La Bestia dagli Occhi di Ghiaccio - Romanzo | CAPITOLO 10 e CAPITOLO 11 [ITALIAN Language]

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Ciao!

Come spiegato in un precedente post, quello che trovi di seguito è un romanzo che scrissi alcuni anni fa e che ho deciso di revisionare negli ultimi mesi. Il titolo dell'opera è: La bestia dagli occhi di ghiaccio. La versione completa è disponibile su alcune piattaforme online in formato e-book o in cartaceo. Si tratta di un thriller ambientato in Italia, tra le pendici delle Alpi Apuane, che tocca altri generi come l'horror e il fantasy. Ci sono alcuni temi abbastanza forti, per cui consiglio la lettura a un pubblico di età adulta (over 18).

Cliccando sulla corrispondente parola in colore azzurro, puoi trovare:

il PROLOGO | il CAPITOLO 1 | il CAPITOLO 2 e il CAPITOLO 3
il CAPITOLO 4 e il CAPITOLO 5 | il CAPITOLO 6 e il CAPITOLO 7
il CAPITOLO 8 | il CAPITOLO 9

oppure puoi proseguire nella lettura del post per trovare il CAPITOLO 10 e il CAPITOLO 11.

Buona lettura!


Copyright © 2013 Davide Simoncini
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LA BESTIA DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

Romanzo

Proprietà letteraria riservata. È vietata la modifica, l'utilizzo e la riproduzione, in qualsiasi formato, su qualsivoglia mezzo digitale, cartaceo o di qualunque altra natura, senza il permesso esplicito dell'autore, a eccezione della personale consultazione.

Edizione Modificata e pubblicata nuovamente nel mese di Maggio 2023.

Questo romanzo è un'opera di finzione.

Il contenuto di questo romanzo è quasi interamente fittizio. Ogni riferimento (persone, luoghi, oggetti, avvenimenti, usanze, eccetera) è fittizio o casuale. Per ulteriori informazioni sarà possibile consultare la nota d'autore che verrà pubblicata dopo l'epilogo del romanzo.


CAPITOLO 10

Alcuni anni prima, Giugno 1995
Col di Favilla, Alta Versilia

Santo uscì dalla chiesa. L'unica porta ancora integra era l'ingresso principale. Molte costruzioni di quel tipo possedevano anche un'uscita secondaria, a lato delle navate, che di solito dava nella sacrestia. Da lì, il parroco poteva lasciare il luogo di culto per le funzioni, rientrando dal portone principale con i due piccoli chierichetti appresso.
Ricacciò indietro un accesso di malinconia. Si strofinò il muso per tamponare l'umido sui suoi occhi.
Santo aveva trascorso in quella chiesa molti dei suoi anni più belli, quelli della sua infanzia. Alla domenica andava a Messa, sull'invito falsamente gentile di suo padre. Santo sapeva che cosa si nascondesse dietro quegli incoraggiamenti. Se avesse opposto resistenza, non sarebbe scampato comunque a quello che i suoi consideravano un onore. Lo avrebbe invece atteso il frustino, maneggiato con destrezza dalla persona che lo aveva generato. Ma non era accaduto che una volta: a Santo piaceva andare in chiesa. Non gli era mai dispiaciuto.
Da bambino era stato spesso in sacrestia. Si vestiva e affiancava il prete, aiutandolo nelle funzioni. Ad assistere arrivavano appena più di una quindicina di persone, trenta nei giorni più sacri. Soltanto in Estate riuscivano a superare quel numero. Ogni anno, il 26 Luglio, fiumi di genti sopraggiungevano, desiderose di partecipare alla festa di paese che tutti loro non avevano mai dimenticato. La Festa di Sant'Anna era una ricorrenza troppo importante. Celebravano la tradizionale messa all'interno della chiesetta intitolata alla santa protettrice, preparavano pietanze e mostravano i ferri del mestiere con cui i loro nonni avevano duramente lavorato per sfamare la popolazione.
Col di Favilla era stato un bel paese, ma ormai non esisteva più. Il suo abbandono durante gli anni aveva scoperto il fianco a diversi atti vandalici, tra cui quelli che avevano colpito la sua cara chiesetta verso il 1970. Avevano dovuto restaurarla per rimediare ai danni e nel 1979 avevano provveduto a riconsacrarla su richiesta delle discendenze dei suoi antichi abitanti.
Da quel giorno, un nuovo inevitabile declino.
Il tetto aveva subito le frustate del maltempo. Le mura increspate dalla muffa sorreggevano a malapena quell'involucro esterno, poco differente dal resto delle vecchie abitazioni. Per fortuna, gli interni sembravano decenti. L'altare aveva mantenuto il suo splendore, resistendo con tenacia al trascorrere degli anni.
Quanti travagli avevano sopportato, per costruire quella chiesa. Suo padre era solito rammentarglielo almeno una volta a settimana. La lavorazione delle pietre, le fatiche profuse nel loro posizionamento. I loro avi avevano partorito una piccola opera d'arte e sarebbe stato loro dovere proteggerla come gli altri avevano fatto prima di loro.
Percorse il vialetto che scendeva di fronte alla chiesa, lastricato di pietre ormai verdognole a causa dei muschi. Si voltò a guardare il campanile che torreggiava su di lui. Sulla cima, la Meridiana conosciuta per essere quella posizionata più in alto in tutta la Toscana. Si diresse verso casa, girando attorno a un'abitazione vuota. Mentre si avvicinava, il suo pensiero ritornò alla chiesa, al sacerdote suo fedele amico, poi all'altare.
Santo aveva scoperto qualcosa che non avrebbe mai immaginato.
Lo abbiamo sempre avuto lì, davanti ai nostri occhi.
Il tesoro perduto. Così facile da trovare, così difficile da vedere.
Aveva trascorso una vita intera ossessionato da quella leggenda e ora era costretto a lasciar perdere. Non avrebbe voluto, ma le parole dei suoi avi erano chiare: non volevano che il tesoro fosse usato. Chi era lui per contravvenire alle loro istruzioni?
Non sarebbe stato Santo a rompere il patto. Era una decisione difficile, ma doverosa. Avrebbe insegnato ai suoi figli la leggenda, li avrebbe istruiti sulla sua storia e, una volta pronti, avrebbe svelato la sua ubicazione. Un giorno, tra molti anni. Una volta avuta la conoscenza, ne sarebbero diventati i custodi, per ripetere con i loro figli quello che Santo aveva fatto con loro.
Questo lui voleva. Questo volevano i suoi antenati.
Grazie, Signore.
Una foglia trasportata dal vento gli sfiorò la guancia mentre raggiungeva i gradini all'ingresso di casa sua. Vide il viso di sua moglie attraverso la finestra. Era seduta sul divanetto a due posti, intenta a cucire un maglione per i suoi piccoli. A fianco a lei, un minuscolo marmocchio la osservava senza vedere.
Gli occhi di Santo si riempirono di lacrime.
Per il volere dei suoi antenati, lui stava rinunciando alla possibilità di una vita migliore per il suo ultimogenito.
In quel momento, tutto il dolore di quella scelta gli ricadde sulle spalle. Era consapevole che quella decisione sarebbe stata un peso per il resto della sua vita.


CAPITOLO 11

Oggi, Fociomboli

Terribile.
Pochi sapevano che cosa significasse trovarsi di fronte a un lutto e avere l'obbligo di raccontarlo. A parole era piuttosto semplice, bastava confessarlo con la dovuta sensibilità. Molto più difficile era invece trovarsi faccia a faccia con il sorriso di una persona cara al defunto. La guardavi, sapendo che il suo sorriso sarebbe scomparso sotto il peso delle parole che le avresti detto pochi istanti più in là. Lei non aveva idea di che cosa fosse successo, approcciava la vita con leggerezza. Il tuo compito era intaccare quel tepore. Anche se non avevi responsabilità della morte, in qualche modo ne sentivi un po' pesare sulla tua coscienza: eri tu che in minima misura la causavi.
Era la prima volta che Ottavio si trovava in una simile situazione. Come la maggior parte delle prime volte, i risultati lasciavano molto a desiderare.
«Ascoltami bene, Linda. Devi sederti.»
«Che diamine stai dicendo? Sei pazzo, per caso?»
Ottavio sbuffò. La sua amica era una gran testa dura. Si voltò verso Sandra. «Dovresti farlo anche tu.»
«Ci stai trattando come due bambine», recriminò Linda. «Non capisco perché tu lo stia facendo.»
«Ho i miei motivi.»
Avrebbe voluto avere un tono diverso, più confortante. Era dannatamente difficile. La notizia che Jack gli aveva dato dieci minuti prima aveva stroncato ogni sua resistenza. Aveva creduto a stento alle proprie orecchie. Poi era uscito. Aveva visto. Aveva capito di non essere in uno stupido film, anche se ciò che era accaduto assomigliava alla fantasia perversa di un killer dei grandi schermi.
«Vi prego», disse mentre la sua espressione si faceva supplichevole. «Ascoltatemi.»
Le due donne lo guardarono per un secondo. Fu Sandra la prima a cedere. Linda impiegò qualche istante in più. «E va bene», disse prendendo posto su un sasso grande come un frisbee. «Sentiamo cos'hai da dirci, di tanto importante.»
Non voleva essere melodrammatico, ma non sapeva come fare. Troppi giri di parole avrebbero potuto solo peggiorare la situazione.
«Allora?», chiese impaziente Linda.
Ottavio si voltò verso Sandra. «Jack è uscito all'alba per cercare qualche pezzo di legna. Ha visto un albero lungo la strada.»
«Me ne ha parlato mentre mi vestivo», puntualizzò Sandra. «Se è questo che dovevi dirci, hai sprecato fiato. Sapevo già tutto. Siamo bloccati quassù.»
«No, non è solo questo. Mentre Jack te ne parlava, Daniele è uscito a dare un'occhiata. Ha visto l'albero, ma non soltanto quello.» Esitò, troppo per passare inosservato. Stava scoprendo di essere una vera frana.
Sandra richiamò la sua attenzione. «Ehi! Ci stai facendo preoccupare.»
Silenzio. Poi continuò.
«Non sappiamo bene che cosa sia successo. Stanotte uno dei tuoi amici è uscito senza dire niente. Forse cercava della legna, non saprei.» Le sue parole suonavano come un piagnucolio.
«Che cosa non sai?» Sandra cominciava a innervosirsi. «Dove sono gli altri? Fammi parlare con loro.»
«Andrea», annunciò Ottavio con un filo di voce. «Se n'è andato.»
«Andato dove?»
Sandra rimasse perplessa per un istante, poi la sfumatura melodrammatica che Ottavio non era riuscito a evitare si unì al valore di quelle parole, vestendole di un nuovo significato. La donna si alzò di scatto, gettando a terra un sasso che finora aveva tenuto tra le dita. Dalla sua reazione non si intuiva solo rabbia. C'era anche una nota di paura, quella che solo la verità riesce a innescare.
«Sandra, calmati», disse Ottavio. Protese le mani per anticipare la sua furia, bloccandola a mezzo metro da lui. Anche Linda si alzò, cercando di fronteggiare la donna.
Sembrava un demonio.
«Calmarmi, dici? Dovrei calmarmi? Dimmi che diavolo è successo! Questo voglio che tu faccia.»
«Lo sai.»
«No, non lo so!» Le sue iridi fiammeggiarono contro Ottavio. «Dov'è? Voglio vederlo.»
«Questo non è possibile.»
«Perché no?»
«Credimi, non sarebbe un bello spettacolo.» Il compito di Ottavio era andato a farsi benedire. Aveva scoperto di essere un disastro nell'indorare la pillola. «Andrea è morto.»
Aveva immaginato la donna contrarsi, urlare, esplodere mentre il cuore le batteva a mille, annaspare nell'essere travolta dal dolore. Tutte scene da teleschermo.
Niente.
Sentì la forza di Sandra dissolversi. Le lasciò i polsi e la osservò fare un passo indietro.
Gli occhi persi nel nulla, la donna si sedette di nuovo sul posto che aveva abbandonato qualche istante prima. Biascicò qualcosa che lui non riuscì a comprendere. Continuò a fissare il terreno, la bocca semiaperta. In lei non c'era più un briciolo di emozione. Ottavio ignorava quali idee potessero passarle per la mente. Era avvolta in una monotonia quasi spettrale.
Per due minuti abbondanti, completo silenzio. L'ombra della tragedia li teneva a debita distanza l'uno dall'altro. Fu lui il primo a rompere quell'atmosfera. «Mi dispiace, Sandra. Mi dispiace davvero tanto. Vorrei dirti di sapere quello che provi, ma la realtà non rispecchierebbe le mie parole. Per ogni persona è diverso.»
«Posso almeno vederlo?» Quella frase le uscì dalla bocca un po' così, come dettata dall'incoscienza. Il suo sguardo vacuo non si era ancora attenuato.
Era una richiesta che aveva già posto e il risultato sarebbe stato identico. «Non è un bello spettacolo, credimi.» Non le rivelò che Jack aveva esplicitamente proibito qualsiasi avvicinamento. Non lo biasimava di certo.
La donna annuì. Passarono altri due minuti, poi si alzò sulle ginocchia. «Vorrei rimanere da sola.»
Non disse altro. Non serviva.
La osservò vacillare verso la casetta, aprire la porta e socchiudersela alle spalle. Lui sfiorò il braccio di Linda. «Vuoi fare due passi?»
La sua amica annuì. Iniziarono a camminare. Lei non era certamente distrutta come Sandra, ma una morte era pur sempre una morte. Quando ti capitava così da vicino e così all'improvviso, fronteggiarla non era una quisquilia. La morte ci accomuna, rappresenta una di quelle rare eccezioni che fanno di ogni uomo un fratello. La sua presenza è ingombrante, riesce a rammentarti la precarietà di ciò che ti sta attorno.
«Stai bene?», domandò, cauto.
«Sì.»
Una parola racchiudeva in sé tutto ciò che voleva sapere.
«Non è vero. Non stai affatto bene.»
Linda gli lanciò un'occhiata indignata. Voleva sembrare più forte di quel che in realtà era, ma a lui non la dava a bere.
«Non rispondi mai con un sì o un no, a meno che qualcosa non vada.»
«Non c'è nulla che non vada.»
«Sei ostinata.»
Linda si fermò, puntando i piedi. «Ascolta. Sinceramente, questo non è uno dei miei giorni migliori. Prima tutta questa storia del temporale, adesso uno degli uomini con cui abbiamo condiviso gli ultimi due giorni che... muore.» Scosse la testa. «Se va bene? Certamente no, ma è molto peggio per quella poveretta», terminò indicando la casa.
Come dire che il cielo era sereno, se solo non avesse imperversato la burrasca.
Ottavio doveva lasciarla sbollire. Nei momenti di difficoltà, la sua amica si chiudeva a riccio. Non aveva mai visto nessuno riuscire a migliorare il suo umore. Chi ci aveva provato era solo stato preso a male parole. Quando l'aveva conosciuta, anche lui era finito in quelle sabbie mobili.
«D'accordo», annunciò.
Linda si guardò alle spalle, passando una mano sulla fronte e sui capelli umidi. «Che mi dici, di lui?»
«Di chi? Di Andrea?»
«Di chi altri?»
«Lo ha trovato Daniele. Era nel bosco. È arrivato che sembrava uno zombie.»
«Era pur sempre reduce dalla vista di un amico morto. Non mi sembra così strano.»
Scosse la testa. «No, non lo è affatto. Specie di fronte a quello spettacolo.»
Linda lo guardò dritto negli occhi. «Che cosa è successo, di preciso?»
Ottavio abbassò lo sguardo. «Lo hanno trovato con la vita stroncata.»
«Certo. Era morto.»
«Non intendo che quella vita era stroncata. Intendo alla vita.» C'era un'espressione di incomprensione sul viso dell'amica. «Era praticamente tagliato in due, Linda.»
La ragazza impiegò un istante per capire cosa volesse dire. Quando lo fece, si portò le mani alla bocca, disgustata. I suoi occhi si aprirono, illuminati da quel drammatico lampo di coscienza.
Avvicinò il braccio al petto, cercando le parole giuste con cui continuare. «Non sappiamo chi sia stato. Ipotizziamo un animale.»
«Quale animale potrebbe fare una cosa simile?»
«Immagino un orso, più difficilmente un cinghiale.»
«Ma gli orsi?», si accigliò Linda. «Quassù?»
«So quanto possa sembrare strano, ma non sappiamo a cos'altro dare la colpa. Con ogni probabilità Andrea si è ritrovato di fronte una cucciolata. In questi casi le mamme possono essere peggio dei mostri che ci tengono svegli la notte. Proteggerebbero i propri piccoli a costo della vita.»
Linda lo squadrò, in attesa di metabolizzare quella notizia. «Ora capisco perché Sandra non deve vedere il corpo.»
«Già.»
«Dove sono Jack e Daniele?»
Ottavio indicò un punto in lontananza. «Sono rientrati nel bosco. Non riuscivano più a trovare Roberto. Hanno detto che è andato a cercare un po' di legna subito dopo essere uscito dalla camera di Sandra.»
«Hanno paura per la sua incolumità? »
«No, non credo. Sanno bene che a quest'ora del giorno gli animali rimangono ben nascosti. Non li troveranno certo cercando due ciocchi di legna per il fuoco. Diverso è uscire di notte.»
«Come ha fatto Andrea.»
Annuì, poco convinto. «Come ha fatto Andrea. Ora...»
Si bloccò.
Una specie di ronzio in lontananza. Si faceva sempre più forte, sempre più vicino. In breve si espanse, divenendo un rombo. La terra cominciò a tremare, mentre lui e Linda si guardavano.
Entrambi increduli, avevano la gola secca dal terrore. Non sapevano come comportarsi di fronte a quel frastuono.
Ottavio lo conosceva bene.
Terremoto.
Udì uno schianto in alto, seguito dalla sua eco. Guardò d'istinto verso il cielo, notando immediatamente due grossi massi che si staccavano dalle pareti montuose. Vide la roccia sgretolarsi, per poi iniziare a scivolare e rimbalzare giù come la pallina di un minigolf.
Deglutì, consapevole che un altro immenso problema era appena sorto.
Mentre prendeva l'amica per un braccio e la tirava nella direzione opposta a dove si stavano dirigendo, la sua mente elaborò un'unica, semplicissima domanda.
Che sta succedendo, quassù?

* * *

Jack aveva appena ritrovato Roberto. Era andato nel bosco alla ricerca di un po' di legna, proprio come avevano immaginato. Lui non sapeva ancora di Andrea. Per fortuna gli animali si erano tenuti alla larga. Mentre si accingevano a tornare indietro, aveva sentito qualcosa. Un rombo, poi la terra che tremava sotto i propri piedi.
«Un terremoto!», gridò alla volta di Daniele. «È un terremoto!»
Il compagno rimase interdetto per un secondo, poi tirò Roberto per una spalla. «Avanti! Dobbiamo muoverci.»
La scossa durò quasi quindici secondi. Un quarto di minuto lungo quanto un quarto d'ora. Una volta finita, sentì scemare la sensazione di vertigine.
Qualche ramo cadde sopra le loro teste. Un paio di foglie secche rimasero impigliate tra i suoi capelli. In lontananza, un altro albero cadde come una tessera in un effetto domino. Girandosi, vide Roberto, poi Daniele. Sorrise nella sua direzione.
«Meglio se ti dai una scrollata. Non sapevo ti piacessero i bigodini.»
I riccioli dell'uomo erano una calamita per le frasche vecchie. Sembrava sua nonna dopo essersi lavata i capelli. L'amico borbottò qualcosa che le sue orecchie non riuscirono a sentire. Non tardò a comprenderne il perché.
Il rombo non era ancora terminato. La terra aveva smesso di tremare, ma quel rumore non sembrava volersi attenuare. Non ne capiva il motivo, non fino a che la terra non ricominciò a muoversi.
Ma era diverso.
I tremolii erano più leggeri. Rimbombavano. Era come se la terra si muovesse al ritmo di un sobbalzo, come se un gigante picchiettasse con il suo martello sulla montagna, e a ogni botta la terra rispondesse con un singhiozzo.
Questo immaginò lui, fino a che un pensiero più concreto si fece largo tra le dozzine di fantasiose ipotesi.
Alzò gli occhi al cielo, cercando qualcosa che gli dicesse quanto la sua intuizione fosse infondata. Quando vide il gioco di luci e ombre che si ripeteva ritmicamente, ogni dubbio fu spazzato via in un solo istante.
«Cazzo!», gridò terrorizzato.
Daniele lo imitò, probabilmente anche Roberto. Concentrato sul cielo, sullo spettacolo agghiacciante sopra le loro teste, lui non se ne accorse.
«Un masso ci sta cadendo addosso!»

* * *

Ottavio protese la mano verso Linda. Le afferrò il fianco destro, tirandola verso di sé. Lei non oppose resistenza. Voleva portarla in salvo, via da quel punto esposto. Troppo pericoloso.
Ma non ce la fece. Non era in grado.
Osservò invece uno dei grossi massi deviare a destra, lontano da loro. L'altro continuò la sua corsa, dritto sugli alberi del bosco.
Sentiva le gambe immobili. La sua testa gli diceva di muoversi, allontanarsi da lì. I suoi muscoli invece erano paralizzati, come controllati da una volontà superiore, indipendente dalla propria coscienza.
Mentre lui e Linda osservavano atterriti quello spaventoso spettacolo, i rimbombi facevano tremare le loro ginocchia. Al ritmo di un tamburo, le rocce sobbalzavano, avvicinandosi al bosco di una dozzina di metri alla volta. Dalla sua gola non uscì che una parola, l'unica che la sua mente riuscisse a elaborare.
«Merda.»
Poi accadde.

* * *

Lo vide accadere davanti ai propri occhi.
Daniele sperò come mai aveva fatto in vita sua. Ogni secondo rappresentava un'interminabile sfilza di preghiere che si susseguivano con foga nella sua testa; ogni minimo accenno di movimento, un appiglio a cui aggrapparsi con quella stessa speranza.
Ma fu tutto inutile.
I sobbalzi si fecero più vicini, fino a esplodere in un rumore assordante sopra di lui. Mentre correva a perdifiato, la fortuna gli diede una notevole mano. Riuscì a rimanere in piedi a stento, sbattendo contro una radice o un albero ogni due metri percorsi. Non sapeva nemmeno lui come fosse possibile, come mai non fosse ancora stato tirato a terra da uno di quei fastidiosi ostacoli.
Eppure ce la fece. Per un pelo.
Quando sentì l'impatto, i suoi occhi si mossero d'istinto. Era troppo vicino per poterlo ignorare. I suoi passi incontrarono un sasso grande come una palla da calcio. Questa volta non poté evitarlo. Ruzzolò sul terreno, portando le mani davanti al viso, per proteggersi. Scivolò quasi cinque metri più avanti, sbucciandosi un ginocchio. Un ramo più giovane riuscì a graffiargli la caviglia, arrivando a strappargli la pelle su un piccolo rettangolino irregolare di carne.
Ma quello era niente.
Il fracasso fu infernale. I tronchi degli alberi vennero schiacciati dal masso, stroncati in centinaia di schegge irregolari che volarono in ogni direzione. Non riuscirono a colpirlo solo perché si trovava a terra, sdraiato sul suolo.
Le scosse causate dalla roccia che sbatteva sul terreno erano fortissime. Per un momento credette che non ce l'avrebbe fatta.
Ma il masso non passò sopra la sua testa. Lo vide continuare il suo percorso, appena una dozzina di metri più indietro. Vide l'estremità più vicina alla sua posizione. Era enorme. Non avrebbe mai immaginato di poter vedere una bestia simile vicino a lui.
Rimase impassibile, terrorizzato, mentre la roccia continuava il suo percorso, dirigendosi verso il bosco sottostante. Restò senza respiro per qualche secondo, prima di realizzare ciò che era accaduto.
Non avrebbe potuto chiedere nulla di più.
Daniele era salvo.

* * *

Jack era scampato al masso per pura fortuna. Rimasto immobile sulle prime, se l'era data a gambe dopo radi istanti di indecisione.
Non era andata altrettanto bene al suo compagno.
Aveva visto Roberto essere investito in pieno dalla roccia. L'amico non aveva recuperato in tempo il sangue freddo necessario per scappare. Era rimasto sul posto, bloccato dalla paura, senza la capacità di sfuggire a ciò che il destino gli aveva riservato.
Scosse la testa. Non voleva neppure immaginare come fosse ridotto il corpo del suo amico: una poltiglia di carne e sangue.
Sputò a terra, mentre la rabbia s'impadroniva della sua mente. Il sudore sgorgò dai pori sulla sua pelle come un fiume in piena. Il cuore batteva all'impazzata dentro al suo petto e la testa cominciava a essere offuscata dalla furia.
«Dannazione!»
Il suo urlo si perse nei rombi sempre più lontani del masso, che continuava a far tremare la terra durante la sua discesa. Quel ritmico trambusto si affievolì coi secondi, fino a lasciarlo solo con i propri pensieri.
La sensazione che quella gita si fosse trasformata in una catastrofe era ormai una verità assodata. Non ce la faceva più.
«Ehi!», lo chiamò una voce mentre si avvicinava. Le orecchie gli fischiavano e non riusciva a distinguere a chi appartenesse. Solo quando vide spuntare un volto, capì.
«Daniele!», gridò. Per fortuna l'amico si era salvato.
«Va tutto bene?», gli chiese il vecchio lupo di montagna, scendendo dai gradini di terreno alti mezzo metro. Gli vide sanguinare la gamba copiosamente, cicatrice di guerra dello scontro in solitaria con l'abnorme frana.
«Stai bene?», gli domandò di nuovo.
Daniele si bloccò una ventina di metri più in là, più in alto rispetto a dove si trovava lui. Fu facile intuire la sua reazione persino da lì. Il suo volto sbiancò.
Jack pensava di sapere che cosa si fosse trovato davanti Daniele.
«Oh porca troia!», lo sentì imprecare. L'amico si voltò verso di lui, calcando il concetto con disgusto. «Cazzo
Il punto dove si trovava Daniele era lo stesso in cui si trovava Roberto prima di essere investito.
Quello che aveva visto Daniele era quello che rimaneva del loro amico.

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Horror fantasies are really a good read. Its good that having copyright of content and this way you make your content free from misuse or reuse. Its a big read and I use it would be a video to watch. Anyway, I appreciate this share as steemexclusive.

At the moment I don't have people interesting in the creation of a movie, I'm sorry :P
Without jokes, thank you very much for stopping Shohana

And I like movies more than the reading book, reading is boring to me honestly!

Thank you, friend!
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