni corsero ad abbracciare il giocatore che aveva segnato il rigore, e la scena divenne magnetica anche per Kappa.
Lo osservai un attimo in silenzio, poi gli domandai:

- Hai capito adesso che cos'è il calcio?

- Si, le regole sono un po' complicate ma in fondo il significato del gioco...

- Non sto parlando delle regole, ma di quello che il calcio rappresenta per le persone, lo interruppi bonariamente.

MI guardò senza parlare, ma intuii che stava iniziando a capire.

- Che tu giochi o che stia assistendo alla partita della tua squadra del cuore è lo stesso. Questo sport è in grado di creare una fratellanza e uno spirito di appartenenza ad un gruppo più forte di qualsiasi altra cosa. Non si vince e non si perde da soli, ma si condividono gioie e dolori con gli altri, che più che compagni di squadra o colleghi di tifo diventano
come fratelli.

Non feci in tempo a finire la frase che Kappa si stava unendo ai tifosi della squadra gialla, per incitare i giocatori di quella che era diventata la sua nuova famiglia. Sorrisi e mi sedetti in tribuna, pensando come il calcio avesse conquistato un altro cuore.

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