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in Italy5 months ago (edited)

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L'allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri. All-Pro Reels from District of Columbia, USA, CC BY-SA 2.0, da Wikimedia Commons

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TUTTI LE FOLLIE DEL PEGGIOR ALLENATORE ITALIANO

Da quando José Mourinho ha ottenuto, non prima tuttavia di aver vinto il poco invidiabile premio di peggior allenatore della storia giallorossa (carta canta), l'ennesimo benservito degli ultimi dieci anni di carriera, anche l'ultimo dubbio relativo al nostro campionato si è potuto finalmente sciogliere.

Tra tutti e venti i tecnici della Serie A, in cima alla classifica di inutilità, o meglio, di danni causati all'ambiente circostante, può finalmente stagliarsi in cima indisturbato quello della Juventus, tal Massimiliano Allegri da Livorno. Allenatore, come l'esimio collega portoghese citato poco più in alto, capace di vincere numerosi trofei in carriera, ma che da anni non ne azzecca una nemmeno per sbaglio.

Del resto, come insegna una frase attribuita ad Andy Wharol, "tutti nella vita hanno diritto al loro quarto d'ora di celebrità", ma per spostarci alla saggezza più nostrana di Eduardo De Filippo, forse è meglio non dimenticare che "gli esami non finiscono mai". Tanto per intenderci, anche io in terza media ho preso dieci di matematica in tutte le verifiche del primo quadrimestre, ma non credo basti per farmi vendermi ai livelli di Piergiorgio Odifreddi.

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Andy Wharol. Bernard Gotfryd, Public domain, da Wikimedia Commons

Tuttavia, la vera differenza tra lo special was e acciughina, oltre, ahimè, alle Champions League vinte, sta nel loro status attuale: disoccupato in panciolle il primo, ancorato alla panchina come un cirripede allo scoglio il secondo. E se a Mourinho, per uscire di tanto in tanto dall'oblio, è rimasto solo qualche giornalista amico che ne raccolga le deliranti considerazioni, Allegri è purtroppo ancora oggi nel vivo delle cronache calcistiche nostrane.

A Torino sono stati fatti fuori, contro il volere popolare, allenatori appena capaci di ottenere successi europei, come accadde negli anni novanta al mitico Dino Zoff. E' stato gentilmente accompagnato alla porta, con la scusa di essere un corpo estraneo alla società, l'ultimo mister in grado di portare a casa lo scudetto, ovvero Maurizio Sarri, e salutato con una pacca sulla spalla e un pugno di noccioline Andrea Pirlo, nonostante il discreto lavoro svolto in un anno di transizione e i due trofei aggiunti alla bacheca.

Ma Allegri, no. In tre anni ha collezionato zero successi (vedrete che anche la Coppa Italia quest'anno finirà per sfuggirgli), nessuna idea di gioco, una mentalità paurosa da provinciale e una condizione fisica il più delle volte peggiore di quella degli avversari. Le sue richieste sul mercato, leggasi in primis Paredes, Pogba e Di Maria, si sono rivelate fallimentari, e più in generale tutti o quasi i calciatori della rosa si sono svalutati.

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Paul Pogba, Антон Зайцев, CC BY-SA 3.0 GFDL, da Wikimedia Commons

Kostic, Locatelli e Chiesa, giusto per citarne alcuni, da giocatori dominanti nei loro precedenti club e in nazionale, si sono trasformati improvvisamente in brocchi e anche i giovani della Next Gen, come Iling Junior, Fagioli, Nicolussi Caviglia e da ultimo Yildiz, dopo un periodo di entusiasmo, hanno visto calare drasticamente il livello delle loro prestazioni.

Di contro, altri andati a maturare esperienza con allenatori diversi, come Soulé, Barrenechea e Kaio Jorge, ma anche Facundo Gonzalez, Huijsen e persino Arthur, stanno tutti andando incontro alla loro migliore stagione.

Vogliamo parlare di attaccanti? Con Allegri tutti i centravanti sono penalizzati dal gioco ultra difensivo della squadra e hanno cominciato a segnare meno. Più che attuale l'involuzione di Dusan Vlahovic, ma i casi più eclatanti appartengono ad Higuain e Cristiano Ronaldo, passati da 40 goal stagionali a poco più di venti dopo la cura del nostro "fenomeno".

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L'attaccante della Juventus, Dusan Vlahovic, nel riscaldamento pre partita con la maglia della Serbia. Vux33, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons

Ma non basta, perché insensati e dannosi per la società sono stati tutti i suoi comportamenti nella gestione della rosa. A due "paracarri" come Alex Sandro e Cuadrado, giocatori finiti da tempo, è scattato il rinnovo automatico del contratto (7 milioni netti) grazie al numero minimo di presenze, raggiunto da entrambi sul finale della stagione.

Sarebbe bastato non convocarli per le ultime partite, peraltro ininfluenti, per risparmiare alle già martoriate casse societarie un paio di stipendi pesantissimi, soprattutto se si pensa che già in primavera la squadra negli ultimi due campionati si è trovata esclusa da discorsi importanti di classifica.

Un allenatore dotato di un minimo di dignità, dopo aver fallito ogni obiettivo e patito umiliazioni del calibro di quella dell'anno scorso, quando la squadra venne eliminata dalla Champions League in un girone con Benfica e Maccabi Haifa, avrebbe rassegnato le dimissioni seduta stante. Ma lui no. Preferisce ripetere il solito ritornello dell'organico giovane e inesperto, in modo da mettersi al riparo da ogni responsabilità.

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L'Allianz Stadium di Torino, forzaq8 from kuwait, kuwait, CC BY 2.0, da Wikimedia Commons

Risultato? La squadra, almeno nei suoi uomini dotati di maggior talento, spesso non lo segue. Le scelte di formazione e di atteggiamento tattico risultano sovente incomprensibili. Tre domeniche fa, nella partita casalinga con l'Empoli, piuttosto che confermare Yildiz, apparso in grande spolvero, ha schierato la linea avanzata con due centravanti, Vlahovic e Milik. Una mossa "geniale", considerato che il polacco dopo un quarto d'ora è stato espulso, condizionando tutta la partita dei suoi compagni.

E che dire dello schieramento di Alex Sandro da terzo della linea difensiva lunedì scorso, al posto di Rugani, sempre impeccabile quest'anno quando chiamato in causa? Nulla, se non che proprio il brasiliano, con uno sciagurato assist al contrario, ha servito su un piatto d'argento l'unica palla goal all'Udinese, causando di fatto l'ultima sconfitta.

Anche i rapporti con buona parte della nuova dirigenza, e qui occorre dire "per fortuna", perché questo potrebbe significare un suo allontanamento alla fine della stagione, sembrano al momento piuttosto tesi. Il colpevole? Ancora una volta lui.

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Giacomo Bonaventura, Clément Bucco-Lechat, CC BY-SA 3.0, da Wikimedia Commons

Nell'ultimo mercato di gennaio, contrariamente al progetto di rinnovamento voluto dal club, Allegri ha chiesto espressamente l'ingaggio di due calciatori ultratrentenni (peraltro molto difficili da prendere negli ultimi giorni di contrattazioni), Bonaventura e Pereyra, vedendosi rispondere, com'era logico immaginare, picche da Giuntoli e Manna.

Il centrocampo necessitava di certo di rinforzi e così i due uomini mercato bianconeri, con uno sforzo economico non indifferente (circa 5 milioni per il prestito semestrale), gli hanno portato in pacchetto regalo il talentuoso argentino Carlos Alcaraz. E lui? Come un bambino che a Natale non ottiene il giocattolo desiderato, ha concesso finora nemmeno dieci minuti al calciatore, mandando un chiaro messaggio alla società: o prendi chi dico io, o non li faccio giocare.

E tutto questo nonostante nell'ultima gara si trovasse sotto 1-0, in campo fossero scesi persino giocatori della Next Gen, come Cerri o Nicolussi Caviglia, e la squadra potesse contare ancora su un cambio a disposizione. Piuttosto, ma questa ovviamente è una battuta, avrebbe buttato nella mischia un altro portiere.

Di versioni diverse della Juventus, in tanti anni di onorata carriera da gobbo "talebano", ne ho viste e sentite diverse, alla radio, allo stadio o davanti alla TV. Ce ne sono state di fortissime, di ottime, di mediocri e di veramente scarse, ma nessuna di esse si poteva definire "deprimente", come quelle di Allegri. Perché "perdenti" si può essere nell'animo, ancor prima che nel curriculum.

Statemi bene, alla prossima!

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