"Mio bell'anello"

in #ita5 years ago (edited)

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Negata per le lingue. Così era stata etichettata a tredici anni Giovanna, sia dalla professoressa di inglese che da quella di francese.
Lei frequentava una scuola media bilingue (pessima idea di sua madre), ma, benchè si impegnasse molto, i suoi risultati erano modesti. La frustrazione era enorme. Si sentiva veramente stupida, a quel tempo. Soprattutto si era sentita cucita addosso quella definizione riguardante l’apprendimento delle lingue: era proprio vero. Pur studiando la grammatica, la sua conversazione era misera, l’accento improbabile e faceva anche confusione tra le due lingue, tanto che, una volta, aveva scritto alla lavagna, anziché “we are”, la originale espressione “oui are”, con conseguenti risate grasse dei compagni.
Gli anni erano passati, aveva bene o male terminato le superiori (professionale a indirizzo grafico), più male che bene, in realtà.
Si percepiva ignorante, spesso pensava di aver imparato davvero poco.
In realtà le piaceva leggere, era appassionata di storia e di arte, ma quasi nessuno lo sapeva.
Dopo il diploma, si era iscritta alla scuola infermieri: con impegno e dedizione, in tre anni netti aveva conseguito il diploma e da subito era diventata una attenta e scrupolosa infermiera.
Era anche carina, le dicevano. Capelli di un castano caldo, proporzionata e snella, con deliziosi occhi verdi. Ma lei non ci faceva caso. Continuava a lavorare e a sentirsi quella ragazzina molto timida , negata per le lingue.
Lidia, la sua caposala, l’aveva molto in simpatia, perché lavorava sodo, parlava poco ed era sempre disponibile ai turni più faticosi.
Così, nel marzo del ’95, quando le fu chiesto di andare insieme ad una piccola rappresentanza di infermieri, a Berlino, per una sorta di gemellaggio sanitario, scelse proprio Giovanna. La quale, benchè già ventiseienne, non era mai uscita dai confini italiani e ne fu terrorizzata. Lei, che non sapeva dire una parola in inglese né in francese, trovarsi in una terra straniera, dove addirittura parlavano il tedesco. Cercò di declinare l’invito, ma Lidia fu irremovibile : aveva scelto lei ed era un premio, non poteva rifiutarlo.
Così, partirono in aereo alla volta di Berlino. Non aveva neanche mai volato, Giovanna. Ma di questo non aveva paura. Il terrore era quello della lingua, le sembrava di subire la pena inflitta agli uomini al tempo della torre di Babele: non comprendersi, ahimè.
Insieme a lei e alla caposala, c’erano Rita e Cinzia, due colleghe molto brave, ma anche molto sveglie, che parlavano continuamente di un sacco di cose e ridevano, mentre Giovanna taceva, chiusa nelle sue paure.
A Berlino, dopo essere state nell’ospedale che le aveva invitate, cominciarono a girare per la città. Le accompagnava un’interprete, la signora Clara, ma, nonostante ciò, Giovanna si sentiva spaesata e sola, praticamente non proferiva parola.
La piccola missione durò quattro giorni. Sarebbero partite la domenica sera, ma al mattino, Clara si offrì di accompagnarle al mercatino delle pulci, il migliore, diceva lei.
Per la prima volta dalla partenza, Giovanna cominciò a sentirsi a proprio agio. Finalmente, pur non capendo una parola, il luogo non le era estraneo. Le ricordava un po’ certi mercatini della sua zona, ma anche Porta Portese, dove era andata spesso con la zia che abitava a Roma. Decise di comprare qualcosa e si avvicinò a un banco dove erano esposti gioielli evidentemente di bigiotteria, ma molto belli e rifiniti.
Fu colpita da un anello molto particolare con una pietra azzurra trasparente, sembrava un'acquamarina , ma probabilmente era vetro.
Intorno al castone erano posizionate alcune pietre piccole che sembravano brillanti e il metallo pareva proprio oro bianco.

Lei aveva molti anelli, alcuni preziosi, altri di scarso valore. Li aveva collezionati negli anni, partendo dai tre che le aveva lasciato in eredità la nonna. Questo, di sicuro, avrebbe dato un tono particolare alla sua piccola collezione.

Così decise di acquistarlo, ma fu presa dal panico quando si accorse che Clara non c’era e neppure le sue colleghe.
Si erano perse di vista, lor, così ciarliere e confidenziali, avevano monopolizzato l’interprete per le loro compere.
Giovanna impallidì. Aveva in mano il bell’anello e se l’era provato: proprio la sua misura. Ma come avrebbe fatto a dirlo al venditore?
Lui le domandò qualcosa in tedesco e lei lo guardò con l’occhio fisso.
Allora l’uomo le si rivolse in inglese e lei, miracolosamente, non solo capì, ma gli rispose in un inglese fluente che non sapeva di sapere.
Certo, l’aveva studiato per otto anni, ma con risultati scarsi, le avevano sempre detto. Eppure, quel giorno, le nozioni acquisite e mai comunicate per senso di inadeguatezza e di inferiorità, uscirono tutte insieme, con sua grande sorpresa e riuscì a contrattare un buon prezzo per l’anello.
Dopo si ritrovò con le colleghe e l’interprete e mostrò loro il suo acquisto. Tutte ne furono ammirate ed anche sorprese che Giovanna, così dimessa e insicura, fosse riuscita a fare acquisti e a scegliere un così bell’oggetto: era bigiotteria, ma sembrava proprio vero.
Tornarono in Italia la sera stessa, ma per Giovanna quell’acquisto in solitario aveva segnato una pietra miliare.
Ora sapeva di non essere negata per le lingue e forse neppure tanto insignificante come si era vista fino ad allora.
“Anello, mio bell’anello… “, pensava citando una filastrocca della sua infanzia.
Da allora, Giovanna divenne più sicura ed assertiva e, quando le prendevano le sue paure, accarezzava l’anello comprato a Berlino che, tra l’altro, le riservò una grossa sorpresa : era autentico, le disse il suo gioielliere di fiducia. Oro, acquamarina e brillanti. Chissà per quale improbabile serie di eventi era finito sulla bancarella.
Fatto sta che, mano a mano, proprio da quell’anello la sua vita cambiò.
Oggi Giovanna è una dirigente infermieristica che coordina gli infermieri e i caposala di un grande ospedale. Non solo: è sposata e madre di due ragazzi già grandi, a cui ha fatto studiare le lingue fin dalla più tenera età e, soprattutto, ha impedito che qualcuno dicesse loro che erano negati per qualcosa, perché non è mai vero. E lei ne è la prova.

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Bellissimo racconto. Saluti Kork75 😉

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