Chi ha suonato la campana?

Solo cipolle a Tropea.
Non è possibile coltivare aglio per i deliziosi soffritti, le ricche insalate, i contorni saporiti o i sostanziosi piatti della cucina calabrese.
Solo cipolle, rosse, dolci e succose: note in tutto il mondo.
Storia e leggende si intrecciano fin dalla notte de tempi, cospirando per occultare oscuri segreti, ammorbidirli e integrarli alla realtà.

Prendiamo le famose Campane di Tropea: narra la leggenda che in un tempo lontano le coste venissero saccheggiate spesso da pirati saraceni e slavi, che senza alcuna pietà razziavano i villaggi depredando i beni e facendo prigionieri gli abitanti per venderli come schiavi. Una notte i predoni si erano spinti fino al villaggio di Ciaramiti, attirati dalle fiaccole festose di un lussuoso matrimonio. Fatti prigionieri tutti gli abitanti, avevano pensato sulla via del ritorno che, già che c’erano, potevano arrotondare il bottino saccheggiando anche Tropea, che veniva giusto di strada. Stavano per riuscire nel loro intento quando le campane della chiesa di Santa Domenica iniziarono a suonare rimbombando nel buio della notte.
Quale sorpresa! Erano stati scoperti! Abbandonando l'intento e anche i prigionieri già presi, i pirati se la diedero a gambe levate, per avere almeno salva la vita. Ma i tropeiani dormivano beati, ignari dell'incursione appena scampata! Furono i ciaramitesi, miracolosamente scampati a una sorte ingrata, a raccontar loro l'accaduto il giorno seguente! L'evento miracoloso venne attribuito alla Santa protettrice del paese, ma non fu Santa Domenica a tirare i fili di quelle campane!

Come lo so?
Semplice: li ho tirati io.
Io c'ero, io ricordo.
Quel matrimonio non era che una scusa per la caccia estiva, e i pirati ci guastarono la festa. Volevano rovinarci anche le riserve di teneri bocconcini tropeani, coltivati con cura per quasi millesettecento anni, ma non lo abbiamo permesso e abbiamo suonato le campane della nostra chiesetta, lasciando che gli ingenui campagnoli scambiassero per un miracolo la fuga dei corsari.

Nosferatu, mi chiamano alcuni. Vampiro altri.

Non ha più importanza: non sono che il guardiano di un'antica casata estinta che segretamente sopravvive in un luogo che con fatica ho reso accogliente e adatto alla sopravvivenza degli ultimi superstiti della mia famiglia. Trascorriamo le nostre esistenze in questo posto ameno e seducente, ormai dediti solo al piacere di stenderci al sole e nuotare nel mare in mezzo ai nostri deliziosi animaletti da compagnia, alle merendine che di tanto in tanto ci concediamo e della cui scomparsa nessuno si rammarica per più di qualche decennio, ovvero una manciata di secondi per degli esseri millenari come noi.

Io e la mia piccola famiglia, sopravvissuti alle stragi della nostra stirpe, abbiamo trovato in questo luogo incontaminato e solare il rifugio perfetto. Scacciati dai Balcani, nella notte dei tempi siamo fuggiti nella primitiva terra italica, importando e imponendo con l'astuzia la coltivazione della cipolla e mettendo al bando l'aglio fetido e velenoso.
Abbiamo messo in giro la voce che non potevamo sopravvivere al sole, in pieno giorno, e che ci nutrivamo ogni notte in abbondanza, che eravamo "non-morti", quando invece siamo vivi e vegeti, solo più belli degli altri esseri umani: tutte menzogne per distogliere l'attenzione dalla nostra presenza in Calabria.

Il trucco ha funzionato e da secoli viviamo in pace in questa terra, perfettamente integrati fra i suoi abitanti, e alleviamo con amore quei cuccioli di uomo che le madri abbandonano alla ruota di Santa Domenica: alcuni ritornano nel mondo, alcuni restano con noi fino alla fine (naturale o da noi causata) dei nostri giorni.