Discovery Scienza Presenta: Il dolore

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Discovery-it Scienza


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12/11/2018 | a cura della redazione Scienze di @discovery-it

Il dolore


Il dolore. Già il dolore, in quante facce si manifesta questo stato di sofferenza umana che ci accompagna per tutta la nostra esistenza.
Fisico, mentale, dell'anima o in altre forme su cui ci si imbatte, nostro malgrado.
Dall'IASP, associazione internazionale per lo studio del dolore, viene definito come “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva che viene associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale”.
Esistono diverse scale per la misurazione del dolore ovvero unidimensionali e multidimensionali.
Le scale unidimensionali si limitano a misurare esclusivamente l'intensità del dolore percepita, mente quelle multidimensionali prendono in considerazione tutte le altre dimensioni come quella sensoriale-discriminativa, cognitiva-valutativa e motivazionale.
Il dolore quindi può essere inteso come allarme che ci catapulta in una condizione di malattia più o meno lieve che può diventare patologico quando, cessando i sintomi iniziali, protraendosi nel tempo, la patologia diventa essa stessa malattia.
Questo, in estrema sintesi nel campo medico. Ma esistono altre forme in cui si manifesta il dolore, dove non c'è una percezione immediata di sofferenza ma che si esprime attraverso la sfera esistenziale o dell'anima.
L' aspetto del dolore esistenziale, e quindi non fisico, coinvolge il mal di vivere, perché avvolti da un senso di solitudine, di non comprendere il senso ed il ruolo della propria esistenza, il senso di impotenza di fronte alla convinzione che non ci può essere risoluzione a problemi propri dove spesso si consumano più o meno grandi tragedie silenziose o sociali, città non più a misura d'uomo dove è forte l'indifferenza verso chi è debole e dove prevalgono forme di egoismo.
Il dolore è anche una condizione di privazione della propria e dell'altrui libertà. Ce ne parla, tra i tanti sommi poeti, Francesco Petrarca nel “Canzoniere” dove in “Italia mia, benchè il parlar sia indarno”, esprime il suo dolore per le sofferenze degli italiani ed esorta i signori a liberare la Patria comune dalla tirannia degli eserciti mercenari stranieri.
E, parlando delle diverse espressioni del dolore, come non menzionare l’Urlo di Edvard Munch che nella sua efficace rappresentazione ci parla della sofferenza dell'umanità nel secolo scorso.
Nella tela, un paesaggio deformato da linee curve irreali e da forti colori contrastanti, si percepisce un senso di angoscia e solitudine di un uomo deformato che sente l'enorme peso dello smarrimento esistenziale.



La Fibromialgia e “il dolore che non si vede”

Nonostante i tanti passi avanti della medicina e della ricerca, ci sono ancora malattie le cui cause e cura rimangono poco note, tra queste si annovera appunto la Fibromialgia. La letteratura medica ne parla, in realtà, già dal 17° secolo ma solo alla fine del '900 ha raggiunto una sua legittimità di malattia. Addirittura fino a poco tempo fa alcuni medici ne negavano l'esistenza.
Colpisce soprattutto donne giovani e di mezza età ma può presentarsi più raramente anche in uomini e in qualsiasi età anagrafica.
La caratteristica di questa malattia è un dolore cronico che può caratterizzare qualsiasi parte del corpo e che, insieme ad altri sintomi, limita fortemente la quotidianità della persona che ne soffre. Le altre manifestazioni includono: indolenzimento generale, stanchezza, sonno disturbato, ansia e depressione.
Per molto tempo è stata considerata dai medici solo come un disturbo psicologico, a causa dell'assenza di obiettività fisiche e diagnostiche rilevabili e, per alcuni, non era nemmeno considerabile una “malattia”. In effetti solo recentemente sono state confermate come attendibili alcune ipotesi rispetto all'eziopatogenesi, e ancora adesso rimane caratterizzata da innumerevoli dubbi eziologici e terapeutici.
Inoltre, la comorbilità con altri disturbi, come ipotiroidismo, artrite reumatoide, lupus o altri disordini autoimmuni, ansia e depressione, sindrome dell'intestino irritabile, rende ancora più difficile l’inquadramento in una specialità medica ben precisa, facendo sì che le persone che ne soffrono finiscano per rivolgersi a plurimi specialisti senza poi comunque risolvere definitivamente o in modo soddisfacente il loro problema 1.
L'esatta causa, dunque, non è completamente conosciuta, tuttavia diversi studi ne hanno confermato la natura neurofisiologica permettendo di annoverarla tra i disturbi della sensibilità del sistema nervoso centrale; ciò che è stato riscontrato infatti è un’alterazione nei processi cerebrali coinvolti nella percezione del dolore. Tale ipotesi ha ricevuto delle conferme da studi di neuroimaging in cui è stata evidenziata un'ipersensibilità agli stimoli dolorosi rispetto ai controlli sani. Un altro meccanismo preso in considerazione riguarda il coinvolgimento del sistema immunitario, in particolare l'iperattivazione delle cellule della microglia presenti a livello cerebrale e conseguentemente delle citochine infiammatorie 2.
Non bisogna dimenticare inoltre la verosimile componente genetica che determina una predisposizione a sviluppare tale malattia e la compartecipazione alla eziopatogenesi di altri fattori come pregressi traumi fisici e psichici.
A partire dal 1990 sono stati definiti, dall'American College of Rheumatology, dei criteri diagnostici ben precisi che hanno ricevuto revisioni nel corso degli anni. I criteri attualmente riconosciuti risalgono al 2011 e sono:
-la dolorabilità alla digitopressione di specifici punti muscolo-scheletrici detti “tender-point” che sono in totale 19 e diffusi su tutto il corpo, valutati tramite una scala clinica.
-6 sintomi riferiti dal paziente quali: sonno disturbato, fatica, dolore addominale, cefalea, depressione e disturbi cognitivi. Anche a questi sintomi viene attribuito un punteggio tramite una scala. I punteggi ottenuti vengono infine sommati e, superato un certo cut-off, permettono la diagnosi di Fibromialgia ma sempre e solo dopo l'esclusione di altre patologie organiche 3.
Ma chi si occupa dunque di questo disturbo? In base a ciò che ci siamo detti, in prima posizione troviamo il reumatologo, seppur, a causa della grande varietà di disturbi presenti, possa arrivare all’attenzione anche di altri specialisti come gastroenterologi, neurologi, psichiatri e altri ancora.
Rimangono infine da chiarire le possibilità di cura che, purtroppo, non sono risolutive: ad oggi infatti non c'è una cura effettiva ma solo terapie che possono ridurre il dolore e migliorare la funzionalità quotidiana. Le terapie utilizzate attualmente sono sia farmacologiche che non e includono: un regime dietetico specifico, esercizio fisico, terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale, analgesici, agenti miorilassanti, ansiolitici, antidepressivi e anticonvulsivanti
4.
Concludo con una mia personale riflessione, ossia che non dovrebbe stupirci che una malattia caratterizzata da un sintomo complesso come il dolore rimanga ancora per certi aspetti poco conosciuta; pensando infatti alle mille sfaccettature che il dolore può assumere, dal fisico allo psichico, e al fatto che spesso possa “non vedersi”, possiamo anche spiegarci perché sia così difficile comprenderlo e curarlo.

Fonti:

  1. Fibromyalgia clinical presentation
  2. Fibromyalgia- etiopathogenesis
  3. Fibromyalgia criteria
  4. Fibromyalgia-therapy

a cura di @rosemery



La sindrome dell’arto fantasma

“Una delle più grandi opportunità della mia vita.” - Alex Zanardi [5]

Queste sono le parole che il Bolognese, pilota di automobili da corsa, pronuncia a seguito del terribile scontro al Lausitzring in Germania nel quale ha perso gli arti inferiori. Parole che risuonano nei nostri cuori, cariche di significato vedendo come un uomo abbia saputo reagire ad un evento talmente traumatico, riuscendo a fare del sacrificio e della forza d’animo la sua arma migliore. 8 ore 26 minuti e 6 secondi, il record di Zanardi all’Ironman di Cervia a Settembre, quinta prestazione assoluta tra i normodotati dopo avere affrontato 3.8 km a nuoto, 180 km in bicicletta e 42.1 km di corsa. [3] Non tutte le persone riescono a reagire con una forza esplosiva a seguito di un evento traumatico come l’amputazione ed è difficile indagare come il cervello si relazioni alla nuova situazione, riorganizzano i circuiti neurali. Per introdurre essenzialmente ciò che accade: la persona è in grado di percepire sia la presenza dell’arto mancante, con le sensazioni tattili e di posizione dello stesso, sia un dolore, di vario ordine di grandezza ma comunque debilitante, associato allo stesso arto.
Qual è allora il significato del dolore associato alla perdita di un arto? Negli ultimi anni è stato sempre più approfondito e ricercato il tema della terapia dello specchio negli amputati come terapia alla sindrome dell’arto fantasma, nota come Phantom Limb Pain (PLP) .
Il dolore fantasma (più comunemente noto in Italia come la “Sindrome dell’Arto Fantasma”) è definito, secondo Nature, Reviews Neuroscience, come un dolore in una parte del corpo che è stata o amputata o soggetta a deafferentazione, ossia a completa soppressione degli stimoli nervosi afferenti. [1] Viene caratterizzato come una malattia neurologica e si reputa origini da alterazioni nella regione periferica del moncone di riferimento.
Prima di parlare della patologia bisogna introdurre il concetto di propriocezione, che è diffuso come cinestesia, ossia la capacità di controllare posizione del corpo e movimento dello stesso, non vincolata alla vista degli arti. Sono infatti dei recettori chiamati propriocettori che acquisiscono l’informazione in entrata (stimolo) ed, attraverso il midollo spinale, più specificamente a livello delle corna dorsali, la comunicano ai centri cerebrali deputati all’elaborazione di informazioni su posizione e movimenti, come il tronco encefalico ed il cervelletto. [2]
La sindrome è stata accostata in passato ad una patologia di origine psichiatrica, tuttavia a seguito di numerosi studi a partire dagli anni Ottanta in poi si è associata alla malattia neurologica. Le teorie che si sono susseguite sono essenzialmente due, che si possono ripercorrere cronologicamente. L’ipotesi accreditata e dominante fino a pochi decenni fa è stata quella dell’irritazione delle terminazioni dei nervi, chiamate neuroni. Queste sono formazioni costituite a seguito di amputazione (neuromi da amputazione) dovute allo sviluppo di assoni non ricoperti da guaina mielinica (amielinici) con andamento aggrovigliato e consistenza di natura fibrosa. Il segnale elettrico in entrata, elaborato come spurio, è considerato l’elemento responsabile della percezione dell’arto amputato e del dolore percepito. A confutare questa ipotesi è però un dato statistico dalla grande forza: la rimozione chirurgica dei neuromi ed i trattamenti anestetici periferici, seppure abbia dimostrato eccellenti risultati nella riduzione del dolore [7], ha efficacia solo nella metà dei soggetti amputati. Inoltre il trattamento chirurgico può portare ad una scomparsa del dolore solo temporanea. [6]
Il primo parametro ad essere introdotto che ha portato ad una evoluzione della teoria è la “memoria del dolore”. Questa espressione si riferisce a come l’ultimo stato sensoriale prima dell’amputazione possa portare al mantenimento dello stato stesso a seguito della perdita dell’arto. È stata evidenziata una forte correlazione tra lo stato di paralisi o di dolore acuto del soggetto e la percezione da parte dell’individuo, con una sensazione molto più attenuata per soggetti che non hanno percepito dolore prima dell’evento traumatico. [1]
Il neuroscienziato Vilayanur Subramanian Ramachandran ha rivoluzionato sia la terapia che il ruolo della visione per la terapia stessa. Infatti egli sosteneva che la memoria (genetica) dell’organismo fosse quella di avere per tutta la vita i quattro arti. Le sensazioni sono imputabili quindi ad una riorganizzazione della corteccia somatosensoriale, nel giro postcentrale. Per dare dimostrazione di ciò, pazienti toccati in punti differenti del viso riportavano sensazioni diverse in punti differenti dell’arto mancante.[8]
La grande intuizione di Ramachandran è stata l’introduzione dell Mirror Box o Terapia dello Specchio nominata in precedenza. Tale metodo consiste nel posizionamento dell’arto intatto in una scatola con uno specchio riflettente: viene chiesto al paziente di muovere entrambi gli arti, e la visione dell’arto mancante in movimento porta all’elaborazione della completezza dello stesso con una attenuazione o addirittura scomparsa totale del dolore, nonostante la variabilità dei risultati della stessa sia molto importante ed il 40/50% dei pazienti non rifletta benefici a seguito.[9] L’aspetto più interessante è “l’inganno” nell’elaborazione delle informazioni visive dovuto proprio all’utilizzo dello specchio, a cui uno studio pubblicato nel 2017 dal NEJM ha fatto riferimento: la realtà aumentata può ridurre ulteriormente il dolore intrattabile nella PNP. [10]
Essendo una condizione dalle mille sfumatura, non si è arrivati ad una piena comprensione dei meccanismi patologici che portano al dolore né ad una terapia considerabile come golden standard univoco. Condizioni di stress o depressive possono accentuare le manifestazioni, così come la grande eterogeneità di casi e di esiti del trattamento portano ad una difficile raccolta e presentazione dei dati che abbiano un significato statistico o che indirizzino la ricerca. La medicina è quindi sempre più personale, ossia guarda il benessere ed i benefici del singolo individuo, con la necessità di adattarsi ad una continua evoluzione e rispondendo nel modo più efficace possibile ai segnali che il corpo manda.

Continua a farci correre sempre con te Alex!

Fonti:

  1. Phatom limb pain - Nature
  2. Enciclopedia Medica Treccani - Propriocezione
  3. Record Zanardi Ironman
  4. Mirror Therapy - Pubmed
  5. Citazione Zanardi
  6. Il duello dei neurochirurghi - Ramachandran
  7. Surgical Treatment of Phantom Limb
  8. Cortical Reorganization - San Diego University
  9. Mirror Data
  10. NEJM - Realtà aumentata
  11. A consulto: Fiorenzo Conti, Fisiologia Medica ed Anastasi, Anatomia Umana

a cura di @bafi



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