Lo devo a Te

in #ita6 years ago

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...Era una sabato uggioso proprio come questo, quando tornato per un week-end in famiglia decisi di andare a trovare il Nonno. Entrato in macchina accesi la radio, e il caso volle partisse “Il mondo” di Jimmy Fontana, canzone alla quale ero particolarmente affezionato perché proprio il Nonno me la faceva ascoltare da bambino. Pochi minuti ed eccomi di fronte al cancello della piccola casetta in campagna, dove il Nonno amava soggiornare d’estate. Due colpi di clacson e, come la magica porta della caverna delle meraviglie, il cancello iniziò ad aprirsi. A qualche decina di metri dal punto in cui lasciai la macchina, c’era il Nonno, con la sua posizione leggermente camptocornica, di chi ha trasportato sulle sue spalle molto e ora risente del peso degli anni. Aveva il viso corrucciato scuro in volto, di chi è immerso nei suoi pensieri al punto tale da non essere più in contatto con il mondo esterno. Arrivato ad un paio di metri da lui lo salutai «Ciao Nonno», si rischiarò con la rapidità che solo il cielo d’estate ha quando passa dal nero più intenso a quel bianco celestiale che illumina il volto di chi alza il capo rivolto ad esso, «Ciao cuore di nonno.»

«Come stai?» gli chiesi, ma venni interrotto bruscamente dal suo «Bene, ora davvero bene.»
Guardai negli occhi mio Nonno una frazione di secondo che sembro durare un’eternità, quegli occhi grigi ricchi di sfumature, in cui potevi perderti. Ci avvicinammo ad un patio dov’erano presenti alcune poltroncine in vimini e ci sedemmo. Eravamo posti uno di fronte all’altro e nell’esatto istante in cui i nostri sguardi si incrociarono iniziò a parlare «Sono davvero felice di averti qui, saranno tre o quattro mesi che non ci vediamo» sorrisi. Ci eravamo visti due settimane addietro, ma era il suo modo per dimostrarmi che gli ero mancato. Prima che potessi iniziare a parlare riprese «Il tempo sta cambiando non trovi?», annuii.
«A dire il vero un po’ tutto sta cambiando. Sembra ieri che camminavamo mano nella mano e venivo a prenderti all’uscita di scuola....il tempo è volato. Però guardati ora, sei grande, maturo, sono fiero di te.»
I suoi occhi erano sinceri e vividi. Approfittai di quella pausa felice per iniziare a parlare «Nonno credo che il frutto di ciò che sono oggi lo devo anche al tempo che hai saputo dedicarmi, sei stato un Nonno presente, nonostante le distanze. Sei stato capace di azzerare quel distacco temporale che ci divide. Alcuni dei ricordi più belli che ho sono legati a te». Il Nonno sorrideva, si crogiolava in quella beatitudine. «Nonno», ripresi, «Cosa ne pensi di come vanno le cose oggi, del lavoro e della società? Hai fiducia nel futuro? La stessa fiducia che hai sempre riposto in me?»
Il Nonno si adagiò sullo schienale della poltroncina che scricchiolo riproducendo il rumore del pane caldo appena sfornato e incrociando le mani in vita disse «Quando sono nato io uscivamo dalla prima guerra mondiale e ci accingevamo ad entrare nella seconda ahimé..Avevo quattordici anni quando finì la guerra, ricordo bene quegli anni e li porto dentro di me celati nella parte più intima del mio essere, perché ciò che è stato non si verifichi mai più...» fece una pausa come se un vecchio fantasma lo avesse attraversato portando via, nuovamente, un pezzetto di se. Non lo interruppi, ero affascinato da quell’uomo anziano e saggio che portava su di se i segni del tempo, ma che non aveva permesso allo stesso di modificarlo. Riprese con maggior vigore «Sono stato in tanti posti, ho conosciuto tante persone, ho vissuto momenti stupendi e altri meno belli, ma non ho mai vissuto questo..» si irrigidì. Pertanto chiesi «Cosa non hai vissuto Nonno?»
«Questo mondo mio caro nipote, questo modo di fare. Quando ero giovane ci si riuniva nelle piazze, si stava insieme, si parlava di tante cose, ci si innamorava...» lo interruppi sorridendo «Ma Nonno ci si innamora anche adesso». Mi guardò con uno sguardo serio e profondo e disse con voce ferma «Ho amato e rispettato tua nonna ogni giorno della mia vita, mai il mio sguardo ha provato, anche solo per mero errore, a posarsi su altra donna. Oggi è difficile trovare ciò che una volta era la normalità.»
Attesi un minuto, giusto il tempo necessario a che si rasserenasse e ripresi «È per i medesimi dubbi che provo, che ti ho fatto questa domanda, ma non credo che nella tua generazione fossero tutti come te o che provassero ciò che tu provi e hai provato per la nonna.»
Nel mentre il cielo si era rischiarato e una leggera brezza accarezzava il mio volto e quello del nonno. «Andiamo» mi disse alzandosi dalla poltroncina, lo seguii senza domandare. Mentre passeggiavo mi lasciavo trasportare dagli odori, dai suoni, dai ronzii e da qualsiasi cosa fosse naturale, autentico ed incontaminato. Ad un certo punto si fermò, ero talmente assorto nella natura da non essermi accorto del posto in cui mi trovavo e subito tutto mi fu chiaro, ma non ebbi il tempo di un fiato che il Nonno indicò l’albero posto di fronte a noi. «Lo ricordi?»
«E come potrei dimenticarlo.»
D’innanzi a noi si stagliava un gigantesco ciliegio piantato dal nonno di mio Nonno. Era un albero immenso, secolare; la sua ombra mi aveva salvato dal cocente sole estivo per innumerevoli estati. Sui rami più grandi avevo sonnecchiato per molti pomeriggi ed era stato il primo albero sul quale mi ero arrampicato da bambino. Mentre guardavo la sommità della cima e restavo ammaliato da quella presenza austera. Il Nonno riprese, questa volta il tono era più morbido «Vedi quest’albero lo ha..» lo interruppi «Lo ha piantato tuo nonno» dissi sorridendo, mi riprese «Non avere fretta, non è mai stata una buona consigliera. La prima volta che hai visto questo albero ricordi cosa mi dicesti» risposi serio «Si, che era troppo alto e che non sarei mai riuscito a salire in cima» toccandomi la spalla mi disse «E poi?», «E poi mi prendesti sulle spalle facendomi salire sul primo ramo. E da lì salii in cima.» Fiero ed orgoglioso sorrise. «È questo che più mi preoccupa», «Cosa Nonno?» gli chiesi. Si rabbuio «Queste nuove generazioni non hanno quella paura, non vivono la loro età e soprattutto non si accorgono di cadere nemmeno quando sentono il tonfo a terra.» «Spiegati meglio» domandai, e lui riprese «Sono passati così tanti anni dall’ultima volta che questo saggio e antico ciliegio ha visto un ragazzino sui suoi rami che non ricordo neanche più come fosse il suono delle sue fronde spostate per salire in cima. I giovani oggi non salgono più sugli alberi, al massimo si ci fanno una foto sotto se va di moda». «Ma Nonno non per forza bisogna salire su un albero per crescere sani.»
«Ah no?» rispose.
«Quando mi chiedesti la prima volta di salire sull’albero avevi cinque anni e ti dissi che non era possibile. L’anno dopo tornammo in primavera e fui io a proporti di salire. Rimasi a guardarti per tutto il tempo, avevo una paura matta dentro di me, ma questo non mi fermò dal dirti dove appoggiarti di tanto in tanto. E successivamente non venni più con te, ma ti osservavo da lontano con fierezza e con orgoglio.»
Era uno di quei momenti in cui tirava fuori una delle sue metafore e io la attendevo di buon grado e come sempre non si fece attendere molto «È una metafora. La prima volta che siamo venuti qui ti affidavi totalmente a me avevi bisogno di qualcuno che ti spronasse a dare di più, ma che ti raccomandasse di non essere frettoloso e sprovveduto. La seconda volta avevi acquisito la sicurezza giusta e sapevi che quella meta aveva richiesto attenzione, studio ed accortezza. Le volte successive avevi tutti i mezzi per affrontare non solo quella sfida ma anche le successive.»
Avevo capito cosa volesse dire, ma era così piacevole ascoltarlo che continuai ad osservarlo senza proferire parola.
«Queste nuove generazioni pensano che non c’è nulla da apprendere dal vecchio, credono che solo perché sono nate con quella diavoleria alla quale stanno attaccate mattina, mezzogiorno e sera sanno tutto, hanno visto tutto e possono capire tutto. Si credono invincibili ma non si mettono alla prova, non vivono se non dietro lo schermo di quei telefoni e cosa più triste non puoi osservarli con fierezza, ma con umiltà devi soccorrerli quando poco esperti cadono per mancanza di valutazione delle giuste tempistiche.»
Era un quadro un po’ drastico, ma non si discostava così tanto dalla realtà. Avevo ottenuto ciò che volevo, ovvero, comprendere il quadro che si proiettava dinnanzi agli occhi di quella generazione che adoravo per il percorso fatto.
«Sei sfiduciato?» mi disse, risposi con un ghigno furbesco «A dire il vero no» rimase interdetto e mi chiese «Perché?»
A distanza di anni non so se quella risposta gli piacque o meno, ma ciò che so è che ci allontanammo sorridendo e giunti nuovamente sotto il patio chiesi «Ma la Nonna» e gli occhi del Nonno si illuminarono di una luce cosi pura ed eterea che soltanto il nominare la Nonna riusciva generare in lui...

Continua..

(Immagine di mia proprietà)
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Abbiamo sempre molto da imparare da chi ne ha vissute più di noi, nel bene o nel male... bel post ;)

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