Una mattina di gennaio.

in #fotostoria6 years ago

Una signora “perbene”, è così che la definivano tutti. Una brava persona, senza dubbio alcuno.

Un po’ scorbutica, solitaria, schietta e sarcastica, ma senza dubbio una signora "perbene"

Capelli sempre ordinati e pettinati, biondo platino nonostante gli 80 anni egregiamente portati. Non aveva mai accettato di vedersi allo specchio con la chioma candida a incorniciare il volto in cui le rughe erano sempre più numerose, ma sempre clementi. Dimostrava 10 anni di meno.

Contro quelle non si poteva far nulla, è l’età che avanza, il corso della vita, il prezzo da pagare, mettiamola come volete. Ma almeno sui capelli, poteva intervenire.

E così era stata una delle prime signore del palazzo a farsi la tinta, negli anni ’60. Abitava in quell’edificio da una lunga sequela di decenni.Almeno swi. Sei decenni, 60 anni. Come corre veloce il tempo, davvero.

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Quando si trasferì in quella bella casa grande, con 4 bambini piccoli, un pastore tedesco e un marito a cui badare, era giovane, forte, già disillusa. L’unica donna di casa contro 5 uomini e un cane, maschio ovviamente. Un piccolo esercito a cui badare.

La mamma e le sorelle abitavano all’altro capo del paese, che si stava ingrandendo sempre di più. Salvo qualche saltuaria visita mensile, si era ritrovata sola a battagliare con la “sua” famiglia.

Poi i bambini erano cresciuti, la vita li aveva fatti seguire le proprie strade.

Ci pensava quella mattina di gennaio. Agli anni che corrono, al tempo che fugge, alla vita che nonostante tutto scivola via lentamente. Giornate lente, le sue. La sua routine quotidiana sempre uguale, con poche variazioni, da quando è rimasta a essere l’unica coinquilina di se stessa.

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La sveglia all’alba, in quello stanzone grande e dai soffitti alti in cui dormivano i ragazzi, quando vivevano lì.

Il suo letto era quello addossato alla parete, accanto alla finestra. Sul comodino, “la settimana enigmistica” quasi finita. Era durata a malapena 3 giorni.
Va in cucina, attraversando in vestaglia le due stanze che conducono al piccolo ingresso e poi al cucinino. Prepara il caffè, mette la moka sul fuoco e attende. Nell’attesa va nel bagnetto ricavato in una parte del cucinino, quando il palazzo fu restaurato agli inizi del ‘900.
Si lava il viso con acqua gelata. Respira. Si sente viva. Si guarda nello specchio, il viso ancora gocciolante di acqua e si fissa negli occhi.
“E ari-buongiorno”, si saluta.

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L’asciugamano di lino ricamato con le sue iniziali pende dal filo di plastica teso da un lato all’altro del piccolo bagno. Un regalo di Natale della nuora, risale a tanti anni prima.

Si asciuga il viso e le mani e ripensa alle bambine, che in quel bagno si chiudevano per delle ore, per giocare alla lavandaia con le bacinelle nella vasca da bagno o al parrucchiere. Bambine che ora hanno quasi 30 anni. Ma per lei saranno sempre bambine. Alcune timide e schive, altre esuberanti e prepotenti, allegre e divertenti. Ah, come le riempivano la vita, anni fa. Come le mancano, costantemente. Come un ricordo appartenuto a qualcun altro. A volte, dubita persino che siano esistite, se non nella sua fantasia.

Il rumore del caffè che bussa contro il coperchietto della moka la distoglie dai suoi pensieri. Mette i rituali due cucchiaini di zucchero nella moka da 4, gira per farlo sciogliere, lo versa nella tazzina bianca a fiorellini azzurro cielo. Sorseggia lentamente il caffè bollente, immersa nel silenzio del mattino, la finestra aperta a far cambiare l’aria viziata della notte.
La giornata può cominciare.

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Finisce in 10 minuti il cruciverba iniziato la sera prima, si lava e si veste, si sistema i capelli. Oggi è martedì, domani viene Luigi per la tinta. Luigi è il parrucchiere che da anni le ravviva il colore della chioma.

Controlla di averlo segnato nel calendario appeso accanto al frigo. Guarda l’orologio. Tra poco arriva Olimpia, la vicina che l’aiuta con le pulizie domestiche e la intrattiene per un paio d’ore la mattina, con le novità del quartiere e qualche commento sull’attualità e la politica.

Qualche malaparola corale quando esce nei notiziari in tv uno di quei “buffoni candidati alle prossime politiche” e decidono di cambiare canale.

Su Rai2, da anni Magalli le fa compagnie durante quelle mattinate tutte uguali. Magalli e ultimamente anche la bionda lì, la Clerici. Le piace vedere cosa cucinano di buono, anche se poi per sé prepara sempre il solito. Oggi il menù prevede ragù. Inizia a farlo cuocere poco dopo l’arrivo di Olimpia, così sarà pronto per le 14.

“Signò, dovreste vedere com’è cresciuto ‘o criaturo di mia figlia. Tiene già 6 anni, ma ci pensate? Come passa il tempo! A proposito di tempo, non sembra nemmeno gennaio, fa un caldo oggi! Sembra primavera. Ma posso permettermi? Ma perché uno di questi giorni non ve ne venite con me al mercato? Io ve lo dico perché vi vedo, state bene, siete un fiore è proprio un peccato che state sempre chiusa qua dentro! Uscire un po’ che male può farvi?”

“Iamm Olì, stai sempre a dire le stesse cose. Te l’ho detto e ridetto, non è cosa. Non ce la faccio a salire e scendere queste rampe di scale. E poi, che esco a fare? Per vedere chi? Per andare dove? No, no. Sto bene accussì!”

“Vabbuò! Lo so, lo so che è inutile insistere, ma non si sa mai nella vita, o no? Io intanto ve lo dico, magari vi metto la pulce nell’orecchio! Ma questa pezza la posso buttare? è inservibile ormai, domani ne porto una nuova”.

Dopo le solite due ore di discorsi triti e ritriti la compagnia si ritira. Rimane da sola a godersi il pranzo, guardando il tg. Solo cattive notizie e negatività in questo mondo. Che senso ha?

Si può migliorare? Non lo sa.

Continua a pensarci mentre va a coricarsi per la pennichella pomeridiana.
Dopo qualche ora si sveglia, si trasferisce in poltrona, accende la tv e sfoglia la rivista abituale che compra ogni settimana. Mangia un po’ di frutta, un pezzetto di formaggio e si appisola.

è tardi, è buio. Si mette a letto. Mentre inizia un nuovo cruciverba, i ricordi scorrono veloci. I rimpianti affiorano pungendo la pelle, pizzicando le gote.

Non esce di casa da 10 anni.

Da quando ha avuto quella brutta operazione all’anca, scendere e salire le due alte rampe di scale che portano al suo appartamento le fa fatica. Prima mentalmente e poi fisicamente. è stata una scelta dettata dalla rabbia, dalla capatosta, dalla superbia e dall’orgoglio. Anche quando avrebbe potuto uscire di nuovo, ha deciso di non farlo. Perché? Ripensandoci ora, non lo sa più.

Pensava fosse per far un dispetto ai figli, all’inizio. Ai figli che andavano in giro per il mondo lasciandola dietro, sempre un po’ di più. Pensava fosse per rispetto verso se stessa, per regalarsi il riposo che tanto si era meritato. Pensava fosse la cosa più giusta non sforzarsi di fare cose che non sentiva di essere in grado di fare.

Pensava fosse per far sentire un po’ in colpa le bambine che ormai erano donne e lontane da lei la chiamavano solo ogni tanto, ormai.

Una di loro, la sua preferita, da poco era andata ad abitare lì vicino, con il marito e i figli piccoli.
Ma non aveva funzionato, le telefonate e le visite si erano diradate, fino a sparire. Perché assieme all’atteggiamento di sfida aveva anche iniziato a dimenticarsi di essere se stessa.

Si era trincerata dietro un ruolo e, testarda e orgogliosa come era, ammettere di stare sbagliando, di avere sbagliato non era contemplabile.

Ma ora, vuoi per la saggezza dell’età, vuoi per le molle tese dalla solitudine, contemplava la possibilità di avere sbagliato.
Ricorda quella sensazione, questo senso di inadeguatezza alla vita che la coglie ancora nelle notti insonni.

"Il tempo passa, e io aspetto sempre che passi questa condizione. Poi mi ritrovo punto e daccapo. Con tante delusioni, poche certezze e tanta voglia di essere una persona diversa. Sono diversa, lo so. Vorrei solo non sentirmi così vuota dentro, così in cerca di qualcosa che però non riesco a trovare. Vorrei avere quel qualcosa dentro che mi faccia sentire serena, tranquilla, felice, appagata.Vorrei, ma so che è difficile esaudire tutti i propri vorrei. Mi basterebbe essere meno sola, e tutto andrebbe meglio.”

Tutto parte da un atto di consapevolezza. Ammettere di avere sbagliato e che c’è qualcosa che si può fare per rimediare è il primo passo verso una condizione migliore. Verso quel desiderio da realizzare il cui unico freno è soltanto la propria testa.

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Quella notte di gennaio, qualcosa scatta nella sua coscienza, nei suoi pensieri, una risolutezza incanalata verso un nuovo, inedito, strabiliante proposito.

Se si può migliorare la propria vita partendo dalle piccole cose, lei avrebbe fatto qualcosa di piccolo, di ordinario, di normale, ma in grado almeno in potenza, di eliminare la polvere dai ricordi e ridar loro nuova luce.
Avrebbe creato nuovi ricordi, per se e per gli altri.

Il mattino dopo si sveglia più tardi del solito. Ha fatto dei bei sogni.

Va in cucina, prepara il caffè, va in bagno. Beve il caffè, fa il cruciverba, si veste. Stavolta con cura, scegliendo abiti che non indossa da tanto.

Una gonna al polpaccio di lana grigio scuro, elegantissima, che le ha regalato la sua bambina anni prima. Il maglione di cachemire,quello delle grandi occasioni. Sistema abilmente i capelli in una crocchia ben pettinata. Telefona Luigi e rimanda l’appuntamento all’indomani.

Oggi ha di meglio da fare. Deve chiedere scusa. E dire grazie. Grazie per la pazienza, per i consigli, per aver acceso la luce nei pensieri tristi di una vecchia incazzata con il mondo.

Va all’ingresso, controlla l’ora sul cucù di legno fissato alla parete dietro la porta blindata.
Apre l’armadio, indossa le scarpe e prende il cappotto. Un cappotto che non indossa da anni.
Prende la borsa di pelle nera, le chiavi di casa, l’ombrello (che sta quasi per piovere ma questo non la fermerà), indossa il coraggio e butta via l’orgoglio.

Ci siamo. Dopo 10 anni, mette il naso sul pianerottolo dalle pareti giallo crema.

Inizia la discesa della prima rampa di scale. Silenzio. Solo i suoi passi che lentamente e appoggiandosi all’ombrello toccano il marmo dei gradini.
Un passerotto si alza in volo mentre passa davanti alla grande finestra del pianerottolo.
Arriva alla seconda rampa di scale, si appoggia al corrimano e continua a scendere.
Arriva fino in fondo.
Sta per varcare la soglia del palazzo.

In quel momento, Olimpia apre la porta di casa sua, al piano terra, reggendo un secchio e un pacco di strofinacci in microfibra nuovi di zecca.
La vede. Non ci crede. Non può essere.

Si porta le mani al viso, fa cadere dalle mani gli oggetti ed esclama: “Ummaronn, non ci posso credere, è un miracolo! Vi siete convinta, signò! E mo ven’ a chiovere!”

La signora, mento in fuori, fronte alta e convinta, con un accenno di sorriso le risponde: “Eh sì Olì, ho deciso di andare a trovare la bambina qua vicino. Le faccio una sorpresa. E lo so che viene a fa’ un diluvio universale, per questo mi sono attrezzata!” e sorridente e ammiccante, indica l’ombrello che ha in mano.

“Ci vediamo più tardi, Olì! Ho qualche decennio di vita da recuperare. Ah, e, Olimpia, grazie”.

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Che bella storia 😊

grazie :)

A te ❤️ È stato un ottimo spunto per proporre una storia che in parte era nata già da un po’ 😊

Che bello❤️

che bel post, complimenti :D

grazie nick! :D

Il finale mi ha quasi commosso..

Mi son fatto un giro a leggere i racconti degli altri e mi sto chiedendo che problema ho io =) Scherzi a parte mi è piaciuta l'atmosfera che hai creato, alcune dinamiche mi hanno ricordato la mia di nonna )(

invece molto divertente il tuo racconto, un po' grottesco andante :D
Grazie per le osservazioni, e per i ricordi delle nonne che saltano fuori qua e là :)

La tua storia mi è piaciuta un bel po' 😊

the winner 😜

brava. brava. brava.

Ummaron hahaha mi hai proprio delineato perfettamente la scena 😁. Bel racconto.

La prima battuta che mi è venuta in mente guardandk la foto! 😆

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