IL CACCIATORE DI FALENE - Capitolo V

tommasobusiello (61)in #ita • 6 years ago

Capitolo V – Savoir Faire

Chiusi il diario con la coscienza schiacciata a terra dal detto meno so, meglio è!
Restai sconcertato ed immobile per un tempo indefinito, nel frastuono di un temporale emotivo in pieno svolgimento. Balena. Avrei voluto essere una balena che si inabissa nell’oscurità calma per sfuggire alla turbolenza superficiale. Ma anche da balena avrei dovuto prima o poi tornare a galla per respirare aria.
Aria. Avevo bisogno di aria fresca. Indossai una tuta da ginnastica, le scarpe rosse che avevano da poco sostituito le precedenti consumate dai chilometri ed uscii di casa.
Il vialetto che costeggiava il fiume era stranamente solitario. Non che avrei voluto incontrare gente, ma un sorriso rubato al volto di qualche sconosciuto avrebbe di sicuro alleviato la mia mente o per lo meno mi avrebbe distratto.

Percorsi 4 chilometri a passo svelto, contro corrente. Il fiume appariva per i moti contrari accelerato. Avevo una tappa fissa nel mio percorso. Un automatismo inconscio. Una fontana dall’acqua sempre fresca mi regalava ristoro e segnava l’inversione di marcia. Sedetti sulla panchina. Istintivamente chinai la testa sorreggendola con le mani sudaticce. Il peso dei pensieri, il senso di colpa nel violare l’intimità. Il ritorno sembrava scorrere lento come il fiume. Camminavo di fianco seguendo la corrente. Quanti passi in una vita? Troppi ma anche troppo pochi!
Il rumore del fiume, di acqua e canne al vento. Una nenia soporifera ma suadente. A metà strada mi fermai attratto da una famigliola di nutrie che era sulla sponda opposta. Sedetti lentamente, senza far rumore. Restai a guardale. Una mano sulla spalla mi fece trasalire.

_{Image CC0 Creative Commons – Pixabay}

Eleonora era un’amica di Antonio. Forse di più, ho sempre creduto fosse di più, ma lui dribblava le domande indiscrete con il savoir faire da politico scafato.
Aveva il viso teso e triste. Pur senza parlare capì l’assenza, quel senso di vuoto negli occhi spenti. L’abbracciai muto con la musica del fiume in sottofondo.
Ho bisogno di parlare mi disse.
Andiamo più avanti, c’è una panchina le dissi prendendole la mano con delicatezza.
Scorremmo come l’acqua lentamente ed inesorabilmente. Sedemmo pesanti come una nave all’approdo di molo di cemento. Ci ancorammo alla panchina di legno bruciata dal sole e corrotta dall’acqua delle giornate umide d’inverno.
Antonio… si interruppe. La osservai e quasi tremava. Di sicuro la voce era rotta dall’emozione. Antonio… io amavo Antonio. Avrei voluto di più per noi. Ma lui era sempre in fuga. Da me, dal mondo. Spariva per mesi per poi riapparire e confondere le carte che avevo sistemato nel cassetto. Sono sicura che anche lui mi amasse ma che aveva qualcosa che lo spingesse via da me. Non ho mai pensato volesse scacciarmi, forse voleva solo proteggermi.

_{Image CC0 Creative Commons – Pixabay}

Tacque per il tempo che impiega una foglia che si stacca dal ramo e vola leggera verso il terreno. Io ascoltavo il silenzio di questa pausa come a vedere dove si posasse la foglia. Poi riprese. Voleva proteggermi, ne sono certa! Dovevamo partire. Mi aveva detto che voleva vivere con me, ma non qui. Lontano, in sud America, voleva e doveva andare. Gli chiesi il perché. Ma tu lo conosci, mi fece un occhiolino, una carezza, si voltò e andò via salutandomi.