Discovery Arte&Storia Presenta: La peste in Europa

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14/11/2018 | a cura della redazione Arte&Storia di @Discovery-it

La peste in Europa


La peste fu vero e proprio flagello per l'umanità, nei secoli passati.
Fu una malattia pandemica che apparì in Europa durante l'alto medioevo protraendosi, con i suoi focolai, fino agli inizi del '700.
Durante l'impero di Giustiniano si ebbe la prima grande epidemia di peste, le scarse condizioni igenico-sanitarie ed il grande afflusso di merci, persone e animali lungo le rotte commerciali, che vedevano l'Italia e l'Europa al centro dei commerci, furono il principale vettore di diffusione della malattia.
Un esempio tra i più lampanti fu quello dei coloni Genovesi in Crimea che impauriti dal timore di venire contagiati, nel tentativo di fuggire alla peste, si spostarono in Italia portando il contagio fino alle coste messinesi. Dall'Italia il contagio si diffuse ben presto alla Francia e, dalla Francia, all'Inghilterra; questo fu il viaggio della peste in Europa, un viaggio che durò per circa vent'anni.
Vi fu, in seguito, un periodo di relativa tranquillità, che si interruppe all'inizio del quindicesimo secolo, quando fu di nuovo l'Italia il centro della diffusione della peste in Europa.
L'ultima epidemia di peste registrata vicino all'Europa risale al 1720, più precisamente in Siria.
Per portare dei dati statistici che permettano di fare dei confronti tra le conseguenze delle epidemie di peste in Europa e altre epidemie, basta ricordare che durante la pandemia di colera tra il 1899 e il 1923 vi furono circa 1.500.000 morti, mentre si calcolano in circa 100.000.000 i morti durante l'epidemia di peste all'epoca di Giustiniano e in 50.000.000 durante la cosiddetta "peste nera".
Oggi, grazie alla medicina e al progresso scientifico, riusciamo a controllare in modo molto più efficace le principali epidemie; durante la recente diffusione dell'Ebola in Africa occidentale si sono riscontrati 4.877 morti, numeri ben diversi da quelli che riscontrarono solo pochi deccenni prima durante la pandemia di colera nel 1961 che attualmente risulta essere ancora in corso seppur contenuta .



La Morte Nera

In Europa, tra il 1347 e il 1353, il batterio Yersinia Pestis causò la più grande epidemia della storia del vecchio continente. Si pensa che più di un terzo della popolazione europea venne sterminato dalla peste chiamata anche Grande Morte o Morte Nera.
Il termine “morte nera” viene dal Latino cioè atra mors dove per l’aggettivo ater è il significato di “atroce, oscuro” e nel medioevo venne chiamata “grande pestilenza”,
Si calcola che la peste mieté in Europa tra i 70 e i 100 milioni di vittime una pandemia se consideriamo che a quel tempo la popolazione era di circa 350/375 milioni.
Secondo una recente ricerca condotta dall’archeologa Carenza Lewis, dell’Università di Lincoln, la Grande Morte potrebbe aver causato la scomparsa della metà degli abitanti europei.
Lo studio si è basato su oltre 2000 scavi stratigrafici su cocci di uso domestico, i più attendibili per questo tipo di ricerca, ben identificabili per colore, effettuati in zone della Gran Bretagna abitate ai tempi dell’epidemia, l’analisi dei resti del vasellame di uso domestico, presente negli strati superiori, nei decenni successivi al passaggio della peste nera, ha dato una presenza degli stessi reperti inferiore al 50% in alcuni casi al 85%, senza contare i villaggi scomparsi in seguito al passaggio dell’epidemia. Se questa indagine risultasse corretta potrebbe dimostrare che il numero di morti sia notevolmente superiore a quanto stimato fino ad ora. [1]
Il nome che venne coniato al quel tempo fu di peste bubbonica dovuto a un’infiammazione e conseguente rigonfiamento doloroso dei linfonodi, per l’appunto bubboni che assumevano un coloro nerastro e ripugnante.
La peste bubbonica fu lo spartiacque della storia dell’Europa, distruggendo per sempre intere città e stravolgendo il sistema economico e sociale del continente. L’uomo medievale si convinse sempre di più che fosse una maledizione di Dio piovuta sulla Terra, a punizione dei peccati, e anche il papa Clemente VI e altri personaggi dell’ecclesia, organizzarono dei pellegrinaggi e preghiere collettive, non facendo altro che aumentare velocemente il diffondersi del batterio.
Un gruppo di ricercatori è giunto ad una conclusione che potrebbe far riscrivere la storia. Non sono stati i ratti neri il veicolo di diffusione del contagio della peste, ma una sottofamiglia di roditori chiamati gerbilli presenti in quasi tutta l’Africa, Medio Oriente, Penisola Arabica, in Asia centrale, Cina centro-settentrionale e India occidentale. La diffusione sarebbe avvenuta attraverso la via della seta, favorita dalle scarsissime condizioni igieniche delle città e dalle carestie, fattori di crisi alimentate e incrementate dall’ondata di freddo nel continente europeo.
In quell’epoca il clima in Asia era estremamente favorevole al proliferarsi dei batteri nei gerbilli e pulci, estati calde e torride alternate ad inverni piovosi ne favorirono lo sviluppo dall’oriente e di conseguenza continue esportazioni di gerbilli in Europa che avvenivano in navi mercantili. Quindi la malattia si presentava ad ondate nel vecchio continente, attraverso scambi e rotte commerciali, un continuo reimportare della Yersinia pestis lungo la Via della Seta.
Ciò spiega perché la peste è rimasta per oltre quattro secoli nel continente europeo, e i continui scambi commerciali con l’oriente ne hanno globalizzato la malattia, rinnovandola in continuazione, tesi alternativa a quella sostenuta fino al 2015, e cioè che serbatoi di ratti presenti in Europa contribuissero alla diffusione del contagio e per tale motivo avesse persistito per così lungo tempo.
Da parte del team di Nils Christian Stenseth sono in corso le analisi del DNA dei batteri della peste prelevati da apparati scheletrici di varie datazioni in tutta Europa e se nel materiale genetico dovesse risultare una certa variabilità, sarebbero dimostrate le differenze da un ceppo “serbato” appartenente solo ai ratti europei ed aprire un ben più ampio scenario in cui sarebbero coinvolti i gerbilli asiatici, e la proliferazione delle pulci, favoriti dal clima particolarmente idoneo in oriente.
Lo studio avrebbe importanti sviluppi per debellare quei centinaia di casi di focolai, in parte mortali, che ancora oggi sono presenti nel mondo.

Fonti:

  1. NilsChristian.Stenseth
  2. Human ectoparasites and the spread of plague in Europe during the Second Pandemic
  3. Boris V. Schmid, Ulf Büntgen, W. Ryan Easterday, Christian Ginzler, Lars Walløe, Barbara Bramanti, Nils Chr. Stenseth
  4. Norman Cantor

a cura di @armandosodano



La peste del 1630 a Prato

Tutti ricordano la peste narrata dal Manzoni nei Promessi Sposi: gli untori, il lazzaretto, la morte di Don Rodrigo, i monatti. Ma la peste viaggiò per l'Italia e, fra le tante città, raggiunse anche Prato.
Nella città Toscana, il morbo fece "solo" 1500 morti, un quarto della popolazione, e fu documentata da uno degli ufficiali sanitari - Cristofano di Giulio Ceffini - che scrisse un Libro della Sanità.
Carlo M. Cipolla, uno dei massimi storici italiani, ha ripreso questo scritto in un celebre libro, Cristofano e la peste, in cui ripercorre i due anni dell'epidemia e tutte le misure adottate per contenerla.

Prima di iniziare la narrazione ripassiamo insieme l'eziologia della peste bubbonica.
Il batterio da cui è causata è ospitato dalle pulci di alcuni animali: roditori, ratti, scoiattoli, gatti. Quando l'epidemia diventa letale per gli animali, i batteri cercano nuovi ospiti e contagiano gli esseri umani.
La forma di peste che interessa a noi è quella definita bubbonica a causa della comparsa, per l'appunto, di bubboni in corrispondenza della morsicatura della pulce e dell'ingrossamento delle ghiandole linfatiche. L'incubazione dura da 2 a 6 giorni. Non è contagiosa, ma se non viene trattata può degenerare nella forma polmonare e setticemica.

Purtroppo nel 1600 non si aveva nessuna idea precisa di come funzionasse la trasmissione della peste e tanto meno c'erano cure a disposizione.
L'unica misura preventiva conosciuta era il cordone sanitario, che significava bloccare fisicamente l'accesso delle persone e delle merci provenienti da zone infette.
Quando si diffuse la notizia che c'era la peste a Milano, il Gran Ducato di Toscana immediatamente chiese a Prato di mettere in atto le azioni di contenimento.

A Prato le primi morti sospette si ebbero verso la fine dell'estate del 1630, ma all'inizio i medici non erano sicuri delle cause dei decessi e attesero a segnalare la presenza della malattia. Quando però morì l'infermiere che si era occupato dei malati, non si poté più tacere. Nonostante le precise indicazioni sanitarie giunte da Firenze, il morbo dilagò presto in tutta la città. Perché tanta reticenza? Perché ammettere la presenza della peste decretava l'arresto dei commerci e metteva tutto il territorio in seria difficoltà economica.

Come sosteneva un medico siciliano l'unica cura a questo punto erano: oro, forca e fuoco.
L'oro per sostenere le spese, la forca per imporre le regole sanitarie, il fuoco per bruciare gli oggetti infetti.
Le misure adottate da Cristofano non furono molto distanti da questa impostazione. Innanzitutto la quarantena: la casa dell'appestato, con dentro tutta quanta la famiglia al completo, era murata e lasciata chiusa per 22 giorni. Quindi la segregazione degli infetti nei lazzaretti e nelle case per la convalescenza con sanzioni severe contro chi infrangeva questa regola. Infine rogo dei vestiti e dei letti degli ammalati.

Ora, come sempre nelle cose umane, ci furono risvolti tragicomici nell'applicazione di questo protocollo.
Partiamo dal lazzaretto. In città c'erano due ospedali, che all'epoca però erano più degli ospizi che dei veri e propri luoghi di cura. Dopo una valutazione degli spazi, della posizione, si decise - non senza un lungo braccio di ferro - di collocare il lazzaretto nel convento di Sant'Anna e i frati vennero momentaneamente sloggiati. Ancora più complessa fu la scelta della casa per la convalescenza. Diciamo, per riassumere, che non mancarono le dispute, le petizioni, le scuse, le denunce, le richieste di privilegi.
La segregazione poi fu molto lacunosa: da un lato si cercava di emarginare la gente contagiata dall'altro non si potevano vietare processioni, veglie e messe per implorare la fine della pestilenza. Gli ammalati rifiutavano la reclusione nel lazzaretto e, se erano di un ceto superiore, spesso riuscivano a rimanere in casa propria a curarsi o a morire.
D'altro canto però c'era chi approfittava della quarantena per ricevere il vitto gratis: una delle prime disposizioni di Cristofano fu far smurare alcune case che erano rimaste chiuse per ben più di 22 giorni e rifare la conta dei morti e dei vivi per distribuire il numero corretto di razioni di cibo.
Un altro capitolo riguarda il salario degli addetti alla gestione dell'emergenza - chirurghi, becchini, infermieri, guardie di frontiera - che, se all'inizio della pestilenza ricevettero lauti salari per il rischio a cui andavano incontro, con l'avanzare del contagio e il ridursi delle finanze pubbliche, se li videro decurtare drasticamente.
Interessante infine lo smaltimento dei vestiti e dei letti. La prassi prevedeva che un malato dimesso dall'ospedale fosse lavato e rivestito da capo a piedi. Ma l'abbigliamento costava caro, così alcuni furono rimandati a casa con i panni indossati al lazzaretto e i loro materassi non furono bruciati bensì riutilizzati dai malati che li sostituivano. Particolarmente restii ai roghi di indumenti e biancheria erano i ricchi che di solito possedevano capi di valore, per cui finivano per essere bruciati solo gli averi della povera gente.

Fonti:

  1. Cristofano e la peste in inglese
  2. Istituto Superiore di Sanità: Peste
  3. La peste a Prato

a cura di @roch66


L'argomento di questa settimana vi ha stimolato?

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Vi aspettiamo la prossima settimana per un nuovo numero di

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Tutte le immagini e i disegni sono opera di @armandosodano.

Redazione: @Phage93, @armandosodano, @itegeoarcanadei, @michelacinque, @ciuoto, @middleearth,@piumadoro, @roch66, @akireuna, @sciack, @ilnegro



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Complimenti agli autori per gli articoli e la precisione dei dati di riferimento riportati. Tra le epidemie che si sono succedute negli anni in tutto il mondo, la peste è stata la più distruttiva e più atroce che si possa immaginare. Arrivare addirittura a dimezzare la popolazione di un intero continente è inimmaginabile, questo ci fa rendere conto di quanto la natura possa essere davvero infima e per questo bisogna rispettarla e studiarla. In quell'epoca la scienza doveva fare i conti con le epidemie, ora dobbiamo fare i conti con noi stessi, i nostri errori, le nostre negligenze e colpe.

Alcuni giorni fa ho raccontato della peste a Siena e di come questa abbia condizionato la costruzione del Duomo (nuovo).
Cercherò di inserire il mio contributo al piú presto.

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