A SPASSO CON DANTE: CIACCO - Ep.6

in #ita5 years ago

Dante, che nel precedente canto (il quinto) ci aveva lasciato con una sua perdita dei sensi e della propria memoria adesso si ritrova catapultato nel nuovo capitolo: ancora una volta il Dante scrittore non ci racconta il transito da un cerchio all'altro. Egli insieme a Virgilio scendono nel III cerchio, dove una pioggia sporca mista a grandine spessa e neve schiaccia nella melma i golosi. La terra emana un cattivo odore, rendendo il luogo altamente inospitale.
Di fronte ai due poeti si para Cerbero: questo canide classico leggendario svolge qui il ruolo di punire i dannati di questa cerchia, che oltre ad affondare nel fango, subiscono le ire di questo animale, che li graffia e trancia.
La figura di Cerbero ancora una volta riprende la narrazione virgiliana, in cui questo cane era posto sulla riva opposta dell'Ade, luogo in cui il traghettatore Acheronte scaricava le anime dei defunti. In quel contesto Cerbero svolgeva il ruolo di doganiere terrificante, indiscutibile ed allo stesso tempo sacro. In un gioco allegorico è la morte stessa.
In un viaggio parallelo Dante si trova come il prode Enea di fronte a Cerbero:

"Giunti che furo, il gran Cerbero udiro
Abbaiar con tre gole, e ’l buio regno
Intonar tutto; indi in un antro immenso
Sel vider pria giacer disteso avanti,
Poi sorger, digrignar, rabido farsi,
Con tre colli arruffarsi, e mille serpi
Squassarsi intorno. Allor la saggia maga,
Tratta di mèle e d’incantate biade
Una tal soporifera mistura,
La gittò dentro a le bramose canne.
Egli ingordo, famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo, per tre gole al ventre
Trangugiando mandolla, e con sei lumi
Chiusi dal sonno, anzi col corpo tutto
Giacque ne l’antro abbandonato e vinto.
Cerbero addormentato, occupa Enea
D’Erebo il passo, e ratto s’allontana
Dal fiume, cui chi varca unqua non riede. "
Eneide, VI, 612 - 629
"Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
[...]
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo.
E ’l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne.
Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna,
cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.
Divina Commedia, VI, 13-33

In entrambi i casi Enea e Dante (protagonista) cercano di distrarre Cerbero dandogli qualcosa in pasto, ma né Dante (scrittore) né Virgilio descrivono nei particolari l'aspetto di Cerbero: le opere classiche e mitologiche vorrebbero che fosse un mostro a base canina con un'ampia criniera di serpenti che incornicia una pluralità di teste, in alcuni casi tre fino ad un massimo di cinquanta.

Stradano_Inferno_Canto_06.jpg
CC0 Creative Commons

Una volta superato l'ostacolo Cerbero, Dante e la sua guida proseguono il loro cammino in una sorta di palude maleodorante, dove i dannati sono intrappolati. I due protagonisti procedendo non possono far altro che calpestare chi si trovi sotto di loro.

"Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona."

Come spesso succede al passaggio di Dante e Virgilio, uno dei dannati vedendoli passare, li riconosce e per questo richiama la loro attenzione alzandosi a sedere e sporgendosi al di sopra degli altri corpi, invece sdraiati. Interroga Dante sulla sua capacità di riconoscerlo, ma il viandante, non riesce ad identificarlo, dato che molto probabilmente il fango, la neve e la grandine lo hanno deformato e sporcato. Per la prima volta nella Divina Commedia, viene raccontato un "Fiorentino doc", un personaggio del popolo, una figura storica della città fiorentina nel Medioevo: egli è infatti Ciacco, protagonista della seconda metà del Duecento fiorentino.
Sulla sua identità però permangono alcuni dubbi: il nome stesso non ci aiuta ad identificarlo, visto che molto probabilmente il nome vero potrebbe essere Iacobus, anche se la somiglianza e l'assonanza è limitata. Alcune sono state le ipotesi sulla sua identità: si è pensato a Ciacco dell'Anguillaia, del quale alcuni documenti testimoniano il nome ed un carattere piuttosto rozzo, oppure il Ciacco del Decamerone. Forse proprio questo ultimo sembra essere il più affine, visto che proprio nell'opera di Boccaccio tale uomo viene descritto così:

" uomo [...] dato tutto al vizio della gola, tanto che, se era chiamato a mangiare, v'andava, e similmente se invitato non era [...]. Fuor di questo, egli era costumato uomo, ed eloquente e affabile e di buon sentimento" Decamerone IX, VIII

Tornerebbe quindi il fatto che Dante avesse collocato questo personaggio proprio tra i golosi, le anime condannate in questa cerchia a subire le pene infernali. Oggi considerare la gola un peccato capitale potrebbe sembrare eccessivo, ma nell'Europa medievale, in cui era molto facile imbattersi in carestie e povertà, l'ostentazione mondana del vizio solitario era visto con cattivo occhio.
In ogni suo canto, Dante celebra il suo valore cristiano cattolico della mensa ed intitola "Convivio" il trattato in cui porta agli occhi dei comuni lettori illetterati le sue laboriose cognizioni. Dante prova un profondo ribrezzo nei confronti proprio di questi golosi, i quali con il loro agire in vita hanno quasi offeso la sua persona. Dante sfrutta proprio il personaggio di Ciacco per raccontare in quale stato stia versando la città di Firenze, non facendolo quindi lui in prima persona:

"Giusti son due, e non vi sono intesi;
superbia, invidia e avarizia sono
le tre faville c’ hanno i cuori accesi"."

Dante racconta della questione che divide la città di Firenze: dopo che erano stati messi in fuga i ghibellini dalla città gigliata, i guelfi rimasti si divisero a loro volta tra bianchi e neri e molto spesso "Dopo lunga tencione/verranno al sangue" come afferma Ciacco stesso e ciò determinerà il malessere e l'indebolimento stesso del Ducato di Toscana.
Comprensibile quindi come Dante utilizza la sua opera come narrazione, come critica nei confronti della sua città ed in modo implicito cerchi di spiegare quali sia la retta via da seguire e quali invece siano i cattivi esempi da cui tenersi lontani.

Portrait_de_Dante.jpg
CC0 Creative Commons

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Ora sto camminando con i cani: leggerò molto volentieri più tardi!

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Buona passeggiata allora...e soprattutto buona lettura in tranquillità piú tardi!

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