Fair play, Chloe Domont, 2024
Una coppia affiatata nella vita e nel lavoro perde fiato quando subentra una competizione spietata a favore di lei e che scaraventa lui nelle retrovie. In una forma mentis volente o nolente machista risulta difficile e quasi impossibile credere al merito quando una donna occupa un gradino più alto.
La necessità della rivendicazione del dominio ha nell'etimologia della parola stessa la sua apparente giustificazione. Lui si sente in dovere di possedere lei e se i rapporti di forza si capovolgono, anche il piacere violento e possessivo segue a ruota e viene meno. L'ossessione per la supremazia porta al rifiuto del riconoscimento di competenza e virtù, trasformandole rispettivamente in superficialità e colpa. In questo modo la relazione entra in una spirale velenosa da cui si può e si deve uscire, per non soccombere, solo con un taglio netto, doloroso e sanguinante.
Colpa o responsabilità sono la stessa cosa, bisogna solo lasciar andare.
La storia di una coppia che sarebbe potuta essere perfetta si rivela invece una perfetta parabola discendente innescata dal pregiudizio e dalle gerarchie sbilanciate di genere difficili da debellare nei fatti.
Film brillante quanto i suoi interpreti Phoebe Dynevor, Alden Ehrenreich e Eddie Marsan.