La mia proposta per SteemContestItalia: "La notte della cometa"

Luca prova ad aprire gli occhi, ma non ci riesce.
Secrezioni incrostate sulle palpebre, muco nel naso. Il mal di testa non è una sorpresa, il resto sì.
Ieri sera, Luca ha violato una regola della comunità: non gli è consentito pensare ai fatti suoi per più di 45 minuti di fila, perché le risorse intellettuali scarseggiano ancora più dei viveri. Da quando l’effetto serra ha trasformato il pianeta in una immensa Somalia, con guerre e carestie endemiche, l’uso di qualunque risorsa è razionato. L’autismo è punito con la pena di morte. Chi si chiude troppo nel proprio cervello invece di produrre pensieri utili, viene punito con emicranie artificiali, scatenate da elettrodi impiantati alla nascita nel cranio di ogni cittadino.” [dall'introduzione]

“Perché tutta questa morte?”. E’ l’unico pensiero che gli viene in mente. “Perché?”. Come un insetto che si fa strada sotto terra, questa domanda penetra sempre più profonda sotto il sudore della sua fronte. Wrrrrrrrrrr! Un flusso di corrente attraversa la sua corteccia cerebrale. Per oggi non può più sopportarne altri. “Sto qui, ora”. Si guarda intorno. Il soffitto, il televisore, il neon e la finestra finta. “Osservo i contorni” sussurra, iniziando a seguire con la mente le linee dei pochi oggetti della sua misera stanza. E’ l’unico modo che ha trovato per alleviare le scosse e difendere la sua salute mentale. Dentro-fuori, fuori-dentro. Spostarsi da dentro la propria mente a fuori, nelle cose intorno, tangibili. E di nuovo dentro, per trovare – paradossalmente – un po’ di libertà dalla desolazione che lo circonda.

Fu il giorno del suo compleanno, quello dei 23 anni, che scoprì di poterlo fare. Aveva il potere di controllare la sua attenzione e decidere se e quando voleva pensare ai fatti suoi e quando smettere di farlo, prima che il suo cervello fosse avvolto dal dolore. Erano passati 5 anni da allora e non ne aveva mai parlato con nessuno. Perché farlo? A chi rivelarlo, tra quella moltitudine di zombie che si trascinavano con lo sguardo vuoto, con l’unica speranza che a fine mese il consiglio di comunità gli lasciasse appoggiare le labbra piagate alla cisterna comune di acqua rafferma. Non era l’unico operaio con un ruolo di responsabilità nella distilleria idrica e la sua intelligenza non era mai stata premiata dal Consiglio durante la Festa del Solstizio. Era una persona come le altre. Però almeno una cosa nessuno gliela avrebbe mai potuta togliere. O almeno così aveva sempre pensato di sé stesso, fino a ieri.

“Non ti è stato dato il risveglio per farlo morire con te”. C’era un amore infinito negli occhi di quella ragazza. Erano occhi di madre, occhi di innamorata, occhi di luce. Con un passo improvviso era scesa dal treno sotterraneo e Luca era rimasto a guardarla mentre si allontanava nel fiume di gente che tornava a casa dopo il lavoro di comunità, dodici ore sudate in qualche laboratorio arrugginito, in una serra arida o in qualsiasi posto che il Consiglio aveva deciso per l’anno in corso.

Non se l’era più tolta dalla mente. Quelle poche parole avevano investito Luca con un fiume di emozioni che lo scuotevano nelle sue radici, sgorgavano in emozioni di liberazione e proiettavano le paure più funeree. Non riuscendo a dormire era sgattaiolato sul tetto dell’edificio. Era rimasto lì per ore a guardare il cielo. Le nubi di sabbia si erano allontanate e il cielo appariva come un grande oceano blu, tempestato di stelle. Non era il freddo di quella notte un problema, era la scintilla che lei aveva acceso in lui a fargli perdere totalmente il controllo. Ore trascorse a chiedersi chi era lei, perché proprio a lui e soprattutto perché stava vivendo quella vita che non era una vita. Era una morte in vita.