Come diventare un musicista di successo (CDUMDS). Capitolo 3 - Experimental

in #ita7 years ago (edited)

L’estate che mi portò in prima media, non la ricordo come un’estate memorabile. Tranne gli avvenimenti degni di nota che ho portato alla vostra attenzione, la mia infanzia è stata una routine abbastanza regolare che vi ho già descritto.
In prima media, dunque, arrivai in classe e trovai tutti compagni nuovi. Ma questo lo sapevo già, perché al momento dell’iscrizione, seppur quasi tutti nello stesso istituto, tutti i miei compagni delle elementari si erano guardati bene dall'iscriversi a un corso sperimentale.

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Mia madre invece, in un lampo di genio, tipico della mia famiglia, pensò che sperimentale fosse una bella parola, e che tutte le materie classiche, più quattro ore di Francese, sarebbero sempre potute tornare utili.
Il mio parere al riguardo, non fu neanche consultato, come di consueto.
Mi ritrovai perciò con tutti i miei ex compagni di classe smistati nelle due/tre prime regolari, ed io insieme a tutti sconosciuti nella classe sperimentale. Tutti uscivano a mezzogiorno, io due volte a settimana sarei uscito alle due, per imparare “Bonjour, Bonne nuit, aujourd’hui”.
E' necessario sottolineare quanto amassi la mia nuova condizione di recluso, e soprattutto quanto amassi il Francese?

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A questo proposito, mi renderò impopolare per qualcuno, ma lo voglio dire: "come si fa a voler studiare il Francese?"

E’ una lingua brutta. Brutta da ascoltare, da studiare, ha delle regole grammaticali approssimative, e soprattutto, soprattutto, la pronuncia è orrenda!
Eravamo una massa di poveri martiri, che passavano le ore a capire come bisognava mettere la lingua per pronunciare la “r”, o la “gh”.
Ma della “r” ne vogliamo parlare? Avete mai pronunciato una “r” in francese? Nemmeno i francesi la sanno pronunciare. E’ una R! E invece diventa un suono gutturale, una specie di… lasciamo stare.
A me il Francese non piace, e quando ho avuto modo di andare in Francia, non sono riusciti a farmi cambiare idea, anzi.
I Francesi hanno repulsione verso chi parla la loro lingua, ma non è madrelingua. Fanno finta di non capirti.
“Excuse moi, je peux avoir de l’eau”? (mi scusi, posso avere dell’acqua?)
Quella frase ha la dannata r in avoir, ed “eau” (acqua), che si pronuncia “o”, chiusa.
Niente, se non dici la R come un parigino da sette generazioni, e “o” chiusa a sufficienza – ma non troppo -, riceverai come risposta un “Ah?” (che è il loro E’?) con la stessa faccia di un professore che ti boccia all’esame.
E l’acqua non te la da, fin quando non lo dici bene.
Quando, al ventesimo tentativo, lo riterrà soddisfacente o si sarà stancato, il Francese ti risponderà “Ahhhhh de l’eau!”. E ti darà l’acqua.
Ora, io sono in un bar, pure che non sono nato a Parigi, cosa cavolo pensi che potrò mai chiederti? E’ necessario fare tutta questa sceneggiata?
Ma, come dice una nota attrice comica “Non ti preoccupare, verrai in vacanza in Italia prima o poi, ed avrai sete anche tu”.

Le medie, comunque, oltre al Francese e una intera nuova classe tutta da scoprire, portarono altre due novità nel mio modo di vivere l’orario scolastico. La prima era l’ora di educazione fisica, la seconda l’ora di musica.
Venivo da una scuola elementare vecchio stampo, le riforme scolastiche sarebbero arrivate solo qualche anno dopo. Studiavamo diverse materie, ma l’insegnante era sempre la stessa per tutte e cinque le ore, avevamo la maestra Angela, e solo lei era responsabile della nostra educazione. E lei non ci faceva fare nè musica nè educazione fisica.
Alle medie invece i professori non erano più maestri, erano professori.
Gente che ne sapeva a pacchi.
Ognuno insegnava solo una materia, massimo due. Italiano e storia, matematica e scienze. E poi arte, educazione tecnica, educazione fisica e musica.
Le materie che preferivo erano arte, educazione tecnica, educazione fisica e ovviamente musica.

“Ma come, ci stai raccontando di quanto odiassi studiare musica, ed ora diventa la tua materia preferita”?

Non mi piaceva la materia musica, mi piaceva l’ora di musica, perché in quell’ora tutti i miei compagni si trovavano di fronte a un argomento sconosciuto, io invece erano già cinque, c-i-n-q-u-e anni che la studiavo. E la sensazione di superiorità che provavo accarezzando quest’idea, mi faceva desiderare che l’ora di musica arrivasse il prima possibile.
Non avevo considerato, però, un problema che nella classe precedente non avevo: non ero l’unico bambino ad andare a lezione di musica. Ce n’erano altri, tre per la precisione. Melania, Federica e Flavio, tutti e tre studiavano pianoforte, e le due ragazze avevano addirittura il pianoforte vero, a muro.
Oggi, questa risulterebbe essere una buona base per far crescere un’amicizia da una passione comune, ma all’epoca, abituato ad essere l’unico a studiare pianoforte in una classe di bambini, questa situazione generava competizione. E io, dentro di me, sono sempre stato competitivo.
L’agonismo mi scatta con facilità, anche quando dovrebbe esserci una semplice partecipazione a qualsivoglia attività, il mio obiettivo non è vincere ma almeno provare a farlo.
Il piano di attacco perciò era: dichiarare di studiare pianoforte, dichiarare di avere già cinque anni di studio alle spalle (difficilmente qualcuno di loro avrebbe potuto fare di meglio, perché i miei genitori mi avevano fatto iniziare esageratamente giovane), aggiungere la cintura blu di karate, che comunque faceva curriculum e dava qualcosa in più. Più di tutti.

So cosa state pensando. Questo agonismo, questa voglia di dimostrare di essere migliore, ha delle radici di natura psicologica molto preoccupanti. Qualche trauma o robe col nome strano.
Si, di sicuro potrebbe avere un nome e qualche dottore potrebbe trovarla una patologia da curare.
Io, non la vedo tanto male.
Mi sono spesso interrogato, ho fatto i conti con me stesso e con quello che avrei dovuto pretendere, e mi sono dato delle risposte. Semplici e lineari.
Ho un carattere vivace, espansivo, per quanto approcci con timidezza.
Il mio cervello è in costante attività, alla ricerca di cose nuove da imparare, da scoprire, e soluzioni ai miei problemi e a quelli degli altri.
La famiglia da cui provengo è modesta, senza fronzoli, mi ha abituato alla sostanza, non alla forma.
Sono di statura diversamente alta, che non ho mai del tutto accettato, e mi ha fatto sentire sempre diverso, fisicamente svantaggiato.
Mi piace stare in mezzo alla gente, e mettere in mostra quello di cui SONO CAPACE e non quel che SEMBRO.

Perciò è così strano che abbia sviluppato la volontà di mostrare il lato migliore di me, quello che forse è nascosto ai più e che non è così lampante al primo sguardo?
E, viste le premesse, è così strano che se abbia delle competenze le voglia mettere in mostra e cercare il consenso più ampio possibile?

Perché, addirittura, sulla mia vita e su quello che so fare meglio, ci sto scrivendo un libro. Mi dica Dottore, è così grave?

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[immagini tratte da pixabay]

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Ho sempre ammirato molto chi studia musica. Un arte incredibile. Avrei voluto imparare la chitarra...ma la mia poca pazienza, mi ha fatto dire....non ci riesco...pretendo sempre che le cose mi riescano subito.

Riesco a rispondere finalmente. La chitarra da soddisfazioni nel breve periodo, riesci a suonare la canzone del sole relativamente presto, e poi una volta partito con i primi accordi la frenesia fa il resto! Ritenta... Con un minimo minimo di pazienza in più otterrai risultati insperati!

saludos amigo soy músico bajista y estoy aportando ideas para toda la comunidad steemit éxitos espero contar con tu voto.

I Francesi sono un po' odiosi è vero. Io lavoravo in hotel ed erano classificati tra i clienti più spocchiosi. Bon alla fine i tuoi 5 anni di esperienza hanno fatto la loro figura con gli altri tre ragazzini? 😆

agli altri ragazzini, come anche a tanti altri, non gliene è mai fregato nulla! :D
E non sono tanto sicuro che nemmeno oggi, che queste cose le sto scrivendo, gliene freghi qualcosa a qualcuno!! (e qui mi dovresti smentire e fare una lunga sviolinata. Vai.) :)

😱 spero tu stia scherzando! Eccome se interessano a qualcuno... ma non vedi tutti i complimenti che ti facciamo? Il tuo modo di narrare riesce sempre a coinvolgermi e farmi sorridere, sei ironico e riflessivo, tratti argomenti che ti hanno "segnato" con un tocco dolce ed elegante... bon va bene?
Scherzi a parte è la verità 😊.

Perfetto. Violino accordato perfettamente! Ti voglio bene :)

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